Il classico può essere sovversivo. Rinnovare partendo dalle fondamenta
Per la direttrice artistica del prêt-à-porter donna di Hermès, ogni collezione è un’occasione per ricominciare da capo. Con discrezione e un guizzo di anticonformismo
di Jo Ellison
7' di lettura
È una calda giornata luminosa e al quartier generale di Hermès , a Parigi, Nadège Vanhée-Cybulski, direttrice artistica del prêt-à-porter donna, presenta la sua collezione primavera-estate 2022 alla divisione global sales. Indossa jeans, camicia color navy con stampa foulard, cuffie e mascherina, ma con quella sua chioma ramata è inconfondibile. È un momento cruciale per il brand: il cosiddetto sales day è una delle ultime tappe di un percorso creativo durato 18 mesi, iniziato con la scelta della palette dei colori e concluso con la sfilata all'aeroporto Le Bourget, appena fuori Parigi. Vanhée-Cybulski, mentre coordina telecamera, suono e riprese, sta offrendo un'anteprima. «Mi sento come Madonna», ride aggiustandosi le cuffie. «Forse dovrei lanciarmi in una vogue dance».
Invece, eccola raccontare una serie di look, ognuno dei quali riassume i codici del lusso Hermès, con i segni distintivi e i motivi mutuati dai 16 métiers che compongono il portfolio della maison. Ecco un perlage di borchie, con profili in pelle presi dalle borse, usati per decorare, ornare o ridefinire una cucitura. I pantaloni dello smoking e gli shorts in pelle hanno coulisse ispirate ai sacchetti in cui si ripongono gli accessori per proteggerli dalla polvere. A Vanhée-Cybulski è piaciuta l'idea perché si tratta di dettagli umili, ma anche perché la coulisse si può regolare e adattare a molti stili diversi: puoi creare «la tua piccola ricetta personale», dice mentre mostra un miniabito in pelle con inserti in cotone che si può indossare aperto e oversize o, in maniera più graziosa, stretto in vita. La stampa Cliquetis di un foulard, una delle centinaia che ci sono nell'archivio, è stata decostruita – rispettando le proporzioni 90x90 cm – e rielaborata per una morbida camicia pigiama style e un cardigan. La stessa stampa è stata ingrandita, rifratta e poi trasferita su una tuta da lavoro in maniera così astratta da sembrare un'altra cosa. A un certo punto Vanhée-Cybulski stava per produrre un'intera collezione con i tessuti stampati: sarebbe stata una scelta piuttosto estrema, considerando che, di solito, non fanno impazzire né gli stylist né gli esperti che recensiscono le sfilate. Lei scrolla le spalle: «Le stampe sono così, a volte piacciono, a volte no».
Parla a voce bassa, ma è loquace e passa velocemente dagli aspetti tecnici sartoriali al suo personale rapporto con ogni capo. Infilandosi un giaccone sfoderato in cashmere color navy, tipico della maison, sussurra: «Vedi, è leggero come una nuvola». Di un vestito estivo in tessuto stampato, con giacca coordinata, dice: «Questo me lo metterei subito!». Spinge a esaminare tutti i dettagli, si preoccupa delle sensazioni che un capo dà quando lo si indossa. Sono passati sette anni da quando è stata nominata direttrice creativa womenswear, dopo aver lavorato per Céline sotto Phoebe Philo, Martin Margiela (ex-stilista di Hermès) e come direttrice design di The Row.
«Nadège è stata l'unica persona che ho incontrato», racconta Axel Dumas, ceo di Hermès. «Abbiamo parlato del processo creativo e del mito della caverna di Platone, ma sapevo che volevo lavorare con lei perché ha tre qualità molto importanti: un apprezzamento e una comprensione autentici della maestria artigiana, cosa per me fondamentale perché mi piace discutere di asole e costruzione delle spalle; ha una visione moderna ed emancipata delle donne; è capace di lavorare in un ambiente creativo collaborativo (sotto la supervisione di suo cugino, il direttore artistico Pierre-Alexis Dumas)».
Come parte di un'azienda molto più grande – fondata nel 1837 come una selleria e che oggi spazia, tra le altre cose, dalla pelletteria al menswear, dagli oggetti per la casa ai profumi, dalla seta e ora anche ai cosmetici – Vanhée-Cybulski ci tiene a ricordare che non corre da sola. Eppure il suo contributo al successo del marchio francese è molto significativo. Il brand si è ripreso in fretta dalla pandemia. Ad aprile Hermès, maison familiare da sei generazioni, ha annunciato nel primo trimestre ricavi per oltre 2 miliardi di euro – +33 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019 – e il gruppo prevede e confida che i profitti continueranno ad aumentare.
«Mi fa molto piacere potere affermare che finora i risultati sono stati stellari», aggiunge Dumas a proposito del contributo commerciale dato da Vanhée-Cybulski. «Lavorare con lei durante la pandemia è stata una rivelazione. Invece di ripiegare sulla tradizione, la forza sta nei colori, nella novità e nella freschezza. Cerca sempre di esprimere, in modi nuovi, la donna di domani».
Da Hermès, Vanhée-Cybulski si è cimentata con l'essenza dei codici del lusso, aggiundendo elementi sovversivi con cui lasciare il proprio segno. Può essere la scelta dei colori, che la prossima stagione vedranno un giallo vivace, o il modo in cui crea un velluto di cotone a coste talmente sottili da sembrare quasi un tessuto liscio. Dice di avere gusti “avant-garde” e anche la sua casa ha uno stile decorativo. Nel suo appartamento – spazioso, con pareti chiare, pavimenti in parquet – ci sono opere grafiche di Shabahang Tayyari, Julie Beaufils e Ben Sansbury, un coloratissimo quadro figurativo di Magnus Andersen, ceramiche anni Cinquanta di Jacques Blin che si accompagnano a pezzi giapponesi, scoperti durante un viaggio a Kyoto, e a una scaffalatura scultorea di Decio Studio, che sembra un grande puzzle geometrico. Ci sono anche due enormi divani George Sherlock, rivestiti in un indovinato color arancio.
A casa e in studio, le piacciono questi elementi eclettici, in ognuno dei quali è evidente un profondo apprezzamento per il talento artigianale. E adora le sorprese. Se le chiedi chi ammira di più nel gruppo dei suoi omologhi, dice Demna Gvasalia, che ultimamente ha rivoluzionato Balenciaga, brand del gruppo Kering. Ma la sua visione creativa è mitigata dall'esperienza. Dice che, appena arrivata da Hermès, cercava di muoversi molto in fretta. «Invece devi sempre far sì che gli altri ti seguano».
Passa un mese e siamo a pranzo da Le Valois, vicino a casa sua nel 9° arrondissement. Per uno strano caso del destino, il nostro incontro ha finito per coincidere con il primo giorno all'asilo nido di sua figlia, così arriva con il marito – il gallerista inglese Peter Cybulski –, la bambina molto assonnata, un pranzo al sacco già preparato e una baby-sitter al seguito. È un esercizio multitasking che mostra ulteriormente quali siano i requisiti indispensabili di un guardaroba moderno e, dopo essersi organizzata e avere ordinato un'insalata Niçoise, «perché sono davvero molto affamata», appare concentrata e rilassata.
È difficile catturare Vanhée-Cybulski tratteggiandone a penna uno schizzo veloce. Di certo è attraente, intelligente, ironica. Nata a Seclin, vicino al confine belga, da genitori di origini algerine e francesi, è cresciuta in una cittadina con poche distrazioni e uno sguardo da outsider sulla scena parigina. È stata la musica a metterla presto in contatto con la moda, uno dei suoi primi lavori è stato quello di giornalista rock: intervistava le band in tour nella zona per una piccola rivista amatoriale, in cambio di biglietti gratis per i concerti.
«A spingermi verso la moda probabilmente è stata la totale mancanza di stile nel nord della Francia», dice. «Il mio primo settore fashion è stata la musica. Ero una grande fan del britpop. Frequentavo i mercatini e realizzavo dei vestiti per me. Sono andata a lezione di ricamo, ho cominciato dagli abiti per bambini, che sono piccoli e molto difficili. Poi mi sono spostata ad Anversa». Iscrittasi alla Royal Academy of Fine Arts di Anversa, Vanhée-Cybulski è arrivata in un Belgio che si stava ancora godendo il successo dei favolosi Antwerp Six. «Ho studiato in mezzo a una generazione che era motivata proprio dal loro successo», dice del famoso collettivo di stilisti emerso nel 1986, che comprendeva Walter Van Beirendonck, Ann Demeulemeester e Dries Van Noten. All'Academy gli studenti del suo stesso anno erano collaborativi, si impegnavano molto ed erano profondamente competitivi. «Eravamo traumatizzati da quel collettivo che incombeva su di noi», continua. «Ma la nostra annata era molto europea, molto ambiziosa e molto attenta al benessere e alla salute delle persone». Gli insegnanti intanto spingevano Vanhée-Cybulski a ribellarsi e a trovare il suo dna. Scoprì che, a differenza dell'atmosfera che prevaleva ad Anversa, «non avrei creato pezzi neri e gotici. Avevo scelto i colori. Ho imboccato una strada difficile».
Vanhée-Cybulski si mantiene ancora a una certa distanza da ciò che prevale nella moda. Nella sua collezione primavera non ha incluso elementi sartoriali, per esempio, perché «in quel momento non avevo niente da dire». Quando disegna una collezione, inizia osservando i capi sul suo corpo e riflettendo su come interagiscono. «Penso ai modi in cui una cosa può essere modificata, o interpretata», dice spiegando il suo processo creativo. «Penso a come verrà indossata. Procedo ponendomi domande del tipo: “Che cosa rende una cosa classica?”. Prendo i codici e cerco di renderli pertinenti al vivere di oggi».
Ha un fortissimo rispetto per lo spirito collaborativo su cui si fonda Hermès, e spesso richiede di potersi avvalere del talento e della competenza di diversi specialisti. Ma sette anni di attento studio le hanno anche dato una maggiore fiducia nel prendersi delle libertà. «Di certo più capisco Hermès e più mi sento a mio agio», continua. «Non dò niente per scontato, ma ora so come raccontare nuove storie rispettando e conservando le fondamenta. Per me la parola che meglio riassume il lessico di Hermès è funzionalità. E bellezza. E poi il mito del maestro artigiano. Mi piace il paradosso: la funzionalità da Hermès ha una morbidezza che viene dal modo in cui spieghiamo quello che facciamo».
Vanhée-Cybulski potrà anche non sembrare la più rivoluzionaria degli stilisti, ma dietro il suo pragmatismo c'è qualcosa di pacatamente sovversivo. È piuttosto insolito, per esempio, tenere in considerazione, come fa lei quando crea un capo, il fatto che una donna possa voler fare lo styling di un vestito. È significativo anche che, quando ha disegnato l'ultima collezione, in studio abbia vietato ogni moodboard e immagine, per evitare che la nostalgia potesse diventare una stampella creativa. «Le parole che abbiamo esplorato per questa collezione sono libertà e libertà di movimento. Volevo pensare al nostro rapporto con l'esterno, alla sensazione del sole e del vento sulla pelle. Non volevo parlare di comfort, perché lo associo a una sorta di nonchalance o di trascuratezza. Però volevo che la collezione comunicasse un'assenza di costrizioni. Da Hermès parliamo sempre di nuovo classicismo. O di nuova atleticità. Ma quando io disegno una collezione cerco sempre di scoprire territori inesplorati. Per me ogni collezione è un'occasione per ricominciare da capo».
Vanhée-Cybulski è una personalità rara nel mondo della moda. Un'anticonformista pacata e molto autentica. Di più: dopo 18 mesi di lavoro, sa che la vera storia dei suoi capi inizia quando lasciano le passerelle per interpretare il loro ruolo nella vita reale.
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