Il furto del fuoco che portò all’atomica
«Prometeo donò il fuoco agli uomini di nascosto da Zeus»,
e il sommo tra gli dèi lo punì facendolo incatenare da Ermes a una roccia sulla vetta del Caucaso
di Roberto Escobar
3' di lettura
«Prometeo donò il fuoco agli uomini di nascosto da Zeus»,
e il sommo tra gli dèi lo punì facendolo incatenare da Ermes a una roccia sulla vetta del Caucaso. Con questa citazione da Apollodoro inizia Oppenheimer (Usa, 2023, 180’). Ma si tratta di una citazione per così dire monca. Il dono del fuoco - cioè il suo furto dalla fucina di Efesto, il dio artigiano - fu decisivo per la sopravvivenza degli esseri umani. Sprovvisti di artigli e di forti denti, i nostri lontanissimi antenati erano stati condannati da Zeus all’estinzione, per essere sostituiti da una specie più adatta a vivere. Solo l’intervento di Prometeo – solo l’artificio, di cui il fuoco di Efesto è simbolo – ci consentì e ci consente di trovare nell’infinita e mai domata potenza del cosmo un “posto”
in cui stabilire il nostro mondo, la cui precarietà è legata a una ribellione che a fatica continuiamo a ripetere.
La chiamiamo tecnica
e scienza, questa ribellione, godendone i vantaggi e insieme pagandone i rischi.
L’ambiguità di questa nostra condizione permea il racconto che Christopher Nolan trae da un grande (anche in senso materiale) libro del giornalista Kai Bird e dello storico Martin J. Sherwin (Oppenheimer. Trionfo e caduta dell’inventore della bomba atomica, Garzanti, 856 pagg.,
€ 20). Nelle sue memorie – vi si legge –, Max Born sostiene di aver avuto pochi allievi tanto efficienti e intelligenti quanto Robert Oppenheimer, ma che avrebbe preferito avesse dimostrato «meno intelligenza e più buon senso». Oppenheimer sembra ne condividesse almeno in parte il giudizio. Nel corso degli anni, gli confidò in una lettera, «ho notato una certa disapprovazione da parte tua per gran parte del lavoro che ho fatto. Questo atteggiamento mi è sembrato del tutto naturale perché è una sensazione che condivido».
Oppenheimer può scoraggiare lo spettatore e il critico alla ricerca di linearità di racconto e coerenza temporale. Nolan affronta una questione tanto radicale quanto complessa, e perciò irriducibile a linearità e coerenza. Piuttosto, la rappresenta, la mette in scena con le immagini e con i suoni (non solo con la musica). Già all’inizio, mentre sullo schermo e nella colonna sonora esplode un fuoco che ben possiamo dire prometeico, in platea si ha la sensazione che la materia - quella stessa materia di cui la fisica moderna e contemporanea cerca inutilmente il fondamento primo - non sia che nulla e vuoto (o se si preferisce, non sia che una magnifica illusione, per dirla con il sottotitolo di un bel libro di Guido Tonelli, Materia, Feltrinelli). Di questa illusione cerca il segreto il giovane Oppenheimer (Cillian Murphy), che nel 1926 pare disposto ad avvelenare un suo professore che gli impedisce di seguire una lezione di Niels Bohr. Lo ritroviamo un trentennio più tardi, nel 1954, ormai padre della Bomba – con la maiuscola, come allora si scriveva –, messo sotto accusa per comunismo e vari altri “tradimenti” da Lewis Strauss, che verso la fine della guerra
gli aveva affidato il compito
di dotare gli Usa della
potenza mortale della reazione atomica a catena.
Senza preoccuparsi troppo (e per fortuna) del desiderio di linearità e coerenza di spettatori e critici, Nolan torna indietro nel tempo, raccontando la vita personale complessa di Oppenheimer e, soprattutto, il “furto del fuoco” da lui compiuto a Los Alamos, con molti altri piccoli e grandi esseri prometeici. E qui più nulla è certo, a parte l’illusione che sembra accompagnare e giustificare la costruzione della Bomba. Non ci saranno più guerre, suppone Oppenheimer. La potenza distruttiva del nuovissimo “artificio” è tale che nessuno lo userà. Se questa è la prospettiva, allora si può ben affrontare un rischio (poco) calcolato, ossia che la prima reazione a catena scatenata a Los Alamos ne inneschi una totale, nel cui vuoto e nel cui nulla si perda
il nostro mondo.
Come si sa, i vertici politici americani la usarono, quella potenza distruttiva, nonostante il parere contrario di Oppenheimer. Così sono fatti gli esseri umani. Senza artigli e forti denti, li sostituiscono con l’artificio, facendosi signori del loro mondo. E però - tranne alcuni, per lo più inascoltati - sono incapaci di farsi signori di se stessi, ponendosi i limiti che la sussistenza del loro mondo richiederebbe. È questo, in sostanza, quello che nel film di Nolan Albert Einstein (Tom Conti) confida a Oppenheimer. Il nulla e il vuoto (forse) sono già qui. Conviene ricordare che Prometeo ha un fratello, Epimeteo, colui che non sa prevedere, l’imprudente e stupido. Noi siamo i due fratelli mitici sommati, condannati a manipolare il mondo e tanto stupidi da rischiare di distruggerlo.
SSSSS
P.S. In occasione dell’uscita di Oppenheimer, viene finalmente distribuito nelle nostre sale il film d’esordio di Nolan, Following (Gran Bretagna, 1998, 69’).
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