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Il distretto emiliano dei sottocarri torna a correre sui mercati globali

Un distretto dove i tre big player Berco, ITM Group e ITR-Usco fanno da soli oltre un miliardo e mezzo di fatturato, cui vanno sommate le Pmi della filiera, e che, dopo anni difficili, è tornato a crescere spinto da soluzioni digitali e sensoristica

di Ilaria Vesentini

4' di lettura

La genesi è la stessa del vicino distretto reggiano della trattoristica, anch’esso nato dall’ingegno contadino emiliano applicato all’esigenza di alleggerire, meccanizzandoli, i lavori agricoli. Ma la “valle del sottocarro” che si è sviluppata più a est, nel triangolo Modena-Bologna-Ferrara, è ancora meno glamour dei trattori da raccontare, sebbene resti leader mondiale per tecnologie e qualità di catene, rulli, ruote motrici, tendicingolo, suole e altri componenti ad altissima resistenza che costituiscono il fondo dei grandi macchinari movimento terra e dei mega-veicoli per agricoltura, miniere, costruzioni, deforestazioni. Un distretto, quello dell’undercarriage valley - per usare il termine più in voga sui mercati – dove i tre big player Berco, ITM Group e ITR-Usco fanno da soli oltre un miliardo e mezzo di fatturato, cui vanno sommate le Pmi della filiera, e che, dopo anni difficili e profonde razionalizzazioni, è tornato a crescere spinto da soluzioni digitali e sensoristica.

Capostipite del distretto è il secolare marchio Berco, fondato nel 1920 a Copparo come officina di biciclette dai soci Bertoni e Cotti, che ancora oggi vanta il più grande stabilimento al mondo di sottocarri: «oltre 600mila mq di cui 350mila coperti, il giro della fabbrica è di 6,5 km, siamo l’azienda più grossa di tutta la provincia di Ferrara, spostiamo il Pil del territorio», racconta l’Ad Piero Bruno, chiamato nel 2017 dalla capogruppo tedesca ThyssenKrupp (che dal 1999 ha il controllo del marchio) in concomitanza con la creazione della nuova divisione Forged Techonologies, la più grande realtà di forgiatura in Occidente (impianti in 8 Paesi di cinque continenti, 1,5 miliardi di euro di fatturato, 6.400 dipendenti), all’interno della quale opera anche Berco sfruttando sinergie e reti distributive e di service.

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«Sono arrivato dopo tre piani di ristrutturazione – spiega Bruno – con l’obiettivo di riportare l’enorme sito ferrarese a generare cassa ed Ebit, attraverso la riorganizzazione, messa in sicurezza e modernizzazione degli impianti: ne ho rottamati e sostituiti 300 per rafforzare la leadership di mercato non solo nello storico top di gamma per macchine di enormi dimensioni ma nel segmento dei piccoli escavatori, anche elettrici, dove siamo entrati 15 anni fa e stiamo crescendo rapidamente». Nella cittadella di Copparo convertita alla strategia lean, oggi lavorano 1.400 persone, si trasformano ogni giorno 600 tonnellate di acciaio e nel nuovo laboratorio di 2mila mq ci sono 30 ingegneri-ricercatori dedicati full time a R&S. «Dall’annualità 2018-2019 siamo tornati a fare cassa e da problema siamo diventati una opportunità per il gruppo Thyssen, un asset strategico su cui investire in chiave di sviluppo internazionale, solo il 5% della nostra produzione resta in Italia», precisa l’Ad.

Da Berco sono gemmati fornitori specializzati e concorrenti nell’undercarriage valley emiliana, che il “Made in China” non riesce a battere quando servono grande resistenza all’usura (miniere, forestry, coltivazioni di canna da zucchero) e soluzioni personalizzate.

Il gruppo ITM nasce nel 1957 nel Modenese e la crescita nella fabbrica di Castelvetro è tanto rapida che nel 1966 vengono aperti i siti di Potenza e Ceprano (Frosinone) poi scalare negli anni 90 i mercati globali tra acquisizioni (la più grande fonderia europea, la spagnola Pyrsa; il competitor Intertractor in Germania con una sede in Usa, il brasiliano Landroni) e aperture in Cina, prima di entrare nell’orbita dell’americana Titan (2005). ITM, che oggi ha il quartier generale in Valsamoggia (Bologna), ha appena festeggiato il record storico di fatturato: 512 milioni di euro (+31,4% sul 2021) con un Ebitda al 14% e 1.700 occupati in 11 stabilimenti. Risultati che hanno alle spalle anni di investimenti in soluzioni 4.0, attraverso la creazione, già nel 2015, di una divisione interna “Trust-Track Advise undercarriage smart technologies” dedicata a digitale e sensoristica per monitorare h24 a distanza sottocarri e relativi veicoli. 

Anche un altro storico produttore di ruote per sottocarri della Valsamoggia, Mec-Track, è finito in mani americane (Caterpillar), mentre continua a essere guidato dal fondatore Massimo Galassini il gruppo Usco-ITR, nato a Modena nel 1989 come trader di parti di ricambio per macchine movimento terra. «Oggi il gruppo è produttore di componenti per macchine movimento terra e sottocarri a marchio ITR, che realizziamo in vari stabilimenti di proprietà in Corea del Sud, Italia, Regno Unito, Spagna, India e Cina, sviluppando anche attività di engineering R&D», precisa l'Ad. Con circa 2mila dipendenti 1.900 dipendenti (oltre 400 a Modena) con 12 siti produttivi e un giro d'affari di oltre 950 milioni di euro (+25% sul 2021, di cui il 60% legato al mercato del sottocarro), Usco ITR non ha mai dovuto gestire crisi significative, «questo perché grazie alla nostra rete di 63 filiali distributive nel mondo – spiega l'Ad - andiamo diretti sul mercato con un miglior controllo della supply chain e un più chiaro sentore delle esigenze dei clienti». Dopo il brillante 2022, quest'anno il mercato dei sottocarri mostra segni di rallentamento a livello globale, ma non è la sfida con il Made in China a preoccupare i player del distretto, «quanto la difficoltà a trovare profili adeguati da assumere: dal magazziniere all'ingegnere fino alle figure di staff sono introvabili», conclude Galassini.

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