Il balletto dei banchieri Bce (e degli analisti) che tiene ingessate le Borse
Orfane di Wall Street, le Borse europee si aggrappano alle speranze di una pausa Bce sui tassi. Ma Lagarde e gli altri membri del Consiglio non regalano per il momento certezze.
di Maximilian Cellino
2' di lettura
Orfane dell’abituale guida di Wall Street, chiusa lunedì per il Labor Day, le Borse europee non riescono a ingranare la marcia. Non basta infatti la ventata di ottimismo proveniente dall’Oriente, legata alle misure di stimolo delle autorità cinesi per evitare guai peggiori al settore immobiliare che si sono tradotte in un balzo del 2,5% per Hong Kong e anche alle indicazioni favorevoli sugli utili delle aziende giapponesi che hanno sostenuto il Nikkei.
I dubbi del mercato
A frenare i listini del Vecchio Continente contribuisce infatti la perdurante incertezza sulle mosse di politica monetaria della Bce (e anche quelle della Federal Reserve americana) che si avvicinano rapidamente. Così Piazza Affari ha chiuso praticamente invariata a -0,01%, leggermente meglio di Parigi (-0,24%) e Francoforte (- 0,10%), in una giornata in cui i rendimenti dei titoli di Stato sono ancora leggermente cresciuti: 2,58% il decennale tedesco e 4,30% il BTp pari scadenza con uno spread quindi in salita a 172 punti base.
E non è certo un caso se la parziale ritirata dell’azionario, dopo un avvio promettente in scia alle vicende cinesi, sia arrivata dopo le parole pronunciate da Christine Lagarde. Ribadendo che «l’inflazione sarà riportata tempestivamente al 2%», il presidente della Bce non ha in sostanza detto niente di nuovo, ma non ha neppure fatto concessioni a quanti si augurano finalmente una pausa nell’ondata di rialzi di interesse nella riunione fissata il 14 settembre.
Le scommesse sulla prossima riunione
Gli investitori restano in sé mediamente convinti della possibilità di uno stop momentaneo nel ciclo di strette, tanto che i mercati monetari assegnano una probabilità soltanto del 25% a un ulteriore aumento fra 10 giorni (il 10% per una Fed che invece darà il proprio responso la settimana successiva, il 20 settembre). Dalle banche d’affari arriva tuttavia un avvertimento a non fidarsi troppo: Ubs si aspetta fin da subito un ritocco del tasso sui depositi al 4% che potrebbe essere quello conclusivo, così come Hsbc assegna ancora una probabilità leggermente più alta all’ipotesi che la Bce aumenti il costo del denaro piuttosto che a una pausa.
L’impressione in effetti è che i banchieri centrali , oltre che essere «dipendenti dai dati macroeconomici» come più volte sottolineato, siano ancora piuttosto in disaccordo. Ancora ieri, per esempio, al portoghese Mario Centeno che metteva in guardia sul fatto che «si rischia di fare troppo» sui tassi, il tedesco Joachim Nagel ha risposto prontamente che «occorre fare di più» sulle riserve obbligatorie per ridurre l’eccesso di liquidità nel sistema, altro tema non secondario per la politica monetaria.
Via libera al compromesso?
L’idea, insomma, è che si possa alla fine raggiungere un compromesso: «Se la Bce deciderà di tenere i tassi fermi, ci aspettiamo però che lasci la porta aperta per un ulteriore rialzo a ottobre», indica Reinhard Cluse di Ubs, al quale fanno in qualche modo da contraltare Fabio Balboni e Simon Wells di Hsbc quando spiegano in alternativa che «la Bce potrebbe rialzare ma segnalare una pausa in ottobre, mantenendo un orientamento restrittivo». Comunque vada, non è certo finita.
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