Sport e politica

Il cricket e l’Afghanistan dei Talebani: una partita da (almeno) 40 milioni di dollari

Il nuovo regime talebano che è tornato al potere in Afghanistan dopo vent'anni si è affrettato a far intendere al mondo che il cricket non solo sarà tollerato, ma anzi incentivato

di Dario Ricci

Afghanistan: quanto è costato il Paese alla comunità internazionale?

5' di lettura

Gli ‘I Like' e i ‘cuori rossi' sono arrivati a decine di migliaia, in pochi minuti. Come del resto non essere d'accordo con la richiesta che Rashid Khan, il più celebre e forte campione di cricket afghano (che gioca nei Lahore Qalandars nella Superlega pakistana) ha diffuso commosso via Twitter dopo il sanguinoso e tragico attentato all'aeroporto di Kabul? “Kabul sta sanguinando ancora una volta! Basta uccidere gli afghani, per favore!” ha twittato la stella del cricket. E se il suo appello purtroppo finora sta cadendo nel vuoto, le migliaia di follower testimoniano quanto vasta possa essere l'eco di quelle parole, e quanto significativa la rappresentatività che la squadra nazionale di cricket possa avere in un Paese di nuovo sull'orlo della guerra civile e dell'abisso della crisi umanitaria.

Interesse politico

Sarebbe dovuta scendere in campo a breve, la Nazionale, anche in vista dei Mondiali programmati per il prossimo ottobre. Ma i match previsti contro il Pakistan in Sri Lanka a inizio settembre sono stati prima riposizionati nello stesso Pakistan, poi definitivamente rinviati a data da destinarsi per le ovvie, oggettive difficoltà logistiche e per l'altrettanto comprensibile “stato emotivo” dei giocatori della Nazionale (e ancora non si era verificato il tragico attacco terroristico a Kabul…).

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Ma malgrado tutto il nuovo regime talebano che è tornato al potere in Afghanistan dopo vent'anni si è affrettato a far intendere al mondo che il cricket (disciplina quanto mai diffusa nelle ex colonie inglesi nell'Asia centrale e meridionale) non solo sarà tollerato, ma anzi incentivato dal “nuovo-vecchio” corso politico-religioso che ha ripreso il controllo del Paese.

Un'immagine-simbolo di questa presa di posizione? Pochi giorni (anzi, forse meglio dire, poche ore …) dopo la presa della capitale, una delegazione talebana è stata accompagnata nella sede della Federazione Cricket afghana dall'ex capitano della Nazionale Ashagar Stanikzai; “incursione” a breve giro seguita da un ulteriore incontro con i stessi giocatori della rappresentativa (almeno quelli non impegnati nelle ben più ricche leghe estere). Come se – per fare un esempio ipotetico – in una situazione del genere trasposta in Italia, i nuovi leader si fossero subito preoccupati di far visita alla Federcalcio, al ct azzurro Roberto Mancini e ai suoi ragazzi freschi campioni d’Europa. Una scelta di certo non casuale, quindi, di cui è necessario provare almeno a comprendere ragioni e prospettive.

Sport popolare

«In Afghanistan il cricket è come il calcio da noi: basta uno slargo o una piazza, in qualsiasi città o villaggio, e i ragazzini scendono in strada con mazze e palline più o meno improvvisate per giocare», ci racconta Barbara Schiavulli, freelance inviata di guerra che ben conosce lo scenario, la cultura e la società afghane. Per paradosso – «perché loro sono contrari a qualsiasi esaltazione del corpo, dell'individualità, della creatività», spiega ancora Schiavulli – una prima ascesa della disciplina nel Paese ha coinciso con il potere dei talebani tra il 1996 e il 2001, con molti rifugiati afghani nel vicino Pakistan che hanno iniziato a praticarla. Il cricket ha cominciato così a farsi largo tra altri sport largamente diffusi. Per esempio? Le competizioni con gli aquiloni, la lotta tra cani e il buzkashi, letteralmente tradotto in “acchiappa la pecora”, sport nazionale dell'Afghanistan e molto popolare anche in Tagikistan e Kyrgyzstan (di fatto è una disciplina equestre che consiste appunto nell'afferrare cavalcando una carcassa di pecora, trascinandola o lanciandola poi in un'area di meta).

Il cricket è stato introdotto tra gli afghani nei campi profughi del Pakistan, nei quali più di 3 milioni di persone sono fuggite dall'invasione sovietica e dalla guerra civile scoppiata tra gli anni '80 e gli anni '90: da allora – con il progressivo e parziale rientro di quei migranti nel territorio afgano - si è diffuso in tutto il Paese, in particolare tra i giovani di etnia pashtun.

Consolidamento ai vertici

Il cammino verso i vertici del movimento, da lì in poi, è stato piuttosto rapido, sostenuto anche dall'International Cricket Council, la Federazione internazionale che ha sede a Dubai e che ha investito somme ingenti per lo sviluppo e il consolidamento del gioco in Afghanistan. «Basti pensare che ancora nel 2009 gli afgani giocavano contro di noi azzurri in un torneo di qualificazione mondiale in Tanzania – ricorda Kerum Perera, fiorentino figlio di immigrati dallo Sri Lanka, ora segretario della Federcricket italiana e quel giorno in campo in maglia azzurra – e per buona parte della partita giocammo alla pari, per poi cedere di misura. Già allora c'era grande attenzione per quella squadra, tanto che aveva al seguito una troupe tv della Bbc che ne stava raccontando la storia per un documentario. Dal punto di vista tecnico – conclude Perera – già allora si vedeva la matrice pakistana del loro gioco: lanciatori molto veloci, battitori poco tecnici ma molto aggressivi, un gruppo molto unito e compatto».

Ingresso nel gotha

Un cammino rapido che a fine giugno 2017 ha portato l'Afghanistan a ottenere (in quell'occasione insieme all'Irlanda) il riconoscimento da parte dell'ICC dello status di Full Member, cioè l'ingresso ufficiale nel gotha del cricket mondiale. Il presidente della Federazione Italiana Cricket (che è considerata invece un Associate Member, un gradino più sotto), Fabio Marabini, ha seguito da vicino tutte le fasi di questo processo: «Per l'Afghanistan è stato un successo straordinario – ricorda – salutato ovviamente con grande soddisfazione dal board federale, di cui facevano allora parte alcuni dirigenti che erano stati miei avversari ai tempi in cui ancora giocavamo. Per intenderci: un Paese come la Scozia, che ha consolidata tradizione nel mondo del cricket, non fa ancora parte dei Full Members».

Ma alla soddisfazione sportiva si accompagnavano anche gli altrettanto ovvi calcoli economici: «Va considerato che l'International Cricket Council fattura circa 3 miliardi di dollari annui di soli diritti televisivi – spiega Marabini – buona parte dei quali garantiti ai Full Members. Nel caso dell'Afghanistan la cifra annua si aggira intorno ai 40 milioni di dollari (circa 34 milioni di euro, ndr); si consideri che l'Italia riceve invece una quota di circa 380mila euro».

Marabini non nasconde che – a partire dalla situazione attuale e dalle esperienze passate, e malgrado le rassicurazioni formali – il futuro è incerto e fosco: «Ovvio che le cifre di cui parliamo fanno gola, immagino, al nuovo regime come interessavano il vecchio, che pure era già condizionato dalle tensioni interne fra le varie “anime” della società afghana, con un avvicendamento spesso rapido e improvviso di dirigenti. Ma le condizioni cui bisogna sottostare per ricevere quei fondi sono chiare e inderogabili».

Quale futuro per il cricket femminile?

La prima, la più evidente, è ancora una volta quella che più suscita timori e cupe previsioni, quando si parla dell'Afghanistan dei talebani: cioè il ruolo delle donne. «Sviluppare il cricket femminile è condizione imprescindibile per far parte dell'International Cricket Council – sottolinea lo storico dello sport Nicola Sbetti, che cura anche le relazioni esterne della federcricket italiana –, pena una serie di sanzioni progressive fino all'esclusione; e in effetti l'Afghanistan finora ha ottemperato a questa richiesta, pur in modo contraddittorio – visto il conservatorismo che comunque permea la società afghana - e con investimenti tutto sommato esigui. Al momento risultano 25 atlete sotto contratto con la federazione afghana, ma non sappiamo se, come e quando questo rapporto continuerà, così come l'intero movimento femminile». Altre domande le cui risposte cadono nel vuoto tra le strade insanguinate di Kabul, mentre tra repressione e violenze nel cielo rimbombano gli slogan della propaganda talebana.

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