Cassazione

Il design del negozio se creativo tutelato dal diritto d’autore

Sì alla garanzia se il progetto o l’arredamento di interni, hanno una chiara chiave stilistica, non dettata dall’esigenza di superare un problema tecnico

di Patrizia Maciocchi

2' di lettura

Anche il desing del negozio può essere protetto dal diritto d’autore, come opera dell’archittettura. Se il progetto o l’arredamento di interni, hanno una chiara chiave stilistica, non dettata dall’esigenza di superare un problema tecnico. Ad affermarlo è la Corte di cassazione (sentenza 8433) nella sentenza relativa alla querelle giudiziaria tra la Wycon e la Kiko che fa capo ad Antonio Percassi patron dell’Atalanta, sui layout dei concept store delle due aziende di cosmetica.

Il progetto unitario e creativo

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La Suprema corte conferma che la Wycon ha copiato il design dei negozi della Kiko, azienda con accordi di franchising in varie parti del mondo, realizzati da uno studio di architettura con uno stile che fa rientrare il progetto unitario nella tutela del diritto d’autore. Per la Suprema corte però non è giusta la liquidazione del danno, né è provato il punto della controversia relativo all’accusa della concorrenza parassitaria, consistita nel mettersi costantemente sulle orme dell’azienda leader, imitandone tutte le iniziative promozionali e produttive: dall’abbigliamento delle commesse, all’aspetto dei prodotti, fino alla comunicazione commerciale on line. La Cassazione afferma che la Kiko, avendo commissionato l’opera allo studio di architettura è titolata a far valere la violazione del diritto d’autore da parte di terzi. E la violazione scatta quando il progetto che viene copiato ha uno stile che rivela l’impronta dell’autore «purchè si tratti di una combinazione originale, non imposta da un problema tecnico che l’autore vuole risolvere».

I criteri del risarcimento

La Cassazione considera però arbitraria la liquidazione del danno fissata a 700 mila euro. I giudici di legittimità annullano così il verdetto chiedendo alla Corte di appello di Milano sia di accertare l’ eventuale sleale sia di quantificare il danno in via equitativa.Per la I Sezione civile infatti il danno è stato liquidato dalla Corte di merito, utilizzando come base di calcolo non la somma che l’utilizzatrice Wycon avrebbe dovuto pagare a Kiko per acquistare i diritti correlati allo sfruttamento del concept store, ma la somma che, in unica soluzione, 70mila euro, Kiko aveva liquidato all’autore del progetto d’architettura, e come moltiplicatore l’unità di dieci, del tutto arbitraria.

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