Il boom del mercato vintage: gli acquisti corrono online
Abiti pre-amati: è questo il nuovo modo di definire i capi usati e riacquistati per la seconda volta. Che rappresentano un enorme giro di affari.
di Alexander Fury
8' di lettura
In un magazzino a Tourcoing, comune francese al confine con il Belgio, si trovano centinaia di Birkin Hermès, in compagnia di altrettante Chanel 2.55, un mucchio di scarpe Nike e decine di appendiabiti pieni dei vestiti più variegati: i maglioni di Balenciaga si contendono lo spazio con gli abiti in pizzo di Chloé, accanto a qualche pezzo contemporaneo di marchi come Ganni e Acne. Anche se spesso sono intatti, e tanti addirittura portano ancora attaccato il cartellino del negozio, non sono affatto nuovi: sono alcuni degli articoli messi in vendita su Vestiaire Collective , un sito internet dedicato all'ormai fiorente e multi-sfaccettato business dei vestiti di seconda mano. Per renderlo più accattivante oggi si parla di “rivenduto” o “pre-amato”, fatto sta che questo mercato vale al momento 24 miliardi di dollari ed è destinato a superare i 50 miliardi nel 2023, secondo le stime.
Il termine onnicomprensivo per questi pezzi è vintage e il fascino che esercitano oggi non è niente di nuovo, perdonate il gioco di parole! La moda è sempre stata ossessionata dal rétro, fin dagli anni Settanta – il decennio in cui Yves Saint Laurent vestiva le modelle rifacendo abiti da sera e platform anni Quaranta ispirati a sua madre, e che poi divennero sinonimo di quella nuova epoca, così come lo erano stati della precedente. Bryan Ferry e i Roxy Music si vestivano con il classico stile militare rétro di Humphrey Bogart e i ragazzi ricreavano quei look con capi recuperati al mercatino delle pulci. E poi di nuovo, personalità come Paloma Picasso e Loulou de la Falaise alla ricerca di abiti vintage autentici – non delle imitazioni. Il vintage venne messo da parte negli appariscenti anni Ottanta, per poi riemergere negli anni Novanta, nelle boutique di alta gamma come Decades e Resurrection a Los Angeles e Rellik a Londra, con un intenso giro di affari. Oggi i servizi di moda delle riviste più patinate sono stracolmi di abiti vintage. Per molto tempo il vintage è stato visto in due modi diversi: prezioso, irraggiungibile e conservato con cura, oppure stantio, superato, quasi ammuffito e decisamente economico.
Ora però è nata una terza via, aperta e guidata da un piccolo numero di piattaforme di vendita, ciascuna con un approccio diverso e ben definito rispetto ai consumatori, ai prodotti e al trattamento dei vestiti di seconda mano. Tutti questi store sono fioriti nel giro di un decennio e si concentrano sul mercato online. Vestiaire Collective, il più vecchio, è nato nel 2009, con immagini e prezzi generati dagli utenti in modo simile a eBay; The RealReal , fondato nel 2011, ha il suo inventario fotografato dai clienti su sfondo bianco e ricorda il sito internet di un grande magazzino americano; Depop , sempre fondato nel 2011 e rivolto apertamente alla Generazione Z, ricorda Instagram; Grailed , invece, lanciato nel 2014, vende solo vestiti da uomo, soprattutto streetwear sponsorizzato e brand di moda. C'è poi Byronesque , più di nicchia, con un audace team di designer, e Re-See , che propone eleganza iconica e molti articoli di Hermès – provenienti da rivenditori e guardaroba di grande notorietà. Queste piattaforme hanno dato una scossa al settore del vintage.
«Fino a poco fa questo mercato veniva etichettato come antiquato, rétro, usato a poco prezzo», spiega la fondatrice di Byronesque, Gill Linton. La ri-vendita ha cancellato le distinzioni tradizionali e include capi di seconda mano di qualsiasi periodo – che sia l'ultima stagione o l'ultimo decennio – e per qualsiasi budget. «Proprio come la moda contemporanea soddisfa tanti clienti diversi, così accade nel mercato del riuso», continua Linton. Il vintage ha guadagnato importanza per una lunga serie di ragioni. Prima di tutto promuove la sostenibilità e l'economia circolare. «Mai come ora le persone stanno mettendo in dubbio le proprie abitudini e cercano alternative ecocompatibili nei consumi di moda, incrementando così la domanda e l'offerta di articoli di seconda mano», spiega Sophie Hersan, cofondatrice e direttrice di moda di Vestiaire Collective. «La pandemia ha accelerato questo processo di transizione, che si potrebbe riassumere: indossa di più, consuma di meno». A differenza della crisi e della contrazione delle vendite che tutti i grandi brand stanno subendo a causa del Covid-19, la rivendita digitale, negli ultimi mesi, è cresciuta, vuoi per il nuovo senso di frugalità, vuoi perché gli acquisiti online in generale hanno registrato un'impennata. Dopo il minimo toccato a marzo, eBay ha visto più che raddoppiare il prezzo delle sue azioni: i vestiti e gli accessori, pari a circa il 16 per cento dei prodotti venduti sul sito, rappresentano la seconda più vasta categoria di vendita, appena dietro all'elettronica. Vestiaire Collective ha segnato un aumento del 101 per cento rispetto allo scorso anno negli articoli depositati (cioè quelli inseriti dai privati che vogliono vendere tramite il suo marketplace). Re-See ha registrato un aumento del 15 per cento nelle vendite e una crescita nelle dimensioni medie del carrello dei clienti.
La pandemia non influenza solo l'aspetto economico, ovviamente, ma anche quello creativo. Nei periodi di crisi, la moda di solito tende a ritirarsi nella nostalgia del passato. Proprio come il New Look di Christian Dior incoraggiava un'Europa martoriata dalla guerra a distrarsi dalla cupa realtà, anche oggi, in questo periodo difficile, molti consumatori sono tornati a guardare indietro. Tuttavia il vintage del XXI secolo non replica i look di un determinato periodo storico, piuttosto punta a trovare pezzi unici da mixare in un outfit contemporaneo. Questa tendenza è confermata dal fatto che molti degli articoli cosiddetti vintage hanno in realtà meno di vent'anni. C'è un enorme mercato delle creazioni di Nicolas Ghesquière dei primi anni 2000 per Balenciaga, ad esempio. Gill Linton di Byronesque, secondo cui «tutti indossano i modelli di Ghesquière, nessuno li colleziona», definisce il suo assortimento «vintage contemporaneo» e conferma che alcuni articoli rari e molto desiderati vengono venduti a migliaia di sterline. «Scegliamo solo capi che, a nostro avviso, rappresentano la modernità», precisa Sofia Bernardin, che ha lanciato Re-See nel 2013 in collaborazione con la stilista Sabrina Marshall. «Non si tratta solo di vendere prodotti di marca di seconda mano o vintage antiquato, ma di capire come la donna moderna voglia vestirsi oggi».
In realtà sembra strano parlare di vintage riferendosi ai primi anni 2000, quando molti dei professionisti di allora sono ancora attivi, e lo stile sembra attuale, ma questo aspetto è parte integrante della nuova diffusione del vintage. «Una delle più grosse collezioni della passerella di Helmut Lang è stata venduta a Kanye [West]», racconta Gill Linton, e c'è anche grande richiesta per i modelli del compianto Azzedine Alaïa, celebrato per la sua maestria nel taglio. Alcune maison di moda sono addirittura autoreferenziali. Prada ha creato una gamma di borse che sono riedizioni di modelli del 2000, 2005 e 2006 in nylon, riproponendo, per esempio, la sua borsa Bowling della p/e 2000 – la stessa stagione in cui Dior lanciò Saddle, borsa rielaborata poi con successo in una moltitudine di varianti da donna e da uomo. In entrambi i casi, si è scatenato un comprensibile effetto domino di persone alla ricerca dei modelli originali – su Vestiaire Collective le ricerche per “Prada Nylon” sono aumentate al 353 per cento. Al contempo, le versioni vintage di Dior vengono vendute a circa il 50 per cento del prezzo attuale.
Depop si connette intrinsecamente a questa nostalgia. Fondato in Italia nel 2011 e ora con sede a Londra, è il sito preferito dai teenager e dai ventenni perché è una giusta combinazione tra social media e piattaforma di vendita. I beni acquistabili qui attraversano tutta la gamma dei prodotti, dai jeans con logo Dior ai corsetti di Vivienne Westwood – di recente tornati in voga grazie a Megan Thee Stallion, Bella Hadid e FKA Twigs – fino ai capi tipici di Londra o addirittura senza etichetta, spesso recuperati da negozi di articoli usati venduti per beneficenza. Il comune denominatore è il gusto giovane. Ci sono anche decine di imitazioni in vendita, per un prezzo di gran lunga inferiore alle cifre a tre zeri che può pretendere Vivienne Westwood. Su Depop l'accessibilità è la regola chiave: i venditori propongono gli articoli per cinque o dieci sterline, invece che per centinaia. Come avviene in tutte queste piattaforme, c'è una schiera di utenti che vendono i loro vestiti dopo una sola stagione, o addirittura dopo averli indossati una sola volta.
Fanny Moizant, altra cofondatrice e ora presidente di Vestiaire Collective, descrive la nostra epoca come «la fine del possesso». «Ricordo che mia madre comprò una giacca di pelle come investimento», racconta. «Oggi sarebbe impensabile. Penso che l'industria della moda veloce e i social media abbiano cambiato del tutto questa prospettiva». Se un'influencer come Kim Kardashian West sceglie un particolare capo vintage, i prezzi possono schizzare alle stelle, come è successo di recente: dopo che ha indossato una gonna Dior dell'era Galliano a stampa di giornale, i siti di vendita online si sono letteralmente svuotati e i pochi esemplari rimasti ora si possono acquistare a migliaia di sterline. Pezzi rari di stagioni recenti e ancora attuali possono essere venduti anche a prezzi superiori a quelli di partenza. «Bottega Veneta ha registrato un'impennata negli ultimi mesi – 520 per cento in più rispetto allo scorso anno in termini di ricerche», continua Fanny Moizant. Una delle icone del brand è la borsa Cassette con tracolla a catena, in vendita a un prezzo di 500 sterline superiore a quello originario.
E ora che cosa accadrà? La moda vintage ha cominciato ad individuare dei filoni, dei veri e propri trend che si ripetono: la gonna a stampa di giornale di Kim Kardashian e le borse Saddle sono un esempio del generale incremento di interesse per l'opera di John Galliano da Dior. Un fenomeno che si è visto a 360 gradi: i prezzi delle aste sono schizzati verso l'alto, così come la rivendita su Depop. L'anno scorso, Charli XCX indossò una tuta di Jean Paul Gaultier con stampa di Victor Vasarely della collezione Cyber del 1995, scatenando una vera e propria smania per questi prodotti. Al di fuori delle dinamiche degli influencer, i brand più popolari non sono certo una sorpresa: su Vestiaire Collective i best seller sono Louis Vuitton, Dior, Gucci e Hermès; su Re-See Céline di Phoebe Philo, Saint Laurent Rive Gauche e “ovviamente” Chanel. Su Byronesque, Margiela e Helmut Lang sono tra quelli che più conservano il loro valore.
Quando chiedo a Gill Linton che cosa accadrà in futuro, risponde senza esitazioni: «Scommetto tutto su Chloé di Stella McCartney. È veramente incredibile quello che ha fatto alla guida del brand, è la versione rock della ragazza di Ghesquière. Ora che prevale un look più informale, saranno in molti ad andare alla ricerca di quello stile casual ma comunque ricercato tipico della fine anni Novanta-inizio Duemila». Appartenendo alla Generazione Y più che alla Generazione Z, ricordo quegli anni in prima persona. Perciò ne sono attratto io stesso, in parte per la nostalgia della mia adolescenza, in parte perché i vestiti prodotti allora erano semplicemente fantastici. Le borse Louis Vuitton decorate con i graffiti del compianto designer e artista Stephen Sprouse, per esempio; i larghi maglioni inside-out di Margiela o le collezioni di Balenciaga realizzate da Ghesquière, che riconfiguravano la silhouette attraverso tweed, jersey e denim... La loro innata e duratura indossabilità è la grande differenza con la loro controparte di alta moda degli anni Cinquanta o persino degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta (qualcuno vuole davvero indossare ancora le spalline?). Forse ci dice qualcosa della natura autoreferenziale di quest'epoca – o, magari, della sua mancanza di identità – il fatto che questi capi non ricordano lo stile di vent'anni fa, ma piuttosto una moda capace di regalarci ancora un pizzico di eccitazione se la vedessimo realizzata dagli stilisti. Paradossalmente, questa ridefinizione del vintage sembra ancora rilevante e, cosa ancora più strana, sembra nuova.
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