A Venezia un ottimo Brad Pitt nel difficile cammino verso le stelle
Brad Pitt fa i conti con il proprio passato mentre compie una missione spaziale. In gara il film della prima regista dell’Arabia Saudita sulla disparità femminile, mentre infuria la polemica Martel-Polanski
di Cristina Battocletti
3' di lettura
Più è lontano, più lo spazio diventa inevitabilmente un’occasione per approfondire pensieri più che terrestri, legati ossessivamente al passato o alla propria personalità. È avvenuto l’anno scorso, sempre qui, alla Mostra del cinema di Venezia, per “Il primo uomo” diretto da Damien Chazelle, sull’allunaggio del 1969. E nel 2013 con “Gravity” di Alfonso Cuaron, presentato sempre al Lido.
Oggi i conti li ha fatti Brad Pitt nei panni di Roy McBride in “Ad astra” di James Gray addirittura da Marte.
Roy è un astronauta, figlio di un eroe dello spazio, anaffettivo e controllatissimo. Anche nei momenti di difficoltà estrema mantiene un battito cardiaco basso e domina la situazione. È il modo in cui è cresciuto dopo la scomparsa del padre (Tommy Lee Jones), durante una missione proprio mentre cercava forme di vita alternative nel sistema solare.
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Roy viene chiamato dall’agenzia spaziale ad agire nel momento in cui la Terra viene scossa da forti scariche di tensione, probabilmente provocate dalla navicella usata dalla missione del padre. Supposizioni fanno credere che possa essere ancora vivo e Roy è un’ottima esca per scoprire la verità.
Ma l’agenzia spaziale non ha calcolato che un uomo algido può diventare un rivoluzionario, quando dentro scatta una sommossa interiore, in grado di destrutturare la parte emotiva .
Non tutto della sceneggiatura, firmata dallo stesso regista e da Ethan Gross, funziona. Roy capisce di essere usato attraverso un’orfana che aveva perso il genitore nella stessa missione in cui era impiegato McBride senior: un meccanismo piuttosto forzato. E ci sono eccessi melò per una figura che non è riuscita in tutta la vita a tenere una relazione stabile. Il modo in cui riesce a raggiungere il missile in partenza per Marte è a dir poco rocambolesco, ma siamo in un fanta thriller e tutto è permesso.
Ottima la fotografia di Hoyte Van Hoytema, con molte citazioni a o”di”, oppure “riferimenti a” “Solaris” di Tarkovskij e “Odissea 2001” di Kubrick.
Ad essere forte però è soprattutto la recitazione di Pitt, che in conferenza stampa ha detto: «È stato il lavoro più difficile della mia vita, un film delicato, una vera e propria sfida. Raccontare una storia tra padre e figlio riuscendo a mantenere il giusto equilibrio in maniera sottile e delicata non è stato facile».
Il concorso ha ospitato il primo film sulla questione gender, “La candidata ideale” di Haifaa Al Mansour, proprio mentre il caso Mee Too rimontava nelle parole della presidente della giuria, Lucrecia Martel che ha annunciato ieri di non voler partecipare alla cena di gala di Polanski per non doversi alzare ed applaudire.
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La presidente ha in parte corretto la sua affermazione spiegando che è giusto ammettere l’opera in concorso, visto che è staccata dall’autore, ma ormai il polverone si era già alzato. E così oggi è stato tutto un rimpallarsi di dichiarazioni.
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Quel che conta è che in gara ci sia un’opera della prima regista dell’Arabia Saudita che racconta le difficoltà di una giovane donna medico, Maryam (Mila Al Zahrani), nell’essere accettata nel suo ruolo dagli uomini. La vita di Maryam procede tra continui divieti e veli che coprono corpo e faccia, minacce e insulti soprattutto da parte femminile. Per Maryam è ancora più dura, visto che è figlia di musicisti, e che il padre, dopo la morte della madre, è affetto da depressione.
In una delle sue peripezie quotidiane per caso la protagonista si imbatte nella candidatura alle elezioni comunali e il film ha qui la sua ragion d’essere.
La sceneggiatura, scritta dalla stessa regista, ha molti momenti comici ed è utile a mostrare il difficile cammino della parità, anche se rivela una struttura piuttosto elementare e a tratti quasi televisiva.
Ma ben venga qualsiasi pellicola di questo tipo, se aiuta la causa.
Si sa, per aspera ad astra.
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