Il 30 gennaio in Cassazione i ricorsi del governo sui migranti contro il tribunale di Catania
I giudici catanesi hanno messo in discussione uno dei capisaldi del decreto Cutro, nella parte che introduce procedure accelerate alla frontiera per chi arriva da un Paese inserito nella lista di quelli sicuri, come è la Tunisia
I punti chiave
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Saranno discussi in udienza pubblica dalle Sezioni unite civili della Cassazione il 30 gennaio 2024 i ricorsi dell’Avvocatura dello Stato per il ministero dell’Interno contro i provvedimenti con i quali il Tribunale di Catania ha negato la convalida del trattenimento di migranti nel centro di Pozzallo. Lo ha deciso la Corte con un provvedimento a firma dalla presidente Margherita Cassano.
I magistrati della sezione immigrazione del tribunale di Catania non hanno convalidato i trattenimenti, disposti dal questore di Ragusa in applicazione del cosiddetto “decreto Cutro”, perché violerebbero la direttiva europea 33 del 2013.
Il braccio di ferro tra governo e magistrati di Catania
L’estate con le pronunce di Catania sui migranti ha segnato una delle fasi più accese del confronto tra governo Meloni e magistratura. Nel solo ottobre le ordinanze dei magistrati di Catania Iolanda Apostolico e Rosario Cupri hanno “liberato” 19 tunisini richiedenti asilo trattenuti nell’apposito Centro creato a Pozzallo (Ragusa), in attesa di essere rimpatriati dopo un rapido esame della domanda. Un braccio di ferro che aveva spinto l’esecutivo a compiere il passo ufficiale: l’Avvocatura dello Stato aveva infatti presentato i ricorsi in Cassazione contro le mancate convalide del trattenimento dei migranti. I ricorsi, aveva spiegato l’Avvocatura, «sottopongono alla Suprema Corte l’opportunità di decidere a Sezioni Unite, per la novità e il rilievo della materia».
Giudici catanesi contro il decreto Cutro
In particolare, quello messo in discussione dai giudici catanesi è uno dei capisaldi del decreto Cutro , nella parte che introduce procedure accelerate alla frontiera per chi arriva da un Paese inserito nella lista di quelli sicuri, come è appunto la Tunisia. In sostanza, l’iter prevede che la decisione sulla domanda di asilo venga evasa in quattro settimane e, in questo periodo di tempo, i richiedenti siano trattenuti un centro di accoglienza per essere subito rimpatriati in caso di diniego.
I magistrati: violata la direttiva europea 33 del 2013
I magistrati della sezione immigrazione del tribunale etneo hanno però bocciato il provvedimento del governo, non convalidando i trattenimenti chiesti dal questore di Ragusa perché violerebbero la direttiva europea 33 del 2013. Secondo Apostolico e Cupri il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda; la procedura di frontiera avrebbe dovuto inoltre essere svolta a Lampedusa, luogo di sbarco, dove il migrante ha manifestato la volontà di chiedere protezione e, infine, il pagamento di una somma a garanzia (i famosi 5mila euro) come mezzo per evitare il trattenimento è incompatibile con le norme Ue secondo cui il trattenimento può esser disposto solo sulla base di una valutazione caso per caso, quando «non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive».
La risposta dell’Avvocatura dello Stato
Nei ricorsi l’Avvocatura dello Stato affronta i punti critici della motivazione delle ordinanze impugnate, in particolare il riferimento alla violazione della direttiva Ue. In proposito, sostiene la presidenza del Consiglio, «a differenza di quanto sostenuto nelle ordinanze, la direttiva prevede procedure specifiche alla frontiera o in zone di transito, per decidere sulla ammissibilita’ della domanda di protezione internazionale, se il richiedente non ha documenti e proviene da un Paese sicuro». Poi, prosegue, la stessa normativa europea «stabilisce alternativamente il trattenimento o il pagamento di una cauzione, e quindi non vi e’ ragione per disapplicare i decreti del questore che fissano l’uno o l’altro». Inoltre, «la direttiva contempla la possibilità che il richiedente sia spostato in zona differente da quella di ingresso, se gli arrivi coinvolgono una quantità significativa di migranti che presentano la richiesta». E infine, «in caso di provenienza del migrante da un Paese qualificato “sicuro”, deve essere il richiedente - ha sottolineato Palazzo Chigi - a dimostrare che, nella specifica situazione, il Paese invece non sia sicuro, senza improprie presunzioni da parte del giudice».
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