ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùIl dibattito sull’AI

Il cane che può camminare sull’acqua e l’intelligenza artificiale che non nuota

Nel dibattito, a tratti surreale, sull’intelligenza delle macchine è legittimo che ci si preoccupi di riflettere seriamente, con le migliori risorse possibili, sull’impatto che l’evoluzione della AI avrà su dimensioni anche rilevanti del nostro vivere

di Massimo Chiriatti* e Mario Ubiali**

 Il cantautore statunitense Frank Ocean con in braccio un bambino-robot: sarà uno dei protagonisti del festival artistico di Coachella Valley in California

3' di lettura

In una vecchia storia circolante nei fumosi bar della Bassa Padana, si raccontava di un miracoloso cane da caccia. Il cane aveva la particolarità di camminare sull’acqua. L’orgoglioso padrone decideva quindi di convocare un gruppo di amici, mostrando loro che lanciando un bastone nel fiume, il prodigioso animale l’avrebbe riportato correndo sul pelo dell’acqua. Dopo varie dimostrazioni, il padrone entusiasta si trovava a chiedere a un amico perplesso la ragione di tale freddezza. «Mi spiace - diceva quello -: questo cane non imparerà mai a nuotare».

Questa storiella è tornata alla mente nelle ultime settimane, mentre infuria un dibattito pubblico - a tratti surreale - sull’intelligenza artificiale, che corrisponde sul piano accademico e di ricerca a un altrettanto copioso scambio di opinioni tra alcune delle menti migliori del pianeta. Così, tra Chomsky sul New York Times e i 1.600 firmatari della lettera partita dalla Silicon Valley, è spuntata una nuova emergenza.

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Lo scollamento tra aspettatica e realtà

Non possiamo evitare di pensare che ci sia uno scollamento fondamentale – una confusione? - tra aspettativa e realtà, oppure - peggio ancora - tra mezzi e fini e infine - sempre peggio! - tra Umano e non-Umano. Glorifichiamo un’AI che cammina sull’acqua e ci preoccupiamo delle conseguenze, mentre dimentichiamo che non ha nemmeno imparato a nuotare. Forse un po’ di sano buonsenso ci potrebbe aiutare. Fuor di metafora, proponiamo due riflessioni per aiutare a mettere a fuoco la questione.

La prima è che i timori sull’opacità della AI siano ragionevoli e sani, ma solo se essi sono chiaramente legati a una specifica funzione che abbiamo attribuito alla AI nell’infosfera, cioè in quell’enorme porzione della realtà in cui tutti viviamo e che chiamiamo ecosistema digitale.

Non c’è motivo di riflettere sull’AI applicata alle reti energetiche o a un macchinario industriale che incarta biscotti. Ma è indispensabile pensarci in relazione ad aspetti cruciali del funzionamento sociale.

Se l’AI ha la capacità di re-ontologizzare la realtà (come ci insegna la sottile mente di Luciano Floridi), questo avviene specialmente nell’ambito del rapporto con la cosiddetta realtà: dove prendiamo informazioni, come studiamo, che cosa leggiamo, che cosa vediamo (o non vediamo).

L’impatto dell’AI sulla nostra vita

È un aspetto della nostra quotidianità che ha ormai assunto un’importanza capitale, sia sul piano individuale che su quello collettivo. È dunque legittimo che ci si preoccupi di riflettere seriamente, con le migliori risorse possibili, sull’impatto che l’evoluzione della AI potrebbe avere su dimensioni anche rilevanti del nostro vivere.

La seconda riflessione è che stiamo perdendo un’opportunità notevole. Perché, invece che concentrarci solamente su quel che debba essere pensato in merito all’AI, non possiamo partire da un punto di vista diverso? Perché non partire da ciò che rende unico l’Umano? Forse, chiarendo a noi stessi che cosa riconosciamo come Umano potremo di conseguenza comprendere, demistificare e ridefinire quel che ci aspettiamo dall’AI. Nel farlo, potremmo di conseguenza attribuirle la naturale funzione di “sistema non-Umano” che crediamo le debba competere, definendone serenamente ambiti applicativi e funzionali.

Qui entriamo in un campo minato. Sia perché il tema è altamente complesso – dunque non facile – sia perché parlare di che cosa caratterizzi l’Umano equivale a evocare in campo intellettuale l’analogo del tifo calcistico al bar sotto casa. Bagarre quasi certa. C’è però un valore ulteriore e importante in questa possibile direzione: significa impegnarsi su una strada costruttiva e condivisa. Accostarsi al cerchio del dibattito sull’Umano è di per sé un atto sano, rigenerante, che tende alla costruzione di una comunità di pensiero. È uno sforzo politico nel senso più nobile ed evoca il valore intramontabile del dialogo.

L’Umano è pensiero calato in una corporeità: noi pensiamo grazie alla base biologica del nostro esistere. Questo aspetto di cosiddetto embodiment conduce invariabilmente al valore delle emozioni: ci piacerebbe che tornassimo a parlare delle emozioni e del loro profondo rapporto con la comprensione del mondo.

Recuperando appieno il ruolo che le emozioni giocano nella formazione della nostra identità e delle nostre relazioni, nel comportamento e nella comprensione del mondo, riusciremo a guardarci in uno specchio onesto, nel quale il nostro contorno di Umani sia comprensibile e definito. Così forse potremo vedere meglio che cosa pensiamo possa essere l’AI in questo universo complesso che abitiamo.

Magari ci accorgeremo che ci serve un cane che nuota e non uno che cammina sull’acqua. Per quello bastano i sogni. E l’AI non sa sognare.

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