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Il 20% dei formaggi duri stagionati acquistati al supermercato non è Dop

Se ne vendono 25mila tonnellate: quantità rimaste stabili rispetto al 2021 mentre i consumi totali di formaggio sono a -3%. Grana Padano e Parmigiano Reggiano: basta sottocosto e concorrenza sleale

di Manuela Soressi

Formaggio grattuggiato: consumo settimanale per 9 italiani su 10

3' di lettura

Quando si parla dei formaggi italiani a lunga stagionatura si pensa immediatamente a Grana Padano e Parmigiano Reggiano, le due Dop più importanti del nostro paese. Eppure, lo stesso Consorzio del Parmigiano Reggiano stima che oltre un quinto dei formaggi duri acquistati nella Gdo siano privi della Dop.

Se ne parla poco, ma nel 2022, tra peso fisso e variabile, le vendite in Gdo hanno superato le 25mila tonnellate, ossia poco meno della metà di quelle di Grana Padano e il 65% di quelle di Parmigiano Reggiano. Inoltre le quantità messe nel carrello della spesa sono rimaste stabili rispetto al 2021 mentre i consumi complessivi di formaggi sono diminuiti del 3% (fonte Circana).

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I vantaggi economici dei «non Dop»

Sono tante le aziende che hanno puntato sui formaggi duri non Dop, con prodotti dai nomi di fantasia realizzati con tecniche produttive simili a quelle delle Dop più blasonate. La differenza? Meno laccioli, perché non c’è un disciplinare da rispettare. Meno costi, perché non ci sono certificazioni e controlli da pagare.

E più spazio per fare politica di brand, imponendo a questi formaggi da grattugia un nome proprio, come il Piemontino di Valgrana e il Quattrocento di Granarolo, il Bianco d'Italia di Agri Piacenza Latte, il Gran Biraghi o il Grangusto di Galbani.
Ma di qui a parlarne in comunicazione ne passa. Poche le eccezioni: la bresciana Ca.bre, che ha pubblicizzato il suo formaggio duro Leonessa come «prodotto in Italia con il miglior latte europeo».

Il caso Gran Moravia di Brazzale

Il gruppo veneto Brazzale, che dal 2000 ha lanciato il Gran Moravia, ottenuto da una filiera ecosostenibile nell'omonima regione della Repubblica Ceca e oggi venduto in 70 Paesi: «Questo brand esprime una filosofia innovativa e alternativa, una creazione della fantasia imprenditoriale italiana diversa dal sistema delle Dop, per noi troppo rigido e corporativo –- spiega il presidente Roberto Brazzale – Con Gran Moravia in 20 anni siamo passati da zero a oltre mille forme prodotte al giorno e abbiamo quadruplicato i nostri dipendenti in Italia, dimostrando che lo spazio di mercato c'è, eccome, sempre che si riesca a fornire alta qualità in modo competitivo e adattabile alle diverse esigenze».

Nei primi quattro mesi del 2023 i formaggi duri non Dop hanno incassato in Gdo oltre 107 milioni di euro, ossia il 15% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Una crescita dettata dall'aumento dei prezzi, che restano comunque inferiori rispetto a quelli delle Dop: 13,4 euro/kg di media contro i 14,7 euro del Padano e i 18,2 euro del Parmigiano.

Grana Padano e Parmigiano: basta sottocosto

Ma proprio quello che finora è stato il punto di forza dei formaggi grana generici ora rischia di bloccarne la crescita. La ragione è la battaglia sui prezzi che si sta giocando sul mercato dei formaggi, ridisegnato dalle nuove politiche commerciali decise dalle insegne della Gdo. Da un lato i forti rincari sui formaggi freschi (arrivati anche a 10 euro al kg di prezzo medio) e dall'altro i robusti sconti applicati a quelli duri Dop (considerati come traffic driver per i punti vendita) hanno ridotto la forbice dei prezzi tra queste due famiglie casearie.

E i consumatori hanno reagito all'inflazione in modo diverso: privilegiando i prodotti con prezzi al kg più elevato nei formaggi duri, vissuti come prodotti d'eccellenza, e riducendo la spesa per molti freschi, come crescenze o mozzarelle vaccine.

Una situazione insostenibile per i Consorzi del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano, che si sono alleati (per la seconda volta, dopo la battaglia anti Nutriscore) per condannare le manovre speculative attuate dai commercianti. Entrambi hanno approvato una delibera in cui si ribadisce che la vendita sottocosto di Padano e Parmigiano, ottenuta riducendo il prezzo nei passaggi intermedi della filiera, rappresenta una concorrenza sleale perché elude la normativa su questa pratica commerciale. Non solo, provoca anche danni all'intero comparto perché trasmette ai consumatori un'errata percezione del prezzo di questi due formaggi, genera un'asimmetria concorrenziale tra gli operatori al dettaglio a livello locale e provoca riflessi speculativi che possono scaricarsi sul mercato all'offerta.


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