Il coraggio e la forza di pensare un'Europa che funziona e che serve
di Giuliano Amato
4' di lettura
Colpisce che nel suo ultimo libro – “Sdoppiamento. Una prospettiva nuova per l'Europa” (in uscita per Laterza) – Sergio Fabbrini scriva che un futuro di maggiore integrazione riguarda solo alcuni fra gli Stati europei ed è bene, per la salvaguardia dell'insieme, prenderne atto. I lettori de “Il Sole” conoscono bene Fabbrini e sanno quanto le sue idee si siano sempre fondate sul federalismo dei padri di Ventotene
Anche in questo libro, del resto, conclude richiamandosi a Ventotene, così come a loro volta fanno, in un libro quasi coevo, Antonio Armellini e Gerardo Mombelli, che propongono, lungo linee non dissimili, due Europe, quella politicamente integrata e quella del solo mercato comune (“Né centauro né chimera”, Marsilio editori).
Che cosa sta dunque accadendo a coloro che abbiamo sempre considerato i cultori della tradizione federalista di Altiero Spinelli? Le fanno omaggi formali, ma in realtà la abbandonano e si piegano a quel che succede? No, sarebbe davvero ingiusto metterla in questi termini. Intanto perché nessuno, oggi, riterrebbe né possibile né plausibile modellare l’Unione Europea secondo lo schema dello Stato federale di un tempo, quello che aveva totalmente cancellato e attratto a sé le sfere di sovranità appartenenti prima agli Stati. E poi, soprattutto, perché lo sdoppiamento proposto è tutt’altro che un adattamento, è al contrario un traguardo da raggiungere, tanto essenziale alla sopravvivenza dell’Unione quanto difficile da realizzare. È quindi una sfida, non meno di quella che fu lanciata a Ventotene.
Fabbrini ci spiega con grande chiarezza (e altrettanta, lodevole semplicità) i termini della questione: prima la crisi economica, poi, mentre ne perduravano gli effetti, le accresciute ondate migratorie, accompagnate dagli attacchi terroristici (e se una crisi può essere salutare, più crisi insieme possono uccidere organismi anche più robusti di quello europeo). Da ultimo il nuovo Presidente americano, che, benedicendo subito la Brexit, non ha mostrato alcun trasporto per l’integrazione europea. Ed ecco ciò che le tante crisi e il nuovo clima transatlantico hanno fomentato: la crescita nei nostri Paesi di movimenti populisti che, al di là della loro stessa forza, hanno preso a dettare un’agenda sempre più euroscettica. Hanno diffuso così l’opinione che l’Europa sia la prima fonte dei nostri mali e che ciascuno di noi, stando per conto suo, farebbe crescere meglio la sua economia, conterrebbe meglio i flussi migratori, combatterebbe meglio il terrorismo.
Quest’opinione – sostiene Fabbrini – è sbagliata, è tragicamente sbagliata, giacché è razionalmente vero esattamente l’opposto. Ma dobbiamo contrastarla in tutta Europa allo stesso modo? Per cominciare, prendiamo atto che ci sono Paesi, in primis quelli dell’Est, che per la loro storia – e non solo per la contingente ondata populista– sono i più restii alla ulteriore integrazione. Con loro – suggerisce saggiamente l’autore – salviamo quello che è il nostro primo e principale progetto, il mercato comune. Non chiediamo loro nulla di più, ma pretendiamo che non facciano nulla che possa metterlo a rischio. È con gli altri che dobbiamo fare passi avanti, perché altrimenti frana l’eurozona, i flussi migratori non sono gestiti, il terrorismo non è controllato, e rischiamo di essere privi di una difesa comune, visto che la garanzia americana viene messa ora in discussione da chi oggi ne dispone.
Altro che adattamento, sono entrambe imprese difficili, per certi versi ancora più difficili di quanto Fabbrini dica nel suo libro. Lo stesso mantenimento del mercato comune, infatti, non discende da quella governance interstatale gradita ai paesi meno propensi all’integrazione: Per conseguirlo continueranno a servire i poteri comunitari più forti, come i regolamenti di armonizzazione e i provvedimenti antitrust, adottati entrambi con voto quasi sempre a maggioranza e direttamente efficaci nei confronti dei cittadini e delle imprese.
Quanto poi all’integrazione di quella che Fabbrini chiama l’ Unione federale, essa dovrà arrivare, per realizzarsi, a un vero e proprio potere esecutivo europeo, capace di decisioni politicamente orientate dalla maggioranza dei cittadini degli Stati membri che dell’Unione vorranno far parte.
Il problema è come arrivare al consenso per le istituzioni e le politiche che sono necessarie. La prima cosa – ci dice Fabbrini – è introdurre una narrazione diversa. L’Europa, così com’è, sembra fatta apposta per non essere capita, con i suoi acronimi, le sue tecnicalità, il suo linguaggio esoterico. E chiunque voglia sentirsi dalla parte dei cittadini, non resiste alla tentazione di parlarne comunque male e quindi di renderla sempre più impopolare, sempre più alla mercé dei facili slogan populisti.
Ed è qui che giunge, esplicito, il ricordo di Fabrizio Forquet, che credeva nell’essenzialità, specie per noi italiani, dell’Europa e sapeva raccontarla con la sua inarrivabile capacità di semplificare le cose complesse e di apparire sempre, facendolo, dalla parte del lettore. È questo il primo e basilare cambiamento che serve: chi parla a nome dell’Europa deve saper risultare, com’è giusto che sia, dalla parte del cittadino e rivolgendosi a lui deve rendersi credibile nel fargli cogliere che alle sue paure, alle sue ansie, ad alcuni almeno dei suoi bisogni è solo attraverso l’Europa che può avere risposta. E deve farlo non con la retorica europea, ma con la concretezza delle cose che l’Europa potrà e dovrà fare.
Oggi in Europa ci vorrebbero dieci, cento Forquet capaci come lui di cambiare la musica. Ma una volta che questo accadesse, occorrerebbe che le leadership politiche ne seguissero l’esempio e avessero il coraggio, oggi raro, di fare altrettanto. Impauriti dal consenso dei movimenti populisti, diversi leader li rincorrono sullo stesso terreno e ne restano ovviamente condizionati. Eppure c’è chi il coraggio lo trova e ne è ripagato. Si guardi alla campagna di Emmanuel Macron, che, opposto a una candidata populista e antieuropea, sostiene – come in politica è salutare che sia – l’esatto contrario di lei ed è quindi su posizioni fra le più europeiste, mai fatte proprie da un candidato alla presidenza francese. Nei sondaggi cresce di giorno in giorno.
Il ricordo di Fabrizio e la figura coraggiosa di Macron riempiono di fiducia gli europeisti che ancora ci credono. Vanno di moda i timbri catastrofici – dall’inno al cupio dissolvi degli europei alla chiosa ai documenti in cui qualcuno ha preso a “pensare l’impensabile”, la disintegrazione dell’Unione. Ebbene, è tempo di usare quella fiducia per metterli nell’ angolo, così come fa lo stesso Fabbrini, che non solo nel libro, ma settimanalmente su queste colonne indica a tutti noi le strade verso un’Europa che funziona e che serve.
loading...