Il cedro di Santa Maria ottiene la Dop e volano produzione e indotto
Coltivazione storica
di Donata Marrazzo
2' di lettura
È lo sguardo del contadino che fa più ricco un albero di cedri. È così che si dice fra le cedriere della Calabria settentrionale, perché un solo albero può dare dai 15 chili a più di un quintale di frutti. Dipende tutto da quanta cura riceva. Nell'alto Tirreno cosentino la cedricoltura è un'espressione identitaria e anche un volano dell'economia locale. Soprattutto adesso che la Unione europea ha dato parere favorevole al riconoscimento della Dop per il cedro di Santa Maria del Cedro, un piccolo comune che fino a metà del ‘900 rientrava in quello di Grisolia.
La denominazione di origine protetta del frutto sacro delle comunità ebraiche rafforza tutta la filiera e rilancia il territorio incentivando anche il turismo lungo la rinomata Riviera dei cedri, 22 comuni compresi fra Tortora e Sangineto. E rafforza il rapporto con i rabbini di tutto il mondo che, tra luglio e agosto, arrivano in Calabria, sulla fascia litoranea settentrionale, per selezionare il frutto perfetto (l'“etrog”, il più puro, il più odoroso), da utilizzare per la cerimonia del Sukkot, la festa delle capanne, in ricordo di quelle che gli ebrei costruirono nel deserto durante il loro viaggio verso la Terra Promessa. Confezionati in casse di legno e incastonati in gusci di gommapiuma, i cedri partono per tutti i continenti.
Il 50% della produzione è destinato proprio alla festività ebraica: si tratta di almeno 10mila quintali. È del doppio infatti la produzione potenziale: previsti 20mila quintali per il 2023, ma fino al raccolto le condizioni meteo – gelate o forti escursioni termiche – potrebbero fare la differenza sul quantitativo complessivo. Che sul mercato vale 130 euro a quintale. Intorno al frutto, grazie al lavoro svolto dal 2004 dal consorzio per la salvaguardia del cedro di Calabria, con il presidente Angelo Adduci, e dall'accademia internazionale, presieduta da Franco Galiano, si muove una rete di piccoli operatori che si occupa anche della trasformazione per l'agroalimentare e la cosmetica. E di sviluppo del territorio con offerte turistiche integrate. A partire dagli eventi proposti dal museo del cedro che del frutto custodisce la storia. Sono 140 i produttori, 40 le aziende per la trasformazione: ne fanno cedrata, liquori, marmellata, scorzette candite, creme e prodotti per l'alta pasticceria. Tutto concorre a raggiungere un fatturato di oltre 5 milioni. «Di cui, per effetto della “dop economy” prevediamo un incremento esponenziale nei prossimi 4 anni, fino a 40 milioni», spiega Adduci. «Per un momento abbiamo temuto che l'eccezionale gelata del 2017, che è stata una vera calamità, potesse disamorare gli agricoltori – aggiunge il presidente del consorzio – Invece gli agricoltori non hanno abbandonato le piante. Le hanno potate radicalmente, ne hanno impiantato di nuove e tutto è ripartito. La nostra è un'agricoltura di sacrificio. I cedri si coltivano in ginocchio. L’incontro con ogni spina rappresenta l'espiazione dei peccati».
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