Il crollo delle banche in Piazza Affari fa perdere 3 miliardi alle Fondazioni
di Alessandro Graziani
2' di lettura
I timori sul debito pubblico italiano che, tramite i Btp, pesa sulle banche sta mettendo a dura prova anche i conti delle Fondazioni azioniste. Da inizio anno gli enti hanno visto andare in fumo circa 3 miliardi di valore. A tanto ammonta, secondo la ricostruzione del Sole24Ore, la minusvalenza teorica delle Fondazioni azioniste delle principali banche quotate a Piazza Affari: Intesa Sanpaolo, UniCredit, Ubi Banca, BancoBpm e Bper Banca.
Le perdite maggiori (intorno ai 2 miliardi) riguardano gli enti azionisti di Intesa Sanpaolo, dove è più alta la quota complessiva (circa il 20% del capitale) detenuta da Compagnia San Paolo, Fondazione Cariplo, Cariparo, Carisbo, Fondazione Cr Firenze e altre con quote minori. Netta riduzione del valore delle partecipazioni da inizio 2018 (intorno ai 600 milioni) anche per gli enti azionisti di UniCredit.
La quota del 5,5% circa in mano a CariVerona, Crt e le altre fondazioni con quote minori ha perso di valore proporzionalmente al calo della “market cap” complessiva della banca che è scesa dai 35 miliardi di inizio anno ai circa 25 miliardi attuali. Minusvalenze teoriche (160 milioni) anche per gli enti azionisti di Ubi Banca (Fondazione Cuneo e Banca del Monte di Lombardia con l’11% complessivo), di BancoBpm (Crt, CariVerona, CariLucca e altre con quote minori) che hanno visto evaporare 82 milioni sul loro 5% complessivo. Sorte analoga per gli enti azionisti (circa 7,5% del totale) di Bper Banca: Fondazione Banco Sardegna, Cassa Modena, Manodori e altri hanno bruciato 67 milioni da inizio anno.
È corretto parlare di minusvalenze solo teoriche, per il momento, poichè le perdite effettive si realizzano solo in caso di vendita delle azioni. Ma a differenza degli investitori istituzionali, soprattutto esteri, che scappano quando vedono crescere il rischio Italia, le Fondazioni non vendono e mantengono le quote ragionando in un’ottica di medio-lungo termine. Quasi fossero, e in taluni casi nei fatti lo sono davvero, un fondo sovrano regionale. Se il deprezzamento delle partecipazioni bancarie fosse duraturo, le minusvalenze andrebbero a intaccare nei bilanci delle Fondazioni il patrimonio con conseguenze indirette sulle erogazioni che, in buona parte, dipendono dal flusso dei dividendi in arrivo dalle partecipazioni bancarie. È certo che le Fondazioni - come probabilmente ribadirà oggi il presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti nel suo intervento alla Giornata mondiale del risparmio - non faranno mancare il proprio sostegno alle banche, anche se in prospettiva la crisi dovesse portare all’esigenza di ricapitalizzare alcuni istituti di credito.
Il Governo ha fatto sapere ufficialmente di avere un piano d’intervento che, in caso di crisi acuta, garantirebbe la ricapitalizzazione delle banche. Molti guardano alla solita Cdp che, ai tempi del fondo Atlante, aveva messo a punto un piano B battezzato il “Tarp italiano”. Sarebbe paradossale se le Fondazioni, per tamponare la crisi delle banche partecipate originata dai debiti dello Stato, dovessero sostenere l’onere di un intervento della Cdp di cui sono azioniste con il 15% circa del capitale.
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