«Il desiderio di lettura è vivo» Dai bambini segnali contro la fine del libro
Elena Pasoli. La direttrice della Bologna Children’s Book Fair, la fiera mondiale più importante del settore, ragiona sull’approccio dei giovani ed esprime pragmatico ottimismo
di Paolo Bricco
6' di lettura
«Nei bambini e nelle bambine il desiderio della lettura è vivo. Il mondo è cambiato. Sono pragmatica, ma ottimista. Il sovraffollamento dell’immagine e la prevalenza della rete sono l’ossatura friabile della realtà. Il libro classico, come primo codice di interpretazione e come strumento diffuso in ogni ceto sociale, è in crisi. L’Ottocento e il Novecento sono passati. Ma è altrettanto vero che ha preso forma un fertile terreno comune fra il libro tradizionale su carta, il libro digitale, l’audiolibro, i podcast e una forma mista di parola scritta e immagine quale è la grafica. Non tutto rischia di essere polverizzato, compresso e annichilito dalla fugacità e dalla pervasività dei social media e della rete. Esistono, fra tutti questi mondi, punti di incontro, per i quali chi è nato negli anni Duemila ha una naturale attitudine».
Elena Pasoli, 65 anni, ha una passione per la letteratura israeliana («fra Amos Oz, Abraham Yehoshua e David Grossman, preferisco il terzo, Che tu sia per me il coltello è stata una tappa fondamentale della mia vita interiore») e la letteratura americana: «Amo Philip Roth, sto ascoltando in audiolibro La macchia umana, non ha pari la sua capacità di spiegare il cuore degli uomini e delle donne raccontando i desideri più intimi e biologici e le paure più nascoste e distruttive». Elena è la direttrice della Bologna Children’s Book Fair, l’unica fiera al mondo – complementare alla Buchmesse di Francoforte e alla Book Fair di Londra – dove gli editori e gli agenti letterari si incontrano esclusivamente per trattare i diritti dei libri per i lettori e le lettrici più giovani: «Nel 1996, Barry Cunningham girava per gli stand con il manoscritto di Harry Potter di J.K. Rowling nella borsa».
Siamo al Caminetto d’oro di Bologna. Il caldo, per fortuna, non è canicolare. «Ho scelto questo ristorante – dice Elena – perché qui ogni anno si fa la cena alma in cui viene annunciato dal Governo della Svezia il nome del vincitore dell’Astrid Lindgren Memorial Award, il premio intitolato all’autrice di Pippi Calzelunghe. Vale cinquecentomila euro. È considerato il Nobel per gli scrittori, i disegnatori e le organizzazioni che operano nella narrativa e nella cultura per l’infanzia». Quest’anno il premio è stato assegnato alla scrittrice americana Laurie Halse Anderson: i due libri più celebri sono Speak, del 1999, la storia di una ragazza di quindici anni che subisce una violenza sessuale e che viene emarginata da “amici” e “amiche” e Wintergirls, del 2009, che tratta della anoressia.
Ogni anno in primavera a Bologna arrivano i funzionari delle maggiori case editrici internazionali: da Penguin Random House a Gallimard, da Hachette a Bertelsmann. Sono rappresentate le piccole e medie case editrici. E ci sono i maggiori agenti letterari specializzati: dagli Stati Uniti Rachel Hecht, Debbie Bibo (che lavora anche a Milano) e quelli della Writers House, dall’Inghilterra Curtis Brown, dalla Turchia i membri della Kalem Literary Agency, dalla Germania Thomas Schlück, dalla Francia l’agenzia Bragelonne, dalla Svezia la IA AAtterholm, dal Giappone la Japan Uni Agency. «Gli espositori sono circa millecinquecento e provengono da una novantina di Paesi. Letteratura, ma anche albo illustrato», dice Elena mentre iniziamo a maneggiare i menù. Una macchina organizzativa complessa, gestita da Pasoli con meno di una decina di persone, che oltre all’appuntamento di Bologna ha, nel corso dell’anno, tutta una serie di propaggini internazionali – fra Giappone, Corea del Sud, Stati Uniti e Cina – che ne fa una articolazione essenziale di questo specifico mercato.
Anche se la calura oggi non è opprimente, il Caminetto – a mezzogiorno, in estate – non accende la friggitrice. Per cui, purtroppo, niente gnocco fritto. Io prendo comunque della culaccia con pan brioche e burro salato. Lei, invece, sceglie una zuppetta fredda di pomodoro con acciuga e olio al basilico. Secondo l’analisi del Nielsen Bookscan, il comparto ha una tendenza di lungo periodo alla crescita, da noi e in tutto il mondo: per esempio, rispetto al totale del mercato editoriale italiano nel 2012 valeva il 19% in volume e il 14% in valore, mentre adesso vale il 23% in volume e il 18% in valore. Questo pezzo di mercato ha, quindi, una natura strategica fondamentale. Non solo perché incorpora una tendenza allo sviluppo, ma anche perché opera sulla domanda dei nuovi lettori. È il presente e, insieme, il futuro. E, allo stesso tempo, è anche il passato: «L’idea della fiera venne all’editore Renato Giunti. Ogni anno Giunti tornava spazientito da Francoforte, dove l’editoria per bambini e per ragazzi veniva relegata in angoli periferici. Ebbe l’intuizione di una fiera specifica e specializzata. La propose prima a Firenze. E, poi, a Bologna, dove si tenne la prima edizione nel 1964. Andò, da subito, bene. Già il primo anno parteciparono gli europei e gli americani. Al secondo, si presentarono i giapponesi e i sudamericani».
Il cameriere insiste per aggiungere un calice di vino all’acqua minerale. Cediamo entrambi alla sua proposta. Per lei un Franciacorta e, per me, un Sangiovese di Romagna. Pasoli non ha le pose di chi si sente una intellettuale raffinata e insondabile. Non parla ex cathedra come tanti accademici. Non si muove con la noncuranza oracolare che ha qualche volta chi scrive romanzi e poesie. E non ha nemmeno gli atteggiamenti efficientisti di chi fa il dirigente nel piccolo acquario dell’editoria come se facesse il manager nel grande mare della finanza o dell’industria. Ha nel tratto la normalità di chi ha iniziato a lavorare rispondendo nel 1983 ad un annuncio del «Resto del Carlino» per una associazione di produttori di piastrelle che cercava chi si occupasse di comunicazione e di eventi. Elena ha un blasone famigliare insieme semplice e sofisticato: «Mia madre si chiamava Dimma. Era figlia di contadini della Valpolicella. Il suo nome era stato preso da un romanzetto rosa degli anni Venti. Mio padre Elio era figlio del preside del Liceo Maffei di Verona. Si conobbero a Valgatara, il piccolo paese dove la famiglia borghese di mio padre si trasferiva d’estate per fare le vacanze. Dopo che si innamorarono e si sposarono, in casa continuarono a parlare sempre in veneto. Si trasferirono a Bologna, dove mio padre diventò professore ordinario di filologia classica. Lui era allievo del latinista e poeta Giovanni Battista Pighi. Nonostante avesse la quinta elementare, la vera lettrice della famiglia è sempre stata mia mamma. È lei che mi ha trasmesso la passione per la narrativa. Abitavamo in Via Irnerio, vicino all’università. Io ho frequentato il liceo Minghetti».
In questa quiete esistenziale – come spesso capita – si è a un certo punto inserito un punto nero. Elena parla con la tranquillità conferita dal tempo trascorso a un lutto antico e profondo, capace di modificare la traiettoria della sua vita spingendola, alla fine, a occupare una delle posizioni meno appariscenti ma più centrali della editoria internazionale: «Mi ero iscritta a lettere classiche. Durante il mio secondo anno, mio padre si è ammalato per un tumore ai polmoni e si è spento. Aveva solo 52 anni. Per me è stato, allora, un trauma e, poi, una fonte di condizionamento. Ho finito bene gli studi. Ma non ho voluto fare il dottorato di ricerca e la carriera accademica a cui sembravo destinata per i risultati che ottenevo. Non volevo venire trattata, già nei primi concorsi universitari, come l’orfanella».
Come piatto principale Elena sceglie la tartare di manzo con tartufo scorzone e maionese alla frusta alle acciughe. Io un coniglio al tegame con salsa ai grani di senape con fagiolini alla mentuccia. Bologna – con la neutralità comunicativa tipica delle manifestazioni non destinate al grande pubblico ma riservate soltanto agli operatori professionali – è diventata uno snodo dell’industria editoriale e del dibattito culturale: «Dieci giorni prima dell’edizione di quest’anno, Netflix ha acquistato i diritti dei romanzi di Roald Dahl. Si è creato un dibattito intenso sull’applicazione del cosiddetto politicamente corretto alla letteratura per i più piccoli e alle sue trasposizioni nelle serie TV e nel cinema. Nelle redazioni angloamericane oggi ha un ruolo centrale il sensitivity reader, incaricato di prevenire le offese reali o potenziali alle minoranze. Io comprendo i processi culturali che soprattutto negli Stati Uniti hanno portato a questa sensibilità estrema, ma devo dire che, da europea, sono contraria. Per formare giovani lettori critici, i genitori e gli insegnanti devono trasmettere il concetto della contestualizzazione ai loro figli e ai loro allievi. Non mi piace l’edulcorazione della letteratura».
Come dessert io prendo della zuppa inglese.
«Non amo i dolci», dice Elena. Arrivano i caffè per entrambi.
L’apocalisse dei libri non è imminente: «I bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze hanno sempre più, come estensione dei loro corpi e delle loro menti, gli smart-phone e i loro infiniti contenuti. Ma, in questa mutazione generale indotta dalla tecnologia di massa, esistono ancora lo spazio emotivo per la passione verso la lettura e lo spazio mentale per l’idea del libro, che è uno degli elementi fondativi del mondo generato dal Mediterraneo, dall’Ebraismo al Cristianesimo fino all’Islam, che sono religioni e civiltà del libro», dice Elena Pasoli. E, mentre con naturalezza Elena interseca il grande e il piccolo, mi viene in mente l’invito di Dahl «guardate con occhi scintillanti tutto il mondo intorno a voi perché i più grandi segreti sono sempre nascosti nei posti più improbabili. Coloro che non credono nella magia non potranno mai trovarla». Segreti e magia, bambine e bambini, occhi e mondo, ragazzi e ragazze. I libri di ieri, di oggi e di domani.
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