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Il ceo Diess: «Volkswagen non guarda a Fca, prosegue con Ford e con il consolidamento auto»

di Paolo Bricco

(EPA)

4' di lettura

«No, non siamo interessati a Fca. Le nostre priorità adesso sono altre. Il consolidamento nel settore dell’auto continuerà. Quelle operazioni richiedono troppe energie. E, adesso, le nostre energie sono rivolte tutte all’interno. Se possiamo essere interessati anche soltanto ad Alfa Romeo o alla Maserati? Avevo una Alfa GTV sei cilindri. Era bellissimo guidarla. Ma, davvero, noi i marchi del lusso li abbiamo già». Herbert Diess, 60 anni, presidente del consiglio di gestione del gruppo Volkswagen, è nella palazzina direzionale dello stabilimento Seat di Martorell, a mezz’ora da Barcellona. Al suo fianco, c’è Luca De Meo, 51 anni, dal 2015 presidente della casa automobilistica spagnola.

In un colloquio con Il Sole 24 Ore – giornale italiano scelto per approfondire gli argomenti già trattati nella presentazione dei risultati 2018 di Seat, insieme a El Periodico e Expansión per la Spagna e La Tribune per la Francia – non si sottrae dall’offrire il suo punto di vista sul consolidamento dell’automotive industry: «Noi proseguiamo con l’alleanza con Ford, che ha una componente soprattutto commerciale e che non evolverà sul piano dell’equity», sottolinea.

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Diess, il 27 marzo 2019, ha posto il sigillo della sua presenza a Barcellona ai migliori conti della storia di Seat: quasi 10 miliardi di euro di ricavi e 300 milioni di utili netti, una scommessa forte sull’elettrico, una proiezione impegnativa sull’Africa, sulla Cina e sul Sud America. «La mia presenza qui è particolare. L’anno scorso per il gruppo è stato un anno difficile. Molte operazioni non hanno raggiunto i risultati previsti o non hanno fatto meglio dell'anno prima. La Seat guidata da Luca De Meo lo ha fatto. E, allora, ho scelto di venire», spiega Diess.

Il caso Seat è paradigmatico. Perché mostra come le logiche dell’impresa – all’interno di una strategia di gruppo – possano condurre ad una vera e propria metamorfosi industriale, tecnologica e commerciale: Seat è fiorita. Nei numeri di bilancio. Ma anche nel profilo manifatturiero e nella prospettiva strategica. Diess è un uomo di prodotto e di produzione, ma è anche un manager di strategie: «Un anno fa abbiamo riorganizzato il gruppo. Era tutto troppo centralizzato. Abbiamo selezionato che cosa fare a Wolfsburg e che cosa, invece, delegare ai diversi marchi. Abbiamo conferito autonomia a Barcellona. E la cosa ha funzionato. Seat, da marchio regionale, può diventare un marchio globale».

Questo stabilimento, con le sue 470mila macchine prodotte nel 2018 e un livello di saturazione degli impianti superiore al 90%, è uno dei cuori manifatturieri della Spagna e del Sud Europa. Ha 12.800 addetti diretti. Il suo primo upgrading tecnomanifatturiero è avvenuto nel 2011 con la Audi Q3. Due anni fa è stata portata qui per la prima volta la piattaforma per le auto piccole sulla quale si realizzano la Ibiza, la Arona e la Audi A1. Una vocazione produttiva completata dalla Leon. Afferma De Meo: «È stato importante qualificare al meglio la fabbrica. Ma è stato altrettanto fondamentale lavorare sul mercato finale. Abbiamo operato sul brand. Siamo riusciti ad attrare i giovani. Il 70% dei nostri acquirenti non aveva mai avuto una auto del gruppo. E abbiamo lavorato bene sui segmenti più redditizi: una macchina venduta su tre è un Suv».

Il caso Seat spiega bene come si possano ancora fare in Europa auto con prezzi bassi, ma sexy e profittevoli. Chiarisce De Meo: «Naturalmente, abbiamo il vantaggio dell’accesso alla cultura tecnologica di tutto il gruppo. Su ogni problema, non dobbiamo mai partire da zero». Le sinergie infragruppo si miscelano con le sinergie esterne. Quello che gli economisti chiamano environment. Racconta De Meo: «Sono utilissimi i rapporti con un ecosistema florido e innovativo come quello di Barcellona, con le sue università e i suoi centri di ricerca, ma anche con la sua quotidianità e la sua qualità della vita. Non è difficile attrarre a Barcellona talenti stranieri per il nostro centro di ricerca, il Metropolis Lab che anche a livello di gruppo intendiamo specializzare sempre di più nell'interfaccia fra l’auto, l’infotainment e il guidatore».

La congiunzione fra tutte queste linee virtuose è sintetizzata dagli investimenti e dalle spese in Ricerca e Sviluppo, che nel 2018 hanno avuto un valore di 1,2 miliardi di euro, in aumento del 27% rispetto al 2017. «Non a caso – continua Diess – abbiamo affidato a Seat la piattaforma per la macchina da città a meno di 20mila euro di prezzo finale, che andrà in produzione nel 2023. L’elettrico, che ormai è una via obbligata, non può essere solo appannaggio dei ricchi».

Nell’automotive industry la transizione tecnologica verso la guida intelligente e l'elettrificazione mostra la sua pars destruens e la sua pars construens sul lavoro: «Tutti i produttori, nella conversione all’elettrificazione e all'elettrico, stanno tagliando i posti di lavoro, ma esistono nuove competenze di cui avremo sempre più bisogno», sottolinea Diess.

Nella complessità del passaggio storico, il doppio caso Volkswagen e Seat evidenzia la vitalità dell'industria dell’auto. Il gruppo non è collassato con il dieselgate, anzi. E Seat, da bruco, si è fatta farfalla: «L’industria dell’auto è sottoposta a discontinuità fortissime: oltre alla pianificazione del nostro futuro, alla appartenenza a un gruppo come Volkswagen e alla nostra energia, qui a Barcellona abbiamo anche il vantaggio della memoria di che cosa vuole dire lottare per sopravvivere, riuscire a farcela e costruire così il proprio futuro», dice con un sorriso De Meo.

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