Il cardinale Pizzaballa: «Per le azioni umanitarie siamo in contatto con Farnesina e Usa»
Il Patriarca di Gerusalemme dei Latini è intervenuto alla trasmissione di Radio24 Amici e Nemici - l’informazione della settimana
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«Siamo in contatto con la Farnesina, ho parlato personalmente con il ministro Antonio Tajani, e anche con il Dipartimento di Stato americano, per capire che cosa si può fare dal punto di vista umanitario. Nessuno sta pensando pubblicamente a cosa sarà dopo, ora la priorità è agire sull’emergenza». Così il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, alla trasmissione di Radio24 Amici e Nemici - l’informazione della settimana , condotto da Lucia Annunziata e Daniele Bellasio, a proposito del conflitto in corso tra Israele e Hamas.
La linea che può apparire equidistante della Chiesa, in Ucraina come tra israeliani e palestinese, fatica a portare a casa risultati, non trova?
Il mio compito non è quello di portare a casa un risultato, è quello di essere voce, di lavorare per la giustizia, ma anche di dire le cose con chiarezza, di non cedere al gioco molto facile che c’è qui, quello delle due narrative: uno contrapposto all’altro, quindi o stai con gli uni o stai con gli altri. Tutti e due sono parte della mia attività, del mio servizio. Ed è chiaro che in questo contesto di grande lacerazione, di grande tensione, anche se non porterai a casa alcunché, sarà però importante essere la voce che crede che sia possibile fare qualcosa insieme. Poi il tempo è galantuomo, ma se lo scopo è portare a casa subito i risultati, allora siamo falliti in partenza.
Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha ricordato come la Chiesa, in queste circostanze di crisi, può svolgere un ruolo di mediazione soprattutto sul fronte umanitario. C’è il tema, per esempio, degli ostaggi. Ecco, figure importanti dal punto di vista religioso come la sua possono in qualche modo svolgere un ruolo da questo punto di vista?
La disponibilità c’è senz’altro, non si discute, ma in questo momento, ripeto, in questo preciso istante, vedo ogni possibilità di mediazione non ancora possibile perché non c’è la volontà. Manca anche l’interlocutore. Con chi mediare dall’altra parte? Un’altra parte, realisticamente, in questo momento non c’è. Si dovrà attendere, penso, la fine delle ostilità militari, se non altro per capire con chi si potrà parlare, se c’è un interlocutore, se c’è una volontà di mediazione. La disponibilità senza altro c’è, ma sarà molto difficile: è una situazione totalmente nuova per noi. La difficoltà principale subito dopo questa guerra sarà non tanto ricostruire le macerie fisiche ma quelle relazionali.
In questo momento è difficile parlarsi, però anche la preoccupazione per il dopo è molto forte. Gli israeliani non vogliono un’altra occupazione di Gaza. Molti leader mondiali si muovono. La grande diplomazia americana è in moto. C’è l’idea di fare una nuova coalizione con dentro israeliani, alcuni Paesi arabi. In questo schema ci dovrebbe essere anche l’Autorità palestinese per gestire poi il futuro. Lei, voi, siete stati contattati, per esempio, dalla Farnesina o dagli americani per cominciare a discutere di queste cose?
Siamo in contatto con la Farnesina, ho parlato personalmente più volte con il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e anche con il Dipartimento di Stato americano, non tanto sul dopo, ma sull’ora, sul presente, per cercare di capire che cosa si può fare almeno dal punto di vista umanitario e naturalmente ho parlato anche della comunità cristiana di Gaza. Anche dopo sarà molto dura,ma credo che in questo momento nessuno stia pensando, almeno non pubblicamente, a che cosa sarà dopo.
Il popolo palestinese è diviso in due pezzi di territorio ma anche in due anime diverse tra loro: abbiamo una Cisgiordania guidata da al Fatah, cioè da un movimento più laico e più politico, mentre la Striscia di Gaza è governata da un gruppo considerato anche dall’Unione europea “terrorista” e ad alta intensità di integralismo religioso. Questa deriva integralista della popolazione palestinese è solo nella rappresentanza politica o è anche nel popolo?
L’elemento religioso è sempre maggiore. Nella regione ha sempre avuto, soprattutto l’Islam, un ruolo centrale nella vita pubblica e non c’era, già prima, una chiara distinzione, come c’è in Europa, tra una sfera laica e civile e una sfera religiosa. Detto questo, però, l’elemento religioso è sempre più determinante e cresce in maniera sempre direttamente proporzionale alla fragilità dell’autorità palestinese, dell’Olp.
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