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A fine marzo il Consiglio UE ha adottato il regolamento sulle emissioni di CO2 per le nuove autovetture e furgoni. Tali norme puntano a ridurre le emissioni prodotte dal trasporto su strada vietando dal 2035 la vendita di nuovi veicoli che utilizzino combustibili climaticamente non neutri. Ovvero stop ai motori endotermici, che siano diesel, benzina, ibridi o alimentati da biocarburanti.
La decisione è risultata particolarmente indigesta all'Italia che è leader nelle sementi e tecnologie che permettono una produzione di materia prima agricola per biocarburanti non in competizione con la produzione alimentare ma complementare e migliorativa della stessa.
In particolare, ENI è il secondo produttore in Europa di Hydrotreated Vegetable Oil (HVO) un tipo di carburante verde ottenuto da materie prime di scarto e residui vegetali, e punta a quintuplicarne la produzione annua entro il 2030.
Proprio in virtù di questi primati, fino all'ultimo Roma ha battagliato nei tavoli diplomatici per far escludere i biofuel dal ban europeo in maniera affine a quanto fatto da Berlino con gli e-fuel, i carburanti sintetici ricavati da idrogeno e CO2. Il governo tedesco, minacciando di far saltare l'accordo comunitario, è infatti riuscito a farli riconoscere alla stregua dei combustibili neutri, proteggendo così il suo posizionamento in questa tecnologia su cui ha investito pesantemente, soprattutto in seguito al dieselgate.
A bocce ferme, viene dunque da chiedersi se, indipendentemente dalle valutazioni ambientali, l'Italia non abbia puntato sul “cavallo” sbagliato, su una tipologia di carburante il cui ruolo nella mobilità del futuro potrebbe esser stato ridimensionato dalla normativa europea.
Un primo indizio importante è fornito dai dati relativi alle immatricolazioni di auto nel 2022 in Italia e UE. Risulta infatti evidente come i consumatori a livello europeo si stiano già adeguando agli scenari post 2035. Complici i generosi sussidi concessi sui veicoli elettrici, la loro quota sul totale delle vendite nell'UE è infatti di poco inferiore a quella dei motori diesel e quattro volte il peso di GPL e biocarburanti.
Tuttavia, la situazione è opposta in Italia a dimostrazione che, al di là delle decisioni politiche, in presenza di una rilevante produzione domestica, la domanda di biofuel è tutt'altro che repressa.
Anche nel medio termine le prospettive per i biocarburanti appaiono meno funeste di quanto si possa erroneamente pensare. Ai sensi del regolamento approvato, nel 2026 la Commissione europea dovrà valutare se, in virtù degli sviluppi tecnologici avvenuti, il motore elettrico sarà ancora la tecnologia considerata più adatta a raggiungere il target di abbattimento delle emissioni di CO2 al 2035.
Non è da escludere che il nuovo esecutivo, che riceverà la fiducia da un Europarlamento verosimilmente molto diverso nei colori politici dominanti da quello attuale, possa rivedere la strategia di puntare unicamente nell'elettrico in favore della neutralità tecnologia a gran voce richiesta dall'Italia.
In altre parole è possibile che Palazzo Berlaymont ribadirà gli ecotarget da raggiungere ma sarà forse data maggiore libertà agli Stati membri nella scelta di quale tipo di tecnologia sia la migliore per raggiungere gli obiettivi comuni prefissati. Già solo con l'uscita di scena del vice-presidente della Commissione Frans Timmermans, incaricato del ban all'endotermico, si è vista una progressiva frammentazione delle posizioni comunitarie sull'automotive, testimoniata dall'impasse dei negoziati sull'Euro7.
Indipendentemente dal loro ruolo nell'industria dell'auto, i biocarburanti hanno poi un futuro assicurato nella mobilità aerea dei prossimi decenni. A fine aprile, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno infatti annunciato le nuove norme che contribuiranno a decarbonizzare il settore, imponendo ai fornitori di miscelare quantità crescenti di carburanti sostenibili per l’aviazione (SAF) con il kerosene.
La nuova miscela di carburante dovrà essere composta dal 2% di SAF al 2025, 6% entro il 2030, 20% nel 2035, per poi raggiungere il 70% prima della metà del secolo.Queste percentuali non si discostano di molto dalle attuali previsioni (presentate nel grafico soprastante) dell'Agenzia Internazionale dell'Energia che stima al 2035 una quota di SAF sul consumo totale di carburante pari al 17%.
Discorso affine vale infine per il trasporto marittimo dove il 99% del numero di navi ed il 95% del tonnellaggio della flotta mondiale è ancora alimentato da combustibili fossili. Ad oggi, nessun carburante alternativo è in grado di superare un terzo della domanda globale. Considerando poi i tempi di rinnovo fisiologici della flotta globale, l'adozione di motori dual fuel che oltre ai combustibili tradizionali siano in grado di utilizzare i biofuel, si profila come una delle soluzioni potenzialmente migliori nel breve termine per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.
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