Il civile più efficiente non «contagia» il processo penale
di Antonello Cherchi, Valentina Maglione e Bianca Lucia Mazzei
3' di lettura
Il fronte civile guadagna efficienza, ma quello penale continua a soffrire. Segno che la cura somministrata negli ultimi anni alla macchina giudiziaria ha funzionato a metà. È quanto emerge mettendo a confronto i dati relativi all’anno scorso raccolti nei tribunali e nelle corti d’appello dal ministero della Giustizia.
Il miglioramento della giustizia civile si legge nel calo dell’arretrato: -20% circa in tre anni. I procedimenti in corso nei 140 tribunali sono infatti scesi del 19,3%, passando da 2,1 milioni a fine 2013 a 1,7 milioni l’anno scorso; mentre nelle corti d’appello, nello stesso periodo, lo stock delle cause pendenti è calato del 21,5%, da 398mila a 313mila circa. I dati sulla giustizia penale (stimati sulla base di quelli inviati da un campione di uffici e del trend storico) fotografano invece un arretrato sostanzialmente stabile: i procedimenti in corso nei tribunali erano 1,31 milioni a fine 2013 e 1,24 milioni al 30 settembre del 2016, mentre nelle corti d’appello lo stock è passato da 266mila a 268mila cause.
Una differenza di risultati confermata anche dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Nel discorso pronunciato in Cassazione lo scorso 26 gennaio, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il ministro ha infatti riconosciuto che il decremento dell’arretrato è stato «meno marcato» nel settore penale rispetto a quello civile.
Del resto, per intaccare l’arretrato i magistrati devono chiudere ogni anno un numero di procedimenti superiore rispetto ai fascicoli in arrivo. In pratica, il clearance rate, cioè il rapporto tra liti definite e sopravvenute, deve essere superiore a uno. Mentre ciò è accaduto negli ultimi anni in campo civile, così non è stato nel penale: solo lo scorso anno i procedimenti conclusi nei tribunali hanno superato (di poco) quelli sopravvenuti.
Una spiegazione delle performance poco brillanti della giustizia penale l’ha offerta lo stesso Orlando. Nel suo discorso in Cassazione ha spiegato che l’effetto deflattivo dei provvedimenti adottati finora dal Governo - come l’introduzione della particolare tenuità del fatto, la depenalizzazione di alcuni reati e la messa alla prova - va sostenuto con «ulteriori misure sulla durata dei procedimenti». «Alcune - ha chiarito - si trovano nel disegno di legge di riforma penale», approvato nei giorni scorsi dal Senato e che ora ritorna alla Camera.
Più netto il presidente dell’Anm, Piercamillo Davigo, per il quale la giustizia penale è in affanno proprio a causa della maggiore attenzione dedicata al civile: «Se si spostano risorse da una parte all’altra - ragiona - è evidente che la situazione migliora nell’ambito che ha beneficiato del trasferimento e peggiora nell’altro. La coperta è corta e se la tiri da una parte è inevitabile scoprire l’altra».
Per Andrea Mascherin, presidente del Consiglio nazionale forense, le migliori performance del civile vanno, invece, ricercate nelle misure alternative al processo - «mediazione, negoziazione assistita e camere arbitrali sono interventi in cui crediamo e che hanno prodotto risultati» - e nel processo telematico, che ha «creato più equilibrio tra cause in entrata e in uscita». «Invece, nel processo penale - afferma Mascherin - non bisogna per forza andar dietro a criteri di efficientismo. È come un’operazione al cuore: non si deve correre. Tuttavia, occorre valutare alcune misure, come il tema delicato dell’obbligatorietà dell’azione penale, la depenalizzazione e il ripensamento del principio dell’offensività del reato».
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