Innovazione

Idroponica e vertical farm, così cresce l’agricoltura sostenibile del futuro

Dall'insalata di Cavenago nel Milanese ai pomodori di Monopoli (Bari) decollano le imprese che riducono i consumi di suolo, acqua e pesticidi, aumentando la produzione

di Maria Teresa Manuelli

4' di lettura

L’agricoltura verticale sta entrando a far parte delle pratiche di agricoltura abituali, anche in Italia. Coltivando su più livelli, il vertical farming permette di ridurre il suolo utilizzato e di evitare l'impoverimento del terreno e la perdita di minerali. Oltre a indubbi benefici che vanno da un maggiore controllo delle colture alla riduzione di acqua, manodopera e sostanze chimiche.

Ecco perché le coltivazioni fuori suolo si stanno sempre più sviluppando. Recenti ricerche a livello internazionale hanno evidenziato come il settore presenti tassi di crescita superiori al 20% medio annuo fino al 2026. Secondo le stime, inoltre, il mercato agricolo verticale mondiale raggiungerà i 9,9 miliardi di dollari entro il 2025 (nel 2015 era pari a 1,2 miliardi di dollari).

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Il vertical farming adotta un tipo di coltura detta idroponica, dove le piante vengono coltivate in una soluzione di acqua e minerali diminuendo fino al 90% i consumi idrici rispetto all’agricoltura tradizionale e aumentando la produttività fino al 20 per cento. Inoltre, consente di coltivare durante tutto l’anno, senza pesticidi e fertilizzanti.

Planet Farms, la più grande d’Europa

A Cavenago, alle porte di Milano, è in fase di ultimazione la vertical farm più grande d’Europa, Planet Farms, startup innovativa fondata da Luca Travaglini e Daniele Benatoff: una struttura di oltre 9mila metri quadrati, progettata dallo Studio Dordoni Architetti, che avvierà la produzione di insalata in foglia ed erbe aromatiche nella tarda primavera. All’interno dello stabilimento viene riprodotta la filiera nella sua totalità: entra un seme ed esce un prodotto confezionato. In programma per il futuro prossimo c’è la costruzione di altri cinque stabilimenti in diversi Paesi Europei.

La produzione sarà 365 giorni all’anno, senza sprechi o scarti nocivi, senza pesticidi, con elevato apporto nutrizionale. Planet Farms è stata insignita l'11 marzo scorso da Confagricoltura del Premio Nazionale per l’Innovazione in Agricoltura.

In Puglia i pomodori a residuo zero

Dall’altro capo d’Italia l’azienda F.lli Lapietra di Monopoli (Bari) coltiva pomodori a residuo zero e nichel-free nelle proprie serre fuori terra. Enzo Lapietra insieme al fratello Lino gestisce una produzione in serra tra le più avanzate d’Europa. «Il residuo-zero – precisa Enzo – è stato il risultato di cinque anni di intenso lavoro. Per poter mantenere nel tempo questa certificazione dobbiamo svolgere un monitoraggio continuo delle nostre produzioni. E non solo: perfino i nostri confinanti devono tenere monitorati i loro campi». Le serre si estendono su una superficie di circa nove ettari; sono illuminate da luci led e vengono riscaldate o raffrescate secondo necessità grazie a un sistema multi-variabile. L’irrigazione è “intelligente” e permette un importante risparmio idrico. Il substrato viene infatti irrigato fino a 20-40 volte al giorno con piccole quantità di acqua.

«Le piante bevono quello che serve, quando serve – spiega Lapietra – ed è come fare tanti piccoli pasti al giorno anziché un’unica abbuffata: si mantiene alto il metabolismo». Il mercato di riferimento dei pomodori Lapietra è la Puglia, con estensioni in Campania, Basilicata e nel resto del Sud. C’è molta richiesta anche dal Nord Italia e dall’estero, in particolare da Austria, Svizzera e Inghilterra. A chi gli chiede se, coltivando pomodori in un ambiente completamente asettico, non si rischi di perdere la genuinità propria del prodotto puglies, Lapietra risponde: «È vero che tutti i parametri sono controllati, ma l’aria e l’acqua sono quelle di Puglia. Sono certo che i nostri pomodori coltivati in serre localizzate in qualsiasi altro posto che non sia Monopoli avrebbero un sapore diverso. La natura dice sempre l’ultima parola».

Sfera e gli altri «pionieri»

A Gavorrano, vicino a Grosseto sorge Sfera: 13 ettari di impianto su un lotto di 22 ettari che garantisce un incremento di produttività di 15 volte e un risparmio di acqua dell’80-90% rispetto alla coltivazione in campo aperto. «La serra idroponica toscana sarà un modello che verrà preso a esempio per dare il via a una rete di strutture simili in tutto il mondo: a oggi in Italia sono un centinaio gli ettari di coltivazione idroponica in serra ma l’obiettivo è crescere rapidamente», dichiarano dalla pistoiese Atrigianfer ideatrice del progetto.

Edo Radici Felici, invece, progetta e realizza impianti fuori suolo con tecnologia aeroponica. Le piante sono, infatti, coltivate a radice libera tramite nebulizzazione dell’acqua e delle sostanze nutritive. Il progetto pilota è stato realizzato in un capannone in zona industriale a Quarrata, in provincia di Pistoia.

Il sistema Airfloating si applica a tutte le tipologie di orticole a foglia e permette di ottenere prodotti funzionali, nutraceutici, a bassa carica microbica, a residuo zero, con contenuto di nitrati abbondantemente al di sotto della soglia minima di legge ed esenti da metalli pesanti. Rispetto al floating system, una coltura di tipo aeroponico ha il vantaggio di essere meno sensibile ai fenomeni di ipossia radicale e si presta meglio a coltivazioni molto intensive: i tempi di raccolta vengono infatti notevolmente ridotti. Il progetto è il primo passo verso un altro obiettivo ambizioso, ovvero portare i punti di produzione sempre più vicini ai luoghi di vendita e consumo, utilizzando di fatto strutture già esistenti e spesso in stato di abbandono.

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