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Il futuro che abbiamo immaginato, il futuro che immagineremo

La fantascienza che diventa cronaca, la cronaca che ci costringe a ipotizzare nuove soluzioni, inedite prospettive. E non c'è più alternativa: dobbiamo imparare a guardare un nuovo orizzonte che sia comune

di Serena Uccello

Il futuro che abbiamo immaginato, il futuro che immagineremo

3' di lettura

Di frasi ricorrenti in queste settimane ne abbiamo pronunciate tante (troppe, chissà?), frasi rimbalzate da una casa all'altra quasi come una ideale catena della auto-consolazione. Alcune, ammettiamolo, sono diventate ripetitive e per questo forse stantie. Tuttavia, proprio perché ricorrenti, sono state l'unico mezzo che abbiamo avuto per darci una descrizione di quanto è accaduto, di quanto sta accadendo. E, si sa, descrivere vuol dire circoscrivere e circoscrivere vuol dire prendere le misure e prendere le misure vuol dire scendere a patti, quindi adattarsi.

«Sembra un film di fantascienza», la prima volta che al mattino non abbiamo ascoltato i rumori delle nostre strade o la prima volta che non abbiamo sentito i passi sotto le nostre finestre. «Sembra un film di fantascienza», alla vista delle code davanti ai supermercati. «Sembra fantascienza», la prima volta che, allo specchio, ci siamo visti con la faccia dimezzata da una mascherina. «Sembra fantascienza», la prima volta che abbiamo incrociato lo sguardo di un altro. Diceva: «Mi allontano io? Ti allontani tu?».

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Umberto Eco la fantascienza la definiva la narrativa dell'ipotesi, «della congettura o dell'abduzione, e in tal senso è gioco scientifico per eccellenza, dato che ogni scienza funziona per congetture, ovvero per abduzioni». E c'è da chiedersi cosa avrebbe detto se avesse conosciuto tutto ciò. Di certo, la parola fantascienza da oggi si porterà dietro come una seconda sfera semantica. Quella che allude al momento in cui contestiamo che l'ipotesi meno probabile si è realizzata davvero.

Coglie l’innesto di nuovo significato Carlotta Cardana che insieme ad altri 49 fotografi ha partecipato al progetto di mostra digitate, Il mondo che verrà, curato da Mudec Photo e da IL, il magazine de Il Sole 24 Ore, visitabile online digitando l'indirizzo ilsole24ore.com/mostradigitaleil , dal 15 maggio per tre mesi. Alla sollecitazione su quale sarà la personale rappresentazione del “dopo” ogni artista ha risposto con una immagine. Lo scatto di Cardana si intitola Four Moons.

«Ho scattato questa immagine ispirandomi alle copertine dei libri di fantascienza. Recentemente ho ripreso questa serie, visto che ora mi sento proprio come se fossi dentro una di quelle storie», dice. Dall'Italia a Londra, dove ha sviluppo il suo lavoro confermato da riconoscimenti e da collaborazioni importanti, Cardana ribadisce con questa scelta l'attenzione al rapporto tra gli esseri umani e il loro ambiente e soprattutto su come l'identità di questi è modellata dalla società e dallo spazio in cui vivono.

Temi che riportano lo sguardo sulla necessità di una ridefinizione sociale, come ribadisce con 3 marzo 2020, Rebel Dynamics Gabriele Inzaghi. Una scelta così spiegata: «È nei momenti bui e difficili che siamo più pressati dal bisogno di idee e soluzioni, queste non nascono come funghi sotto i nostri piedi, ma richiedono impegno, dedizione, lavoro. E lo spirito pionieristico di chi sa mettersi in discussione. La conoscenza è sempre stata per l'uomo lo strumento più importante, l'arma vincente: lo sarà sempre di più. Ma il sapere non è solo quello degli scienziati nei laboratori, il sapere è anche e soprattutto nelle nostre mani. Saper lavorare, sognare, scegliere, rinunciare; saper amare, saper spingere i governi verso scelte più giuste e produttive. Essere uomini e donne migliori».

Dunque, se il futuro si trasforma in fantascienza e se la fantascienza diventa l'attualità, agli uomini non resta che spostare lo sguardo oltre come chiede Piero Gemelli con Un artwork che assomma più immagini di volti di giovani donne, 2020. Conosciuto, in particolare per il suo lavoro come fotografo di moda, beauty e still life, Gemelli dice: «Il futuro è di chi guarda, di cui guarda verso un orizzonte, verso un orizzonte comune». Ecco perché servono: «Mille nuovi occhi per un nuovo volto del futuro».

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