Il caviale italiano è leader mondiale: domanda in aumento e ricavi record per Calvisius
Il brand di Agroittica Lombarda è esportato per l’85%, un successo che affonda le radici negli anni 70 e nel rapporto con le acciaierie bresciane
di Emiliano Sgambato
I punti chiave
5' di lettura
Il mercato del caviale non conosce crisi, la domanda mondiale è in continua crescita e i prezzi salgono di conseguenza. Anche perché l’offerta fa fatica ad adeguarsi: per ottenere le preziose uova occorre infatti aspettare un ciclo riproduttivo che dura molti anni.
Caviale italiano leader mondiale
Un trend che può non stupire, dato che le difficoltà dell’economia sono legate soprattutto all’inflazione, che colpisce in primo luogo i redditi più bassi. Non finisce però di sorprendere i non addetti ai lavori che ad avvantaggiarsi di questa situazione siano anche i produttori italiani. Il nostro Paese è infatti secondo solo alla Cina in termini di quantità prodotte, ed è ai vertici in termini di qualità e sostenibilità, non paragonabile alla media di quella dell’estremo oriente.
Secondo i dati diffusi nei giorni scorsi da Api (Associazione piscicoltori di Confagricoltura) nel 2022 le aziende italiane (che si contano sulle dita di due mani) hanno prodotto 62 tonnellate di caviale a fronte di oltre 600 tonnellate a livello mondiale.
La crescita di Calvisius
Si tratta di un produzione di eccellenza a cui l’Italia è arrivata da anni anche grazie al lavoro pioneristico e ormai storico di Agroittica Lombarda – l’idea nasce nei primi Anni 70 – che detiene il marchio Calvisius eche oggi produce circa la metà del caviale tricolore.
I risultati parlano da soli: Agroittica al 30 giugno 2022 ha fatturato 42 milioni contro i 34 milioni dell’anno precedente. Un dato che comprende anche il settore degli affumicati (salmone su tutti): questi coprono la fetta più sostanziosa del giro d’affari, ma stanno risentendo della crisi dei consumi. A dare la spinta quindi è soprattutto il caviale.
«L’incremento dello scorso anno non è legato all’inflazione – precisa la general manager Carla Sora – perché solo nel bilancio di quest’anno vedremo gli effetti dell’aumento dei prezzi, che sta superando il 20 per cento».
Un trend legato anche in questo settore all’aumento dei costi, ma sostenuto da una domanda in crescita che non trova sufficiente prodotto sul mercato. «È difficile adeguare facilmente l’offerta, perché la produzione del caviale richiede molti anni, da 8-10 anni fino ai 20 del prezioso Beluga – spiega Sora –. Per questo motivo abbiamo deciso di puntare più sulla qualità e sul rafforzamento del brand rispetto a investimenti molto costosi che vedrebbero i loro frutti in un lasso di tempo per cui è impossibile prevedere l’evoluzione del mercato. La Cina accorcia i tempi con ibridazioni delle specie e allevamenti poco sostenibili che noi non vogliamo nemmeno prendere in considerazione».
Export e nuovi consumi interni
Meglio quindi continuare il lavoro di crescita su piazze in espansione come Stati Uniti e Paesi Arabi, mentre l’azienda è uscita dal mercato russo, conquistato dieci anni fa. «Ai russi ormai piace più la quantità che la qualità» commenta Sora. E storicamente sono legati a un prodotto salato e lontano da standard e gusti attuali.
L’export per Calvisius vale circa l’85% del giro d’affari, una quota in leggera diminuzione rispetto solo a poco tempo fa, perché il mercato interno sta crescendo a doppia cifra da qualche anno. Si tratta di una nicchia di consumatori, tuttavia non solo dei cosiddetti “altospendenti”: certo risentono meno di altre fasce l’effetto dell’inflazione ma, come ad esempio accade per il vino, si assiste a una domanda crescente di cibo di qualità e quindi dal costo più elevato.
«È un trend iniziato durante la pandemia – continua Sora – quando abbiamo notato che si sono avvicinati al caviale giovani e nuovi consumatori, con l’aumento della quota delle vendite online sul nostro sito (ora tornate al 2-3% del totale, mentre la grande distribuzione è praticamente assente, ad eccezione di Esselunga, ndr). È vero che il prezzo del caviale si aggira sui 2mila euro al chilo, ma grazie alle scatole da poche decine di grammi comprarlo non costa più di una bottiglia di vino. Per questo il consumo è tornato nei migliori ristoranti e in nuovi format del fuori casa come le champagnerie».
Nuvole all’orizzonte?
La situazione a livello internazionale potrebbe però cambiare a causa di una norma che ha buone possibilità di essere approvata negli Usa e che prevede il divieto della commercializzazione del caviale proveniente da specie diverse da quelle che vivono naturalmente in California (storione Bianco). «L’obiettivo è tutelare lo storione – dice Sora – ma non si fa differenza tra il selvatico e l’allevato». Una visione un po’ bizzarra che potrebbe avere effetti devastanti sul mercato.
«A prima vista per Calvisius potrebbe essere un vantaggio perché produciamo la maggior parte del caviale da quella specie – continua – e siamo già presenti sul mercato americano, che è in crescita e dove si potrebbero aprire praterie. Tuttavia troppo poco caviale in circolazione potrebbe fare implodere il mercato Usa e comunque la questione va vista in ottica globale: probabilmente le piazze europee o al di fuori degli Stati Uniti verrebbero invase dal caviale cinese. Il che porterebbe a un crollo generalizzato delle quotazioni».
Un po’ di storia...
Calvisius è il nome di un nobile romano (a quanto pare anche buongustaio) a cui si fanno risalire le origini di Calvisano, paese del Bresciano ricco di acque di falda particolarmente limpide. Queste fin dagli anni 70 vengono scaldate da quelle provenienti dalle vicine acciaierie del Gruppo Feralpi (che controlla Agroittica) grazie a uno scambiatore di calore. Diventando così l’ambiente ideale dove allevare gli storioni, da cui viene prelevato il caviale (ma di cui è ottima anche la carne).
Il mito del caviale russo nell’immaginario di molti è legato al freddo che viene associato a quel Paese, ma in realtà le produzioni provenivano dalla pesca degli storioni del Mar Caspio, a latitudini temperate, che solo nell’ultima fase di maturazione delle uova risalivano il Volga verso le acque più fredde. Non a caso tra i caviali storicamente più apprezzati c’è quello iraniano, ottenuto dalla pesca nel Caspio del sud.
Lo storione, nelle sue diverse specie, è in realtà un pesce che era diffuso in molte parti del mondo – prosperava anche nel Po, e in Pianura Padana il caviale veniva estratto da secoli – ma che proprio per il suo sfruttamento è diventato a rischio estinzione. Così, nel 1998 arriva il divieto di cattura a livello internazionale.
... e la produzione oggi
Proprio da questo divieto nasce la fortuna di Agroittica Lombarda, che era nata ormai 20 anni prima (nel 1977) e si ritrovava un’avviata produzione di storioni che non ha più la “concorrenza” del pescato. Nel 1992 era stata ottenuta infatti la prima riproduzione da esemplari allevati in cattività, dopo 10 anni dall’avvio della collaborazione con Serge Doroshov, un biologo marino russo professore in una università californiana. Negli anni successivi arrivano i riconoscimenti internazionali e nel 2007 Agroittica arriva a produrre il 30% del caviale mondiale. Nel 2009 apre una sede a New York e nel 2016 a Parigi.
Oggi Agroittica dispone di due impianti per un totale di 60 ettari di allevamento (il più grande d’Europa), ai quali si è aggiunto da qualche anno l'impianto della società ̀(partecipata al 35%) Storione Ticino, situato all'interno dell’omonima riserva naturale. Nello stabilimento di Calvisano, oltre «alla più grande varietà di caviali al mondo» (di tipo malossol, «poco salato» in russo), Agroittica produce anche trota, salmone, tonno e pesce spada.
«Gli allevamenti rispettano i più stringenti criteri di sostenibilità – affermano dall’azienda – e il caviale viene estratto sotto la protezione di una cappa a flusso laminare e lavorato all'interno di speciali camere bianche con una tecnologia analoga a quelle delle sale operatorie, nei quali una sovrappressione di aria sterile a temperatura strettamente controllata ne tutela la qualità».
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