Il caso degli aiuti speciali ai paesi deboli
Ad agosto 2021 il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ha erogato agli Stati membri 650 miliardi di dollari in Diritti Speciali di Prelievo (Dsp), al fine di consentire una risposta più efficiente alla crisi pandemica soprattutto nelle economie deboli
di Marcello Minenna
3' di lettura
Ad agosto 2021 il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ha erogato agli Stati membri 650 miliardi di dollari in Diritti Speciali di Prelievo (Dsp), al fine di consentire una risposta più efficiente alla crisi pandemica soprattutto nelle economie deboli. Si è trattato della più grande operazione di distribuzione organizzata dal Fondo, che ha triplicato (da 286 a 936 miliardi) l’ammontare in dollari di DSP a disposizione dei governi. La fetta più grossa è stata allocata alle grandi economie sviluppate, in base alla quota di partecipazione nel capitale del Fmi. I Dsp sono una valuta sintetica introdotta nel 1969 dal Fmi per regolare le transazioni dei Paesi membri con il Fondo.
Il valore di un Dsp è una media pesata derivata dalle quotazioni delle 5 valute fiat più diffuse sui mercati internazionali: il dollaro, l’euro, lo yen, la sterlina britannica e il renmimbi cinese.
Contabilmente i Dsp si aggiungono alle riserve valutarie dei Paesi membri come un asset esterno e non comportano variazioni nei conti finanziari verso l’estero, in analogia con quanto accade ad esempio con un conferimento di oro estratto direttamente dalle miniere nazionali.
Allo stesso tempo un Dsp non può essere speso direttamente sul mercato, ma deve essere obbligatoriamente convertito in valute fiat attraverso l’intermediazione del Fmi sul mercato delle Vta (Voluntary transactions agreements, Vtas).
Nei mesi successivi alla maxi emissione, ci sono state continue dichiarazioni ufficiali da parte dei Paesi sviluppati sull’imminente cessione gratuita di 114 miliardi di Dsp ricevuti ai Paesi in difficoltà.
Mettendo insieme tutte le dichiarazioni su future cessioni gratuite di Dsp, il quadro che viene fuori è il seguente. I principali Paesi donatori dovrebbero essere: Cina (previste donazioni per 7,3 miliardi di DSP), Giappone (5,9), Regno Unito (3,9) e Francia (3,9); grosso modo le cifre messe a disposizione sarebbero circa il 20% dei Dsp ricevuti attraverso la maxi emissione. Secondo stime ottimistiche, si potrebbero rastrellare 59 miliardi di Dsp da donare, ma a una ricognizione più realistica e conservativa, a mio avviso si potrebbe arrivare a non più di 25 miliardi.
Gli Usa detengono la più grande riserva di Dsp del mondo (162 miliardi), ma a oggi il Congresso non ha concesso l’autorizzazione a cessioni gratuite, anche se il tema è tornato di nuovo all'attenzione del legislatore.
I principali canali utilizzabili per le donazioni di Dsp sono il Fondo per la riduzione della povertà e la crescita (Poverty reduction and growth facility, Prgt) e il Fondo per la resilienza e la sostenibilità (Resilience and sustainability trust, Rst). Nonostante i gestori dei fondi abbiano ottenuto promesse da diversi governi (fino a 12,6 miliardi per il Prgt e addirittura 29 miliardi per il Rst) e ci sia stato l’avvio di complessi processi burocratici, il trasferimento di risorse è lungi dallo sbloccarsi.
A inizio 2023, occorre infatti constatare come de facto nessun Dsp sia stato donato. In compenso è cresciuto notevolmente il mercato delle cessioni volontarie di Dsp a titolo oneroso (Vtas), anche se soltanto il 4% dei 650 miliardi erogati nel 2021 è stato mobilizzato.
In altri termini, i paesi sviluppati hanno scambiato dollari e altre valute in cambio di Dsp dei Paesi in via di sviluppo, accrescendo paradossalmente i propri stock. Insomma, su un tema così importante come l’espansione degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo, restano molte chiacchiere, pochi fatti.
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