Il caos forniture investe il tessile «Nuova Cig e moratoria sui debiti»
Il presidente di Smi Sergio Tamborini: «A rischio c’è l’intero sistema Tessile-moda-accessorio. Dobbiamo frenare il corso degli eventi con tutti gli strumenti in nostro possesso»
di Giulia Crivelli
I punti chiave
- La Guerra in Ucraina ha inasprito problemi già in essere come i costi di energia e materie prime
- Secondo il presidente di Smi ora tutto il sistema tessile-moda-accessorio (che fattura circa 90 miliardi) è a rischio
- Tra le misure auspicate ci sono una cassa integrazione straordinaria e una moratoria sui debiti
3' di lettura
I rincari dell’energia, delle materie prime chimiche e della logistica erano iniziati ben prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, come effetto collaterale della ripresa globale post Covid. Ma nessuno, fino al 24 febbraio, aveva voluto o potuto prevedere gli aumenti esponenziali che stanno colpendo ogni Paese e settore economico.
A rischio tutto il sistema moda made in Italy
Sergio Tamborini, presidente di Sistema moda Italia (Smi), ricorda i numerosi allarmi lanciati da molti attori della filiera fin dall’autunno-inverno 2021. Non ha però difficoltà ad ammettere che ogni analisi o soluzione proposta allora appare oggi insufficiente e che a rischio c’è l’intero Tessile-moda-accessorio (Tma), non solo la componente più manifatturiera, quella del tessile, rappresentata da Smi, l’associazione più importante in termini di fatturato e addetti tra quelle federate in Confindustria Moda. «La ripresa nel 2021 c’era stata eccome, benché non uniforme: i grandi nomi e marchi, la parte a valle della filiera, avevano ripreso a correre – conferma Tamborini, che è anche ceo del gruppo tessile Ratti –. Le aziende più fragili però erano ancora in difficoltà, pur vedendo una flebile luce alla fine del tunnel, a causa delle loro dimensioni o perché posizionate a monte del sistema produttivo, dove i margini sono strutturalmente e storicamente diversi».
Il cauto ottimismo “a macchia di leopardo”, come la ripresa, era stato confermato dai primi eventi del 2022, a cominciare dal Pitti Uomo di gennaio, dove Smi aveva presentato il consorzio Retex-Green, confermando l’impegno sulla sostenibilità, nonostante sulla transizione ecologica si stessero addensando nubi già da qualche mese.
Segnali positivi erano arrivati anche in febbraio da Milano, con la settimana della moda donna e le fiere di settore, sulle quali però è piombata la notizia dell’invasione. «Da allora la situazione è precipitata e dobbiamo assolutamente frenare il corso degli eventi con tutti gli strumenti in nostro possesso – dice il presidente di Smi –. E per tutti intendo imprenditori, associazioni e Governo. Il sistema moda non viene citato come energivoro, ma la parte a monte lo è: parlo di nobilitatori, filatori, tessitori, strategici per la qualità del prodotto finale e per il valore aggiunto del made in Italy. Alcune aziende potrebbero fermare gli impianti per non produrre in perdita, altre dovranno lasciare a casa le persone, altre ancora potrebbero chiudere per sempre».
Le misure che possono tamponare l’emergenza
Per tamponare questa prima emergenza Tamborini ha una richiesta chiara e forte: «Dobbiamo reintrodurre un meccanismo come la cassa Covid, vitale soprattutto per le Pmi, che sono la maggioranza nella parte a monte della filiera, quella più manifatturiera. Dobbiamo farlo per salvaguardare l’occupazione e l’integrità del sistema».
Come spesso accade in tempi di crisi, le aziende più fragili possono diventare prede: finora le acquisizioni di terzisti, dalla pelletteria alle calzature, passando per tessile e confezione, sono state fatte soprattutto da società e fondi italiani (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), a differenza di quanto è accaduto per i marchi storici di accessori e abbigliamento, entrati negli ultimi decenni in gruppi francesi, americani o cinesi. Ma il rischio che tasselli importanti della filiera finiscano in mani straniere esiste: «Lvmh, Kering e Chanel hanno fatto acquisizioni in varie regioni, di concerie ad esempio», ricorda Tamborini, aggiungendo che nessuno sarà immune dalle conseguenze della guerra mossa dalla Russia all’Ucraina. «Non è possibile assorbire aumenti simili dei costi, che riguardano anche la logistica, neppure per le aziende più grandi. Ma torno a ripetere: sono le Pmi, anche a valle, con una presenza diretta sul mercato, a rischiare di più».
Ed ecco la seconda, grande, emergenza, l’indebitamento legato all’aumento di ogni voce di bilancio, comprese quelle legate ai magazzini. «Da una parte il sistema moda, negli ultimi anni, ha accelerato, abbreviando i cicli di vita dei prodotti – conclude Tamborini –. Dall’altra, prima per il Covid e ora per la guerra, i costi di trasporto sono saliti e i tempi si sono allungati. Da qui la necessità di investire nelle attività di magazzino e accumulo di scorte. Serve una moratoria sui debiti, sempre sull’esempio delle misure legate all’epidemia».
Sulle due emergenze, occupazione e debiti, tutte le associazioni di Confindustria Moda continuano a confrontarsi, tra loro e con i sindacati. Il prossimo passo sono gli incontri a Roma, con i ministri del Lavoro e dell’Economia.
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