Il distretto calzaturiero salvato dall’export e dai marchi del lusso
Fenni: «Pesano le tensioni internazionali, speriamo di chiudere quest’anno sui livelli del 2022». Imprese a caccia di lavoratori qualificati
di Michele Romano
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«Considerando le difficoltà internazionali, chiudere quest’anno pareggiando il risultato del 2022 sarebbe già un ottimo segnale». È prudente Valentino Fenni, presidente dei calzaturieri di Fermo, uno dei distretti produttivi leader in Italia e con la maggiore vocazione all’export nelle Marche. «Chi lavora con il proprio brand è ancora in difficoltà», segnala. La fase congiunturale è al momento positiva, sotto la spinta dei grandi player globali, che hanno fatto crescere la capacità produttiva di tanti piccoli calzaturifici e trascinato in alto i valori delle esportazioni: 1,1 miliardi nei primi nove mesi di quest’anno (+34,4% sullo stesso periodo dell’anno precedente), con Fermo a quota 526,4 milioni (+37,4%), Macerata a 329 milioni (+29,9%) e Ascoli Piceno a 171,6 milioni (+38,8%). Tutti in ripresa i principali mercati di destinazione, ad eccezione della Russia (-18%), che per la prima metà dell’anno aveva garantito fatturati in crescita ai produttori nel segmento medio-basso: «I buyer stanno rimodulando gli acquisti, anche a causa del cambio rublo-euro, schizzato negli ultimi mesi – spiega Fenni -. Sono costretti a essere più attenti al prezzo, acquistano un numero inferiore di paia, ma almeno sembra che abbiano risolto alcuni problemi con i pagamenti». Segnali di instabilità, che hanno accompagnato i calzaturieri marchigiani presenti alla fiera di Almaty in Kazakistan e all’Obuv di Mosca.
È tornato il segno positivo, invece, verso Germania (+18%), Francia (+26,1%), Cina (+138,6%) e Stati Uniti (+54,4%), quest’ultimo «un mercato complesso» ma sul quale il presidente dei calzaturieri è pronto a scommettere: «Il 2024 deve diventare l’anno degli Usa, anche grazie alla disponibilità di risorse pubbliche regionali, che ci consentiranno di continuare a investire. Al contrario sarebbe davvero complesso avere una presenza efficace». Per Fenni, inoltre, i mercati emergenti saranno quelli africani, in particolare la Nigeria, presente con molti buyer al Micam, e l’India, «terreno ancora inesplorato».
All’interno del distretto (3.057 aziende, quasi un terzo di quelle attive in tutta Italia) si discute invece sul rapporto tra i grandi player globali, che da un paio di anni hanno scelto di produrre direttamente in loco, le aziende che vogliono mantenere vivi i propri marchi e i piccoli ma estremamente qualificati terzisti. Nel 2024 continueranno a mancare alcune figure specializzate: orlatrici, chi si occupa di taglio e finissaggio, competenze ed esperienze sempre più rare. «Un tesoro che chi ha in azienda cerca di preservare, proprio rispetto alle grandi griffe, che hanno scelto di produrre da noi, consapevoli che qui ci sono i migliori artigiani: la loro però non è concorrenza sleale, è il mercato che decide dove è meglio lavorare». I marchi del lusso, che negli anni si sono approvvigionati all’interno del distretto marchigiano, stanno portando business e lavoro: «L’obiettivo è riuscire a creare filiere funzionali ai grandi brand e alle piccole e piccolissime aziende che ci caratterizzano – dice Fenni -, facendo dell’intero distretto uno spazio sia per chi vuole stare sul mercato con il proprio nome, sia per i principali marchi della moda».
Rinviati al 2024 anche altri grandi temi, che sono comuni a tutta la manifattura italiana, a cominciare dall’impatto del costo del lavoro: «Continuiamo a sperare di avere un intervento stabile e concreto del governo – dice Fenni -: non è possibile essere concorrenziali se ci troviamo a competere con aziende di Turchia, Cina e India, dove il costo della manodopera è infinitesimamente minore del nostro e le condizioni di lavoro sono per la maggior parte quelle che vivevano gli italiani nel dopoguerra». C’è anche la questione Zes, alla luce della nascita della zona economica speciale unica del Mezzogiorno prevista a gennaio del prossimo anno: la preoccupazione dei calzaturieri riguarda in particolare la concorrenza delle aziende dell’Abruzzo, che già oggi possono godere di sgravi fiscali e importanti semplificazioni, «plus che le hanno rese più competitive rispetto alle marchigiane». E le infrastrutture? Il leader dei calzaturieri fermani è caustico: «Per quanto mi riguarda, continuo a fare la coda sull’A14 per lavori iniziati cinque anni fa».
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