Il coronavirus va sconfitto senza sacrificare la democrazia
Con la scusa di combattere il Covid-19, gli autocrati di tutto il mondo stanno cementando il proprio potere a discapito di minoranze e società civile
di Patrick Gaspard
5' di lettura
«Dio e il popolo sono la fonte di ogni potere… io l’ho raggiunto e, dannazione, lo conserverò per sempre», dichiarava nel 1963 il presidente di Haiti François Duvalier, noto come “Papa Doc”. E così fece, restando in carica fino alla morte, avvenuta nel 1971, dopo la quale gli succedette il figlio Jean-Claude (“Baby Doc”), che allungò la dittatura di altri quindici anni.
Qualcuno penserà che sia acqua passata, ma io no. La mia famiglia è di origine haitiana e, sebbene durante la mia infanzia emigrammo negli Stati Uniti, sembrava sempre che lo spietato regime dei Duvalier potesse raggiungerci. Non ho mai dimenticato le brutali lezioni che il popolo haitiano era stato costretto a imparare sotto il loro governo, incluso come i Duvalier sfruttavano puntualmente disastri naturali e crisi nazionali per aggrapparsi ancora di più al potere.
Oggi dobbiamo tenere bene a mente quella lezione. Il COVID-19 rappresenta una minaccia non solo per la salute pubblica, ma anche per i diritti umani. Nel corso della storia, crisi come quella attuale hanno fornito ai regimi autoritari un comodo pretesto per ammantare di normalità i propri impulsi tirannici. I miei genitori lo vissero in prima persona, e ora la storia si sta ripetendo.
La nuova minaccia ha preso l’avvio in Cina, dove gli sforzi iniziali di un governo già autoritario di occultare l’epidemia ne hanno favorito la diffusione a livello mondiale. Ma la Cina non è certo la sola. In India, il governo del primo ministro Narendra Modi ha instaurato un lockdown di ventuno giorni con sole quattro ore di preavviso, senza dare il tempo a milioni di persone tra le più povere al mondo di fare scorta di cibo e acqua. Ma quel che è peggio è che da allora la polizia indiana ha usato il lockdown per portare avanti una discriminazione mirata nei confronti dei musulmani del paese.
Nel frattempo, in Kenya e Nigeria, la polizia e i militari prendono a pugni chiunque dia l’impressione di non adeguarsi con sufficiente rapidità ai protocolli di distanziamento sociale. In Israele, le autorità hanno adottato lo stesso approccio di una ventina di altri governi volto a spingere le norme a tutela della privacy fino al punto di rottura con l’impiego dei dati raccolti dai cellulari per controllare i movimenti dei cittadini. E in Ungheria il primo ministro Viktor Orbán, da anni impegnato a consolidare il proprio potere, ha fatto approvare una legge che di fatto legalizza il suo status di dittatore assoluto.
La risposta delle democrazie mondiali a queste violazioni è stata a malapena un sussurro. Ma per evitare di ritenersi immuni da simili scalate al potere, gli americani dovrebbero riflettere sul fatto che, alla fine di marzo, il dipartimento di Giustizia statunitense ha chiesto al Congresso il potere di detenere i cittadini americani (non solo gli immigrati irregolari) a tempo indeterminato senza processo.
I governi che adottano tali misure le giustificano definendole necessarie per combattere la pandemia. Ma la storia ci insegna che raramente, per non dire mai, i leader illiberali fanno decadere i poteri speciali assunti durante un’emergenza. Certamente, ogni governo ha il dovere di rispondere in maniera incisiva alla crisi di salute pubblica in atto, il che potrebbe richiedere l’imposizione di restrizioni temporanee ma significative ai cittadini. Ma molte delle politiche adottate da alcuni leader autoritari nelle ultime settimane non sono soltanto antidemocratiche, ma anche controproducenti per combattere la pandemia.
Ad esempio, lungi dall’impedire la diffusione della malattia, sopprimere la libertà di stampa rende ancor più difficile far capire alle persone come dovrebbero comportarsi. Allo stesso modo, l’arresto di civili senza processo mina la fiducia nel governo proprio nel momento in cui è più necessaria. E annullare le elezioni elimina qualunque incentivo per i leader politici a mettere gli interessi della gente al primo posto.
Nella lotta al COVID-19, dobbiamo fare anche tutto il possibile per proteggere la salute delle nostre democrazie. Più specificamente, dobbiamo riconoscere che, sotto molti aspetti, difendere la salute pubblica e la democrazia sono due fronti della stessa battaglia.
Per fortuna, le organizzazioni della società civile e i cittadini non sono impotenti dinanzi alle repressioni legate alla pandemia. Dopo oltre tre decenni in prima linea per difendere la democrazia, noi della Open Society Foundations abbiamo imparato alcune importanti lezioni.
Innanzitutto, bisogna utilizzare tutti gli strumenti disponibili per proteggere le libertà civili. Se la pandemia impone il distanziamento sociale, ciò non giustifica però comportamenti brutali da parte delle forze dell’ordine né l’abuso di potere da parte di un governo. L’istante in cui alcuni leader politici iniziano a limitare la libertà di parola e il diritto di manifestare, o rifiutano qualunque controllo sul proprio potere, il rischio di scivolare nell’autoritarismo diventa reale. I governi che cominciano a sfidare questi limiti devono immediatamente essere chiamati a rispondere delle loro azioni.
La seconda lezione è che dobbiamo evitare di cercare un capro espiatorio. Nel rispondere alla pandemia, troppi governi hanno cercato di etichettare il COVID-19 come un virus “cinese”, preparando il terreno per la sorveglianza e la stigmatizzazione di persone di origine cinese.
Da haitiano naturalizzato americano, sono stato un testimone diretto di persecuzioni simili durante la crisi legata all’HIV/AIDS negli anni ottanta del secolo scorso, quando i centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie annunciarono che l’Aids veniva trasmesso da “omosessuali, eroinomani, emofiliaci e haitiani”. In conseguenza di tali messaggi distorti e scientificamente infondati, gli Stati Uniti cominciarono a detenere profughi haitiani in un orrendo campo di prigionia a Guantánamo Bay, cosa che di fatto indebolì gli sforzi per contenere la diffusione dell’HIV.
Infine, occorre affrontare le disparità economiche e sociali latenti che le pandemie tendono a esacerbare. Per capire come il coronavirus abbia messo a nudo le profonde disuguaglianze dell’America, basti pensare a Rikers Island, il principale istituto penitenziario di New York City, che ora ha il più alto tasso di infezione del pianeta. Più in generale, la crisi sta dimostrando ancora una volta che troppe famiglie americane non hanno accesso all’assistenza sanitaria, a congedi per malattia retribuiti, protezioni per i lavoratori, risparmi personali e altri bisogni essenziali.
Proprio mentre respingiamo nuovi attacchi contro la democrazia e i diritti civili, dobbiamo sfruttare quest’opportunità per riconoscere i diversi modi in cui le nostre società stavano privando cittadini, rifugiati, migranti e profughi dei loro diritti prima dello scoppio della pandemia. Oggigiorno, è vero, lo stato della democrazia non è la principale preoccupazione della maggior parte delle persone. Ma se la salvaguardia della democrazia non è tra le vostre priorità, è lecito ritenere che non lo sia neanche tra quelle altrui.
Tristemente, troppi di coloro che sono al potere non si faranno mai carico di proteggere i nostri diritti. Dobbiamo farlo da soli. La democrazia è qualcosa di più di un semplice sistema di governo; è una lente attraverso la quale guardare il mondo e il nostro posto in esso. Se rompessimo quella lente durante un’emergenza, potremmo non rivedere più la nostra immagine allo stesso modo.
(Traduzione di Federica Frasca)
Già ambasciatore degli Stati Uniti in Sudafrica, è il presidente della Open Society Foundations.
Copyright: Project Syndicate, 2020.
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