Il ciclismo è uno sport meritocratico. Insegna che non c'è risultato senza fatica
La storia di Ivan Basso, dal Giro d'Italia a manager di un'azienda di cosmetici per atleti
di Redazione
3' di lettura
Da predestinato della bicicletta alle due vittorie al Giro d'Italia nel 2006 e nel 2010. In mezzo anche dei piazzamenti d'onore sul podio del Tour de France e tanti, ma tanti chilometri macinati per le strade in giro per il mondo. Oggi Ivan Basso dirige un'azienda di cosmetici per atleti chiamata Bend36 che ha fondato insieme a un altro grande ex campione come Alberto Contador con il quale condivide anche la gestione della squadra di ciclismo Kometa Xstra con il ruolo di team manager. Presente lo scorso ottobre alla partenza da Palermo dell'ultimo Giro d'Italia in qualità di friend of the brand di Tissot, official timekeeper dell'evento, Basso si è raccontato in questa intervista.
Qual è stato il momento che ti ha portato a voler essere un ciclista professionista?
Era il 1984. Avevo sette anni e i miei genitori mi avevano portato all'Arena di Verona per vedere l'arrivo di Francesco Moser quando ha vinto quel Giro d'Italia. Lì ho realizzato che era quello che avrei voluto fare da grande. E poi la bicicletta era il mio gioco preferito. Sono convinto che la stragrande maggioranza delle persone si ricorda perfettamente la prima bici che ha avuto in regalo. La mia era azzurra.
Dal voler essere un ciclista a essere un campione non è così immediato il passaggio. Quando hai capito che lo saresti diventato?
Più che capirlo io me lo hanno fatto capire gli altri. Il ciclismo è uno sport molto meritocratico. Se vali continui. Il giudizio su di te lo danno le tue performance e i risultati che raggiungi. Le tappe con le salite o quelle a cronometro sono spietate.
Fondamentale è il tempo in questo sport. Sei friend of the brand di Tissot…
Questa è una storia che è iniziata nel 1998, anno in cui mi è stato consegnato il mio primo orologio Tissot dopo aver vinto il mondiale in linea Under-23 a Valkenburg, in Olanda. Poi nella vita certe situazioni si ripropongono e a distanza di anni ci siamo ritrovati insieme. Del resto, il rapporto che un ciclista ha con il tempo è più stretto di quello che sembra. I preparatori guardano tanti parametri, ma alla fine il giudice supremo del ciclismo è il tempo: in gara ne puoi perdere un po' dal tuo avversario così come ne puoi guadagnare. Alla fine, la vittoria va a chi ci mette meno tempo di tutti gli altri.
Insieme al tempo, il ciclista deve fare i conti con la fatica.
Posso dire che per un ciclista tutto quello che affronta dopo aver smesso di pedalare è più semplice. Non ho mai trovato niente di così duro finora. Se corri sai che farai fatica. così e basta. Ci devi convivere. Avrai mal di gambe ma devi continuare.
Fatica che condividi con gli altri corridori. Che tipo di rapporto c'è tra i professionisti?
Rispetto. Perché, al di là di chi ti stia più o meno simpatico, gli altri affrontano le tue stesse situazioni estreme e fanno i tuoi stessi sacrifici.
Ma poi ne vince uno solo. E tu hai vinto due volte il Giro d'Italia.
Indossare la maglia rosa è una sensazione inspiegabile. Provi gratificazione e appagamento. Ma tutto dura poco. Perché dopo aver vinto il Giro c'è il Tour de France. E l'anno seguente devi difendere il tuo titolo e provare a rivincerlo. È una sfida continua.
Oggi sei dall'altra parte della barricata. Come selezioni i talenti per la tua squadra?
Non devi più pensare come un atleta. Un corridore, ragione in più se è forte, è più concentrato sulle proprie performance e non conosce tutte le dinamiche che girano attorno. Se vuoi dirigere una squadra devi conoscerle tutte, aggiornarti e crescere senza pensare che siccome sei stato un vincente sarai automaticamente un bravo manager. Comunque, diciamo che, alla fine, preferisco quei ciclisti che un po' mi assomigliano…
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