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Il dollaro è troppo forte: a rischio la stabilità finanziaria globale

Il rafforzamento della moneta Usa risponde anche a fini di carattere geopolitico. Obiettivo: mettere in difficoltà gli avversari. Che cercano alternative

di Marcello Minenna

“L’euro debole potrebbe diventare attraente nel breve periodo”

7' di lettura

Sono settimane difficili per il sistema finanziario internazionale. Il costante rialzo dei tassi di interesse da parte del 90% delle banche centrali globali – e soprattutto la sua rapidità – sta iniziando a produrre effetti negativi visibili sulla stabilità finanziaria di banche, imprese e governi. Non è un caso che negli ultimi giorni si siano moltiplicati gli appelli verso le banche centrali a moderare i ritmi dell'inasprimento della politica monetaria da parte di primarie istituzioni internazionali quali le Nazioni Unite e il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Si temono conseguenze imprevedibili: la risposta oltremodo negativa del mercato alla proposta di riforma fiscale del governo britannico o la crescita accelerata dei rischi di insolvenza di banche ad importanza sistemica in Europa sono segnali di uno stress crescente all'interno del sistema finanziario globale.

Il timore, oramai nemmeno troppo velato, è che un evento stile Lehman Brothers possa innescare una grande crisi finanziaria che si sommerebbe alla crisi energetica già in atto. Il principale motore di trasmissione degli effetti restrittivi della crescita dei tassi d'interesse negli USA è dato dal rapido rafforzamento del dollaro sui mercati valutari: da inizio 2022 il biglietto verde si è rivalutato di quasi il 25% rispetto alla media ponderata delle altre principali divise (Euro, Yen, Sterlina, dollaro canadese, corona svedese e franco svizzero, vedi Figura 1).

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Specularmente, le valute delle altre principali economie industrializzate hanno subìto svalutazioni nell'ordine del 10%-25% rispetto alla media ponderata delle altre divise (compreso il dollaro), nonostante il livello dei tassi di interesse sia salito largo circa in pari misura in tutti i Paesi considerati.

INDICI DI FORZA DI ALCUNE VALUTE RISPETTO AD UN PANIERE DI DIVISE INTERNAZIONALI
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D'altronde, se questi Paesi non fossero intervenuti, il gap di svalutazione sarebbero stato anche peggiori. Le banche centrali di economie che hanno un interscambio significativo in termini di volumi di import/export con gli USA (ad esempio la BCE o la Bank of England) o che dipendono molto dall'importazione di prodotti energetici sono condizionate de facto a seguire la politica monetaria della FED.

La ragione primaria è che i beni energetici sono prezzati in dollari insieme a gran parte dei volumi di beni scambiati sui mercati internazionali. Se il dollaro è più forte l'energia costa di più in termini di valuta locale e lo shock inflazionistico per il resto del mondo si amplifica. Ma c'è altro.

Il paradosso dei Paesi emergenti: chi ha avviato prima il rialzo dei tassi soffre meno

Gli effetti indotti dal nuovo ciclo restrittivo della Federal Reserve (FED) si sono riverberati in maniera asimmetrica sul sistema finanziario internazionale.

Storicamente, le economie emergenti sono sempre state le più esposte al rischio di variazione dei tassi d'interesse negli USA, perché i loro sistemi finanziari sono significativamente più “dollarizzati”. In altri termini una percentuale maggioritaria di assets (ad es. obbligazioni) e liabilities (prestiti bancari e corporate) emessi e negoziati dai loro intermediari finanziari è denominata in dollari. Di conseguenza il sistema necessita di una maggiore quantità di dollari per funzionare e questa domanda di valuta è scarsamente reattiva (i.e. inelastica) a variazioni del prezzo relativo del biglietto verde in valuta locale, cioè il tasso di cambio.

Per un'economia dollarizzata dunque, un indebolimento del tasso di cambio con il dollaro si traduce automaticamente, oltre che in maggiore inflazione, in un aggravamento del costo di servizio del debito e può provocare crisi di solvibilità generalizzate con default a catena di banche ed imprese, come già successo negli anni '80 in America Latina e negli anni '90 nel Sud-Est asiatico.

A dispetto delle precedenti esperienze storiche, nel 2022 sono invece le divise delle economie avanzate ad aver subìto maggiormente il colpo. Se si valuta la variazione della forza relativa del dollaro rispetto ai due macro-gruppi, si nota con un discreto colpo d'occhio un diverso andamento (vedi Figura 2). Da maggio 2021 il dollaro si è apprezzato di circa il 15% rispetto alle valute delle economie industrializzate (linea rossa) mentre si è fermato ad un più contenuto 5% nei confronti delle economie emergenti (linea blu).

FORZA RELATIVA DEL DOLLARO USA RISPETTO ALLE VALUTE DELLE ECONOMIE EMERGENTI ED AVANZATE
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Le ragioni di questo diverso comportamento si possono trovare nel differente andamento dei tassi d'interesse chiave.

BANCHE CENTRALI - VARIAZIONE CUMULATE DEI TASSI DI INTERESSE CHIAVE PER ALCUNE ECONOMIE
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Si nota agilmente come le banche centrali dei Paesi emergenti abbiano avviato il ciclo di rialzo dei tassi quasi un anno prima rispetto alle mosse della FED. La maggiore esposizione delle proprie economie a variazioni del valore del dollaro ha costretto infatti questi Paesi a “erigere” un muro protettivo a difesa delle proprie valute ai primi accenni di normalizzazione della politica monetaria USA nel 2021 (la riduzione del ritmo di acquisti di Treasuries da parte della FED).

Paradossalmente, chi ha alzato prima i tassi di interesse, ha sperimentato una svalutazione più contenuta della propria divisa e non è stato costretto ad un precipitoso cambio di marcia nel 2022. La maggiore gradualità nei rialzi e l'accresciuta stabilità del tasso di cambio hanno favorito una migliore performance macro-economica delle economie emergenti. Addirittura la banca centrale brasiliana ha dichiarato di aver raggiunto il tasso d'interesse massimo (definito anche terminal rate) e di attendersi un progressivo allentamento della politica monetaria in risposta alle minacce di recessione globale.

Ancora una volta, il timing della politica monetaria si rivela essenziale nel determinarne l'efficacia e nel ridurre i costi associati. Nei paesi industrializzati, occorre ammettere che l'aver atteso troppo per avviare la normalizzazione dei tassi d'interesse si sta rivelando de facto come un errore di policy. Ad oggi, ai livelli istituzionali più alti stanno crescendo le preoccupazioni per un nuovo probabile errore, dovuto ad un inasprimento monetario coordinato a livello globale troppo rapido e troppo prolungato nel tempo.

Il dollaro è il petrolio del sistema finanziario: se sale troppo in fretta, tutto crolla

La fase che stiamo vivendo ci mostra fin troppo bene i costi nascosti nell'attuale struttura “dollaro-centrica” del sistema monetario internazionale. La valuta USA è coinvolta in quasi il 90% di tutte le transazioni globali in valuta estera. Oltre il 50% della fatturazione globale delle esportazioni, dei crediti bancari transfrontalieri e dei titoli di debito internazionali è denominato in dollari, nonché circa il 60% del valore delle riserve valutarie ufficiali delle banche centrali.

In termini semplici, il dollaro gioca nel sistema finanziario globale lo stesso ruolo del petrolio nell'economia reale. La domanda di dollari è ampiamente inelastica per via del ruolo di valuta di riserva utilizzata nel regolamento degli scambi internazionali e nella composizione delle riserve valutarie ufficiali. Se il prezzo relativo del dollaro aumenta troppo rapidamente, la domanda non può ridursi altrettanto velocemente ed i costi di funzionamento del sistema (cioè più inflazione, più rischi di solvibilità sui debiti in valuta) diventano presto insostenibili.

Una volta che una valuta assume un ruolo dominante nel funzionamento del sistema finanziario, ci sono forze stabilizzatrici ed effetti di sinergia che ne rafforzano la posizione.

Governi e banche centrali hanno un forte incentivo a stabilizzare i tassi di cambio rispetto alla valuta dominante (il c.d. peg), poiché questa tende ad essere un fattore chiave nelle fluttuazioni dei prezzi delle importazioni. L'incentivo al peg è aumentato con l’apertura delle economie emergenti al commercio internazionale e la riduzione delle barriere commerciali negli ultimi decenni (cioè la globalizzazione), dando un enorme impulso al dominio del dollaro.

Secondo le stime più recenti del FMI, il numero di valute che sono direttamente o indirettamente ancorate al dollaro è attualmente ai massimi storici.

Inoltre, poiché le riserve valutarie di un paese devono godere della massima liquidità, le banche centrali tenderanno a non modificare l’allocazione, a meno che non ritengano che una nuova valuta di riserva offra maggiore liquidità (il che implica che anche altri partecipanti al mercato stanno cambiando la composizione delle loro riserve).

In questo contesto di stabilità, banche centrali ed operatori si limitano ad effettuare degli shift della liquidità tra dollari cash ed assets finanziari denominati in dollari, tipicamente i titoli di Stato USA (US Treasuries). La Figura 4 visualizza le variazioni a 12 mesi degli stock di US Treasuries detenuti da banche centrali e settori privati delle altre principali economie mondiali.

VARIAZIONE A 12 MESI DEGLI STOCK DI US TREASURIES
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Si nota un andamento ciclico nell'accumulo/riduzione degli stock di US Treasuries, ovviamente influenzato dall'andamento del tasso di cambio tra dollari e valute nazionali e dai livelli relativi dei tassi di interesse. I grandi Paesi esportatori (Giappone, area Euro) tendono ad accumulare assets in dollari per via degli afflussi di valuta registrati nel conto corrente, mentre il ruolo del Regno Unito, terzo Paese detentore mondiale dopo Giappone e Cina, è dovuto plausibilmente allo status di hub finanziario internazionale di Londra.

La grande forza del dollaro degli ultimi mesi sta favorendo una riduzione molto rapida degli stock di titoli USA. Questo plausibilmente è connesso ad un maggiore attivismo delle banche centrali sui mercato dei cambi.

Infatti, quando le banche centrali avviano operazioni di stabilizzazione del tasso di cambio, vendono US Treasuries sul mercato secondario al fine di ottenere dollari cash che verranno scambiati con la propria divisa nazionale per sostenerne il valore. La Cina (barre rosse) è impegnata nella difesa di un cambio semi-fisso con il dollaro da diversi anni, contrastando attivamente le pressioni al ribasso tramite la vendita di parte dell'enorme ammontare di riserve di titoli USA (a luglio 2022, circa 970 miliardi di $). Recentemente anche il Giappone (barre gialle) e il Regno Unito (barre viola) sono dovuti intervenire a difesa della propria valuta.

Un accordo globale per indebolire il dollaro: è possibile?

L'andamento dei tassi di cambio è generalmente pilotato dalle forze di mercato, ma è operativamente possibile concertare tra banche centrali manovre di stabilizzazione ben definite. È già successo in passato in una situazione molto simile a quella attuale: nei primi anni '80, a seguito dello shock petrolifero del 1979 una forte ondata inflazionistica colpì l'economia globale con tassi di incremento dei prezzi a doppia cifra praticamente ovunque.

La FED avviò in risposta un drastico ciclo di rialzo dei tassi di interesse, che raggiunsero valori vicini al 20%. Il dollaro, non sorprendentemente, attraversò una fase di fortissimo apprezzamento, che mise in forte difficoltà le economie del resto del mondo attraverso i meccanismi noti.

Nel settembre 1985, FED e le banche centrali degli altri Paesi industrializzati concordarono di pilotare un graduale indebolimento del dollaro, che ebbe tecnicamente successo (il Plaza Accord). In circa 2 anni, sterlina inglese, marco tedesco e yen giapponese si rivalutarono per una misura del 20-40%.

ANDAMENTO DELLE VARIAZIONI PERCENTUALI DEI TASSI DI CAMBIO DELLE PRINCIPALI VALUTE INTERNAZIONALI RISPETTO AL DOLLARO USA
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Cosa impedisce di ripetere l'esperimento oggi? Innanzitutto, nel 1985 l'inflazione era tornata ampiamente sotto controllo negli USA ed era in fase discendente anche nel resto del mondo. Oggi siamo probabilmente vicini al picco massimo (a meno di sgradite sorprese), ma comunque lontani da una possibile normalizzazione. Inoltre l'accordo venne siglato da Paesi militarmente e politicamente alleati che rappresentavano de facto il sistema finanziario globale dell'epoca.

Nel 2022, ci sono altri attori sulla scena internazionale ostili agli Usa (Russia, Cina, ed in certa misura anche Arabia Saudita). Il rafforzamento del dollaro risponde inoltre anche a fini di carattere geopolitico volti a porre deliberatamente in difficoltà gli avversari, che infatti stanno rapidamente cercando alternative al sistema monetario vigente.

Insomma, la recessione globale viaggia anche spedita grazie ai venti di guerra finanziaria.

Marcello Minenna, Direttore Generale dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali

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