Il David spacca l’Italia: new medioevo o neo-nazionalismo delle immagini?
La sentenza del giudice Donnarumma condanna l’uso non autorizzato del capolavoro e riconosce il diritto all'immagine dei beni culturali: favorevole il ministro contrari Sgarbi e Settis. Cosa dice l’avvocata De Angelis, esperta di diritto d’autore
di Giuditta Giardini
I punti chiave
5' di lettura
Chissà se Michelangelo Buonarroti poteva immaginare che nei primi decenni del 2000 si sarebbe parlato così tanto del suo David. La riproduzione del David è stata declinata in tutti i colori e in tutte le salse: con un mitra in mano, con un paio di jeans sdruciti e occhiali da sole, con una Big Bubble rosa davanti alla faccia; l'abbiamo visto sui muri di Wynwood, in film, documentari e su cartoline dalla dubbia moralità; la sua nudità è stata pure fatta passare per materiale pornografico! Però la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata una copertina dell'edizione di luglio/agosto 2020 di GQ Italia. Sull'edizione del magazine di Condè Nast, in una cover lenticolare ad effetto morphing si alternavano la riproduzione della statua del David di Michelangelo, simbolo dell'estetica maschile rinascimentale, e l'immagine scultorea di Pietro Boselli, il modello italiano più famoso nel mondo.
Ad indignarsi era stato il Ministero della Cultura e la direttrice tedesca della Galleria dell'Accademia, Cecilie Hollberg, che avevano immediatamente chiesto (e ottenuto) un provvedimento cautelare per impedire la divulgazione e fruizione digitale della copertina sui siti internet Condè Nast. Si lamentava la riproduzione non autorizzata, indecorosa e per giunta a scopo di lucro del David in copertina.
La sentenza
Dopo tre anni, il giudice Massimo Donnarumma del Tribunale di Firenze si è pronunciato a favore dello Stato Italiano, facendo proprie le tesi sostenute dall'Avvocatura dello Stato secondo cui: “l'immagine dei beni culturali è espressione dell'identità culturale della nazione e della sua memoria storica da tutelare ai sensi dell'articolo 9 della Costituzione.” In analogia al diritto all'identità personale (“il diritto a non veder alterato e travisato il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico e professionale”), costituzionalmente garantito all'articolo 2, secondo il Tribunale di Firenze deve essere tutelata, ai sensi dell'articolo 9 Cost., l'identità collettiva “dei cittadini che si riconoscono come appartenenti alla medesima Nazione anche in virtù del patrimonio artistico e culturale”. Sempre secondo la Giustizia fiorentina il David sarebbe espressione di un patrimonio di valori per la comunità nazionale che in esso si identifica. Pertanto con la riproduzione non autorizzata: “risulta gravemente lesa l'immagine di un'opera di assoluto pregio artistico, che è assurta a simbolo non solo delle temperie rinascimentali, ma anche del nostro intero patrimonio culturale e in definitiva del genio italico”. Secondo il giudice Donnarumma “dolosa” è stata l'azione con cui fu impedito al Ministero di valutare la compatibilità tra l'uso dell'immagine del David e la sua destinazione culturale e “doloso” è stato anche l'utilizzo dell'immagine perché l'autorizzazione era già stata negata dalla direttrice della Galleria dell'Accademia in quanto la cover lenticolare “alterava l'immagine del bene culturale”. Alla fine la nota casa editrice è stata condannata a versare un risarcimento complessivo di 50mila euro per danni patrimoniali (20) e non patrimoniali (30).
Favorevoli e contrari
Questa sentenza spacca in due l'Italia tra coloro che plaudono la decisione, tra cui il ministro Sangiuliano che ha visto nelle motivazioni una conferma del recente D.M. n. 161 dell'11 aprile 2023 e chiosa: “conforta che i giudici la pensino come il Ministero” e quelli per cui la decisione rappresenta un passo indietro o, per dirla con i toni della copertina di Condè Nast, “a new middle-age”, un nuovo medioevo delle immagini. Tra questi ultimi ci sarebbero anche il sottosegretario alla cultura, Vittorio Sgarbi, che ha persino ironizzato che “lo Stato dovrebbe far causa a sé stesso per Open to Meraviglia” e Salvatore Settis che si è dichiarato favorevole a “lasciare totalmente pubbliche le immagini dei musei”.
L’intervista
Sul punto Arteconomy ha sentito l'avvocata Deborah De Angelis esperta nelle materie del diritto d'autore, del diritto dello spettacolo e delle nuove tecnologie, fondatrice dello studio legale DDA.
Il giudice fiorentino parla di “diritto all'immagine dei beni culturali” intesa come un'estensione del diritto all'identità personale è possibile estendere questo diritto a dei beni o, in realtà, si sta parlando di altro?
Credo che si debba fare una distinzione tra il diritto personalissimo riconosciuto ad ogni essere umano sulla propria immagine e gli altri segni distintivi e il decoro che, invece, può riguardare l'utilizzo non decoroso della riproduzione digitale del patrimonio culturale italiano. È facile in questo contesto cedere ad imprecisioni come quando non si distingue propriamente tra l'utilizzo di un bene culturale fisico, che necessita di determinate accortezze e la condivisione dell'immagine digitale del bene culturale che attiene, invece, alla sfera immateriale del bene culturale.
Se la decisione di eleggere il patrimonio culturale a ‘patrimonio nazionale' e difenderlo è rimessa ai cittadini, come sembra dal testo della sentenza, che dire dell'ondata di indignazione popolare dopo la campagna “Open to Meraviglia” del Ministero del Turismo?
È difficile poter tracciare una linea di demarcazione tra ciò che riguarda l’esistenza del diritto all’immagine dei beni culturali, inteso quale espressione del diritto costituzionale all’identità collettiva dei cittadini che si riconoscono nella medesima nazione, mettendo a confronto l'immagine del David riprodotta sulla copertina della rivista incriminata e quella della Venere del Botticelli nelle sembianze di una influencer (quella dello spot pubblicitario “Open to Meraviglia” del Ministero de Turismo n.d.r.). Quale riproduzione è davvero significativa di uno svilimento, offuscamento, mortificazione e umiliazione dell’alto valore simbolico ed identitario dell’opera d’arte?
Quali sono le conseguenze per la condivisione della Cultura libera a seguito dell'emanazione del decreto del Ministero della cultura per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d'uso dei beni in consegna agli istituti e i luoghi della cultura statali?
La previsione di un tariffario minimo, come quello introdotto dal D.M. n. 161 dell'11 aprile 2023, che impone il pagamento di un canone per l'utilizzo dell'immagine digitale del bene culturale in pubblico dominio, pone una limitazione alla libertà di ciascun individuo di fruire del patrimonio culturale, non tutelato dalla legislazione sul diritto d'autore, limitando così tutte le attività per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale che possano presentare un profilo di lucro anche se non prevalente. Il nostro Paese ha ancora molta strada da fare per allinearsi alle politiche di Open Access e, in particolare di Open Culture, sostenute e ampiamente sollecitate da numerose carte internazionali.
Per concludere, se da un lato l'interpretazione del Tariffario data dal ministro Gennaro Sangiuliano e dal suo capo dell'Ufficio legislativo, il professore Antonio Tarasco, sembra orientarsi verso una liberalizzazione degli usi delle immagini “per motivi di studio”, resta da chiarire che cosa intenda veramente il governo per “scopo di lucro” dei prodotti editoriali considerando che molte riviste scientifiche che perseguono una finalità di ricerca e studio, perseguono altresì finalità lucrative.
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