Interventi

Il capitale di rischio al servizio della transizione ecologica

di Alberto Calvo e Massimiliano Granieri

3' di lettura

Il recente e citatissimo studio dell'ONU sui cambiamenti climatici in atto riporta l'attenzione, ancora una volta, sul tema di uno sviluppo economico basato su innovazione, transizione ecologica e sostenibilità. Con il PNRR, l'Italia si è data un piano ambizioso e alcune missioni critiche per rilanciare l'economia nazionale affrontando le grandi sfide della crescita mondiale.
La parola chiave, da molti punti di vista, è quella della ‘transizione'. I sistemi socio-economici attuali derivano in parte da scelte che risalgono alla seconda rivoluzione industriale; un cambiamento come quello previsto dal PNRR non è pensabile nel breve termine, proprio perché quei sistemi sono frutto di una stratificazione storica fatta anche di coincidenze e convenienze di breve periodo.
Nelle pieghe delle molte pagine in cui è scritto il PNRR si scorge la visione diacronica del cambiamento, che è riassunta dal concetto stesso di transizione. Così come a più riprese la mano che scrive il PNR è cosciente che il cambiamento non è legato soltanto alla sostituzione delle attuali soluzioni con alcune nuove e a minor impatto ambientale verso Net Zero.
Il Governo ha già messo mano alle varie attività di riscrittura di alcune regole (alcune trasversali, come quelle sulla giustizia), mentre ora si lavora alle misure attuative che dovrebbero consentire il conseguimento degli obiettivi dichiarati nel Piano.
Con gli stock di tecnologia di cui disponiamo, l'asse dei tempi si allungherà di quanto necessario per far sì che le varie missioni siano compiute. In fatto di transizione ecologica (quella cui traguarda la Missione 2 del PNRR, dedicata alla rivoluzione verde e a sua volta articolata in quattro componenti), si punta tra l'altro sull'ampiamento nell'uso delle rinnovabili, sull'idrogeno, e sulla capacità di immagazzinamento dell'energia, sui sistemi di smaltimento dei rifiuti, innovazione e meccanizzazione del settore agricolo, utilizzo di nuovi materiali per l'edilizia, recupero e riciclo di tutte le risorse in ottica circolare.
C'è un punto, però, sul quale poco si è ancora poco riflettuto sia dentro sia al di fuori del PNRR: il ruolo della finanza e del capitale di rischio rispetto alla transizione ecologica. È vero che, per effetto della recente normativa eurounitaria, gli investimenti devono essere conformi ai valori ESG, ma qui si tratta molto di più di un semplice adempimento voluto dal legislatore. La transizione ecologica sarà tanto più breve e tanto più efficiente, quanto più spinta sarà la transizione tecnologica, cioè la capacità di aumentare e diversificare le soluzioni di cui oggi si dispone per dare risposta ai vari problemi che il PNRR indica compiutamente.
C'è un settore della finanza di rischio che si sta sviluppando – e che già viene identificato come science-based equity – che potrà dare un contributo decisivo alla transizione, così come in passato il mondo del venture capital ha prodotto imprese che hanno impresso un'accelerazione olimpica allo sviluppo umano. Dal microprocessore, alle tecniche di DNA ricombinante, a internet, e molto altro ancora, gli sforzi della scienza sono stati raccolti e nutriti da generazioni di investitori e di capitali, più o meno pazienti, ora di nuovo pronti ad affrontare la sfida di una crescita rispettosa dell'ambiente e responsabile rispetto allo sfruttamento delle risorse.
Nelle trecento e diciannove pagine del PNRR, il venture capital è citato una volta soltanto, ma all'interno della Missione che si occupa di ricerca, con una previsione che aggiunge risorse al Fondo Nazionale per l'Innovazione gestito da Cassa Depositi e Prestiti per il supporto al capitale di rischio. La falange nazionale (e non solo) di potenziali investitori deve essere sfidata con maggiore convinzione, prevedendo risorse che gli operatori privati dovrebbero investire coraggiosamente là dove la scienza offre soluzioni di discontinuità (oggi si direbbe ‘deep tech') rispetto ai paradigmi attuali di crescita economica e al patrimonio tecnologico abilitante.
La transizione non può essere soltanto sostituzione del vecchio con il nuovo di cui si dispone, ma anche immaginazione di ciò che ancora non esiste e che potrebbe accelerare esponenzialmente i processi di trasformazione divenuti ormai indifferibili. Se si guarda con attenzione alle esperienze più mature di altri paesi, si noterà che i grandi salti in avanti a base tecnologica sono per lo più figli di una alchimia magica del capitale privato che dà impulso ai frutti della ricerca pubblica.

Progress Tech Transfer Fund

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