ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùL’andamento dell’epidemia

Il Covid morde ancora, ma le cure a casa (Usca e antivirali) restano al palo

Almeno metà delle regioni non ha rinnovato le Usca, le squadre speciali di medici e infermieri impegnate fin dal marzo 2020 in prima linea

di Marzio Bartoloni e Andrea Gagliardi

Covid, Regioni pronte a riaprire gli hub per la quarta dose allargata

3' di lettura

Mentre la quinta ondata del Covid, trainato dalla contagiosissima Omicron 5, imperversa con oltre 1,3 milioni di persone attualmente positive, incidenza dei contagi oltre quota mille ogni 100mila abitanti e ricoveri nei reparti ordinari che hanno superato la soglia delle 9mila unità, l'assistenza domiciliare è in affanno. A fine giugno sono scaduti i contratti a tempo determinato dei medici e degli infermieri delle Usca, unico presidio rimasto sul territorio. Mentre sono ancora bassi i numeri delle somministrazioni di antivirali in Italia, a cominciare dal Paxlovid, prescrivibile dal medico di famiglia e acquistabile in farmacia. A pagarne le conseguenze sono gli ospedali dove arrivano positivi Covid che potevano essere trattati prima e a casa.

La dismissione delle Usca

Le Usca sono le squadre speciali di medici e infermieri impegnate fin dal marzo 2020 in prima linea nella lotta contro il Covid, fornendo cura e assistenza domiciliare ai malati che non necessitano di ricovero ospedaliero e ai pazienti in isolamento fiduciario, che, come previsto dall’ultima legge di bilancio, si sarebbero dovute chiudere a fine giugno. Il decreto andato in Gazzetta a fine giugno sulla riforma sanitaria del territorio prevede che ora spetti alle regioni il compito di attivare e dunque finanziare le Unità di continuità assistenziale (Uca) eredi delle Usca. Questa la posizione del ministero della Salute su cui le Regioni non concordano: «L’accordo con il ministero - ricorda il coordinatore degli assessori alla Salute Raffaele Donini - è di attuare la riforma progressivamente e invece noi siamo ancora in emergenza. Questo picco epidemico produce altri costi per il Covid che si aggiungono ad almeno 3,8 miliardi non ancora riconosciuti dal Governo per il 2020-2021. Insomma piove ancora sul bagnato»

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Regioni controcorrente

Ecco perché l'impennata imprevista dei contagi in estate ha indotto alcune regioni, a proprie spese, a prorogare le Usca fino al 31 dicembre. Tra queste ci sono Emilia Romagna, Sardegna, Marche , Lombardia, Campania Veneto, Sardegna, Lazio, Umbria. Altre potrebbero essersi aggiunte in corsa. Ma almeno metà ne sembra sprovvista. Una opzione definita «una pessima idea» dall’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, docente di Igiene all’università del Salento, che commenta: «Con un aumento dei casi che giunge come una tempesta perfetta nel bel mezzo di un’ondata di calore, e con le crisi ataviche di personale nei nostri reparti di emergenza-urgenza, la mancanza delle Usca si sente, eccome».

Antivirali senza sprint

Ma anche le cure a casa con gli antivirali non decollano. In base all’ultimo il rapporto Aifa sul monitoraggio delle prescrizioni, complessivamente, sono saliti a 66.699 gli italiani curati a casa con gli antivirali molnupiravir (Lagevrio) e Paxlovid (nirmatrelvir-ritonavir). Spinte dall'aumento dei contagi finalmente crescono le prescrizioni settimanali: dal 30 giugno al 6 luglio le richieste per molnupiravir di Merck (Msd in Italia) sono aumentate del 22,4% e quelle per Paxlovid di Pfizer del 32,1%. Ma soprattutto, in 14 giorni, sono raddoppiate (+106,9%) le terapie ritirate direttamente in farmacia, le cui prescrizioni sono passate da 4.000 a 8.300. Numeri in crescita ma ancora insufficienti a fronte di quasi 100mila contagi al giorno.

La delusione degli addetti ai lavori

«Almeno il 40% dei ricoveri che vediamo può essere evitato con la pillola antivirale a domicilio», sottolinea Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit). Gli antivirali «si sono rivelati efficacissimi» ma, secondo l’infettivologo, la loro mancata crescita è «in parte conseguenza della ridotta preparazione dei medici di medicina generale poco o mal informati su quelle che sono le interazioni farmacologiche sulla complessità del trattamento con gli antivirali in pillola». «È un dato di fatto che gli antivirali contro Covid-19 siano molto sottoutilizzati. Credo si tratti di un mix di mancanza di organizzazione e cultura della prescrizione - spiega Lopalco - eppure gli antivirali riducono sostanzialmente il rischio di ricovero bloccando la progressione della malattia verso le forme gravi».

Il ruolo dei medici di famiglia

«È indubbio che non stiamo usando granché gli antivirali contro Covid. Ma ci sono e in alcuni casi sarebbero meritevoli di utilizzo. Perché non si fanno? Tutti i medici di famiglia, che sono il primo filtro, dovrebbero essere ben aggiornati. È su di loro che dobbiamo puntare, dovrebbero essere più stimolati. E sarebbe utile chiarire ancora meglio dove, come e quando vanno utilizzati» incalza Massimo Galli, già direttore del reparto malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano. «Gli antivirali - aggiunge - vanno fatti, in una fase precoce dell’infezione, alle persone a rischio di progressione. Non è facilissimo che queste indicazioni possano essere applicate. Sono farmaci per i quali ci vuole attenzione e conoscenza».

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