Libri

Il dettaglio di un tronco biforcato nel quadro di Bruegel

Nel libro di Alessandro Zaccuri una minuzia nasconde un significato ben più grande

di Alberto Fraccacreta

3' di lettura

È possibile ritrovare sé stessi e la parte più vera della realtà in un dipinto? Sembra questo l'interrogativo essenziale che Alessandro Zaccuri pone al lettore nel suo ultimo libro, La quercia di Bruegel. Un dettaglio a prima vista insignificante, invisibile, celato nelle pieghe riposte del quadro, è in grado di darci la via d'accesso per una comprensione più ampia delle cose.


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Antefatto

Ecco l'antefatto. Un autore di libri dozzinali, crismato di eteronimi neozelandesi, argentini e francesi (ma altrimenti innominato), è a Bruxelles il 22 marzo 2016 – «non il giorno migliore per visitare» la capitale belga – con l'intento di studiare i quadri dei Bruegel, in vista del suo prossimo romanzo dedicato all'augusta dinastia di pittori (compilare biografie di artisti è l'unico modo rimastogli per riscuotere un qualche, benché negletto, successo).

Il caso vuole che, nel trambusto e nella paura degli attentati, egli incontri in albergo una neurologa, Matilde Rovani, anche lei lì per Bruegel il Vecchio. I due cenano in brasserie e qui inizia la mise en abîme in cui risiede il cuore del racconto: Matilde narra di un suo paziente molto particolare, Massimo, il quale a causa di un incidente sciistico ha sviluppato disturbi percettivi tali da compromettere la sua carriera di manager («le cose diventano una cosa sola, una cosa strana»).

È abitudine della dottoressa Rovani di curare i propri assistiti con rapidi test che hanno per oggetto opere d'arte figurativa. Massimo s'imbatte nell'Adorazione dei Magi nella neve e, oltre la consueta polverizzazione visiva, riesce a intravedere un tronco biforcato che spunta da una finestrella.

Dettaglio minimo

«È un dettaglio minimo, che induce a domandarsi che bisogno ci fosse di questo segno ulteriore. La finestra stessa sembra esistere solamente per consentire l'apparizione di quel tronco incerto, di quei ramoscelli tentennanti. La finestra ricorda che non tutto è già stato visto, non tutto è stato rivelato». Massimo si sforza allora di riprodurre su carta l'albero che diventa presto un assillo, l'unica speranza di guarigione. Matilde mostra allo scrittore – il cui occhio sulla vicenda filtra una prospettiva ironica ma solerte, fungendo anche da io narrante – i suoi disegni, capaci di illuminare in qualche modo un dibattito, tutto interiore, tra arte e percezione, relazione (quantistica?) e natura, realtà e mistero.

Il «tronco incerto» è segno della grandezza di Bruegel, «perché sempre di questo si discute, quando si discute d'arte: della grandezza, non della bravura». In ogni minuzia può essere infatti nascosto borgesianamente il significato generale del tutto. Zaccuri, a suo agio in sapienti architetture à la Ferruccio Parazzoli (il lettore legge contemporaneamente un romanzo e il romanzo effettivo dello scrittore protagonista “liberato” dagli eteronimi, secondo una complessa tecnica a incastro), costruisce uno snodo diegetico che riporta al centro dell'attenzione l'«ostinazione della materia», in un'alternanza di attualità – la vicenda balza infine al tempo del Covid – e di riferimenti colti.

Si pensi al taciuto cenno a Yves Bonnefoy, poeta «eclettico, apprezzato in particolare per un poema in numerosi canti ispirato allo scorrere di un piccolo fiume della provincia francese». Ma, in definitiva, cosa c'è oltre la spessa coltre delle apparenze? Davvero il nostro varco sul reale è mediato da schermi, epuratori, canali di scolo che ci consentono solo in parte il transito?

«Non ci sono segreti da svelare, basta la realtà. Dura come una tavola di quercia, leggera come un'ombra di colore o un grumo bianco che simula la neve».

Alessandro Zaccuri, La quercia di Bruegel, Aboca Edizioni, pagg. 169, € 15

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