Il caso Lavorini, tra pedofilia e strategia della tensione
di Andrea Di Consoli
4' di lettura
Viareggio, 31 gennaio 1969. Un dodicenne, Ermanno Lavorini, figlio di commercianti, esce di casa alle 14.30, ma non torna più, scompare nel nulla. La famiglia e l'intera città iniziano una disperata ricerca del ragazzo, che verrà trovato senza vita il 9 marzo, seppellito malamente sulla spiaggia di Vecchiano.
Nel frattempo, a Viareggio, succede di tutto: i cronisti di cronaca nera di tutti i quotidiani italiani stanno sul “caso”, iniziano i primi interrogatori dei sospettati, telefonate anonime, depistaggi, isterie, molti “si dice”, ma, soprattutto, si scatena una orrenda caccia alle streghe, perché il sospetto è che Ermanno sia stato ucciso da qualche “invertito” che frequenta la Pineta, un luogo che i viareggini scoprono essere infestato da prostituzione minorile e da pedofili. Il clima si fa teso, e cresce il bisogno di trovare subito un colpevole.
Al centro dell'inchiesta ci sono principalmente due ragazzi. Si chiamano Marco Baldisseri e Rodolfo Della Latta. Interrogati numerose volte, cambiano continuamente versione, accusando molti innocenti di Viareggio senza fornire descrizioni verosimili. Un pezzo della “Viareggio bene” rischia il linciaggio e subisce un processo mediatico di inaudita ferocia. La principale vittima è Adolfo Meciani, un uomo facoltoso che viene accusato di pedofilia e dell'omicidio di Ermanno Lavorini. Distrutto psicologicamente da queste accuse, tenta più volte il suicidio. Nel frattempo, come altri, è costretto a subire ogni tipo di accusa e a esporre al pubblico disprezzo la propria segreta bisessualità. Il 7 maggio tenta l'ennesimo suicidio in carcere, va in coma e, due mesi dopo, muore. È una delle tante vittime innocenti del “caso Lavorini”.
Intanto succede di tutto: i due ragazzi cambiano continuamente versione, indicando ora una versione ora un'altra, tirando in ballo numerose persone, tra cui il sindaco e il presidente dell'ente per il turismo. Il movente dell'omicidio di Ermanno, però, non cambia: pedofilia, orge, prostituzione minorile. L'intera nazione processa sui mass-media l'immoralità di Viareggio, e i turisti iniziano a disdire le prenotazioni per le vacanze estive. La città si scopre in ginocchio.
Passano i mesi, e le indagini arrivano a un punto morto. Troppi accusati e troppe versioni discordanti. Viareggio è entrata nel tritacarne di un feroce processo mediatico. Gli inquirenti iniziano ad annaspare. L'unica cosa certa è che Baldisseri sa come sono andate le cose, ma è intelligente, scaltro, senza scrupoli, e depista continuamente. Eppure i carabinieri sono ostinatamente convinti del fatto che l'omicidio di Lavorini sia maturato all'interno dell'ambiente torbido della Pineta di Viareggio, e nessun'altra ipotesi investigativa viene presa in considerazione. A uccidere Ermanno Lavorini è stato un pedofilo, punto: così ha deciso il sistema mediatico e così ha stabilito la sete di giustizia popolare.
Tutti i giornalisti, dunque, sono alla ricerca del pedofilo viareggino. Tutti, tranne uno. Si chiama Marco Nozza, ed è inviato de “Il Giorno”. Mentre il “Corriere della sera” tuona contro il “cancro occulto dietro la facciata di perbenismo della città, un cancro prolificato sull'indifferenza e l'assenteismo di genitori e parenti”, questo giornalista fuori dal coro nota alcuni dettagli a cui nessuno fa caso. Scrive il compianto Sandro Provvisionato (1951-2017), del quale è appena uscito postumo l'ultimo libro-inchiesta, Il caso Lavorini . Il tragico rapimento che sconvolse l'Italia (Chiarelettere, 134 pagg., 15,00 euro), un lavoro di grande precisione documentale e di notevole sintesi narrativa: «I giornali cominciano ad avere il fiato corto. Ora che perfino i carabinieri hanno le bocche cucite, raccogliere notizie è sempre più difficile. Inoltre l'opinione pubblica è davvero stanca di un delitto senza fine. Ma c'è chi, proprio perché in assenza di notizie, le notizie se le va a cercare. È Marco Nozza, inviato speciale de “Il Giorno”. È stato lui, nell'assoluta indifferenza degli inquirenti, a notare il distintivo del Fronte monarchico giovanile sul maglione di Marco Baldisseri. Sarà lui, per primo, a scoprire quella che era stata la sede del Fronte stesso, in via della Gronda, una via di periferia, quasi in campagna. Ancora Nozza a scoprire la storia di quel gruppuscolo politico».
Grazie a questo giornalista si inizia a parlare del Fronte monarchico giovanile di Viareggio, che raccoglie giovani dai 14 ai 30 anni dell'Umi, l'Unione monarchica italiana. A capo della sezione viareggina c'è Pietrino Vangioni, una figura cruciale del “caso Lavorini”. Scrive Nozza in uno dei suoi articoli: «Oggi primo giugno, data di inizio della stagione, la situazione è questa: Marco, Andrea e Della Latta sono in prigione e non vogliono assolutamente dire la verità. Coprono qualcosa. O qualcuno. Ma fino a quando potranno resistere? Da sottolineare: i tre ragazzi facevano parte di un fantomatico Fronte giovanile monarchico che ai tempi della Bussola contestò i contestatori. Meglio: cercò di mestare le acque perché la colpa fosse (tutta) dei contestatori. Insomma, un commando di estrema destra in piena regola, compreso chi aveva dimestichezza con il tritolo». Nozza fa riferimento alla contestazione da parte del movimento studentesco, la notte di capodanno del 1968, alla “Bussola”, il “locale dei padroni”. Ma cosa c'entra la contestazione alla “Bussola” con l'omicidio di Ermanno Lavorini?
Purtroppo c'entra. Siamo all’inizio della strategia della tensione. Gli scontri si fanno sempre più duri e, dal piano ideologico, stanno passando a quello “militare”. E a Viareggio qualcuno pensa di creare “da destra” un gruppo armato che contrasti le contestazioni della sinistra extraparlamentare. Anche grazie alle intuizioni di Nozza, la magistratura arriverà a condannare dopo alcuni anni Vangioni, Baldisseri e Della Latta per aver rapito Ermanno Lavorini con l'obiettivo di chiedere alla sua famiglia un riscatto, che nelle intenzioni doveva servire a finanziare le attività di questo gruppo politico estremista (affermò Andrea Benedetti, uno degli aderenti alla cosiddetta “banda del gufo”, e che evitò il processo per la sua giovanissima età: «Il fatto fu preparato durante le riunioni nella sede del Fronte. Con i soldi del riscatto si dovevano comperare degli esplosivi che sarebbero poi serviti per compiere una serie di attentati»). Poi, chi materialmente e perché ha ucciso Ermanno, questo la magistratura non è mai riuscito a stabilirlo con certezza.
Pochi mesi dopo la morte di Ermanno, il 12 dicembre del 1969, una bomba esplose a piazza Fontana a Milano causando la morte di 17 persone. Iniziava la stagione delle stragi e della strategia della tensione. Il “caso Lavorini” fu soltanto una tragica falsa partenza. Eppure, prima di arrivare a questa verità processuale, Viareggio vide cadere un pezzo della sua borghesia e numerosi innocenti, che mai più si ripresero da questa moderna e inaudita caccia alle streghe.
loading...