Il futuro della consulenza in un algoritmo
Intervista a Giuseppe D’Agostino, ex vice direttore della Consob e attualmente co-head dell’International Finance & Financial Regulation practice della società di consulenza internazionale Bird & Bird
di Antonio Criscione
5' di lettura
In Europa torna in discussione l'opportunità di mettere al bando il modello di remunerazione della consulenza attraverso gli inducements. Si tratta del modello prevalente in Italia per la remunerazione dei consulenti finanziari (gli ex promotori). Un parere dell’Esma (l’equivalente europeo della Consob) alla Commissione Ue ha affrontato nuovamente un tema che era stato ampiamente dibattuto alla vigilia dell’approvazione della Mifid2, ovvero l’abolizione del modello in cui i produttori “retrocedono” (per cui si parla di retrocessioni) alle reti di distribuzione (e quindi ai consulenti) una parte delle commissioni che pagano i clienti.
L’Esma ha spiegato all’Esecutivo comunitario che una scelta del genere potrebbe avere impatti diversi (e non sempre favorevoli agli investitori) nei diversi Paesi. Intanto sullo stesso tema è ancora aperta una consultazione pubblica della Commissione Ue, che appunto chiede ai soggetti interessati di esprimersi su questa possibilità. Il modello fee only (ovvero in cui il cliente paga in modo diretto una parcella al suo consulente) potrebbe diventare troppo oneroso per molti investitori, come appunto accaduto nei paesi (Regno Unito e Olanda) che hanno seguito questa strada, spianando la strada ai Robo advisors: la consulenza via algoritmo.
Per fare il punto della situazione abbiamo sentito Giuseppe D’Agostino , ex Vice Direttore della Consob e attualmente co-Head dell'International Finance & Financial Regulation practice della società di consulenza internazionale Bird & Bird. D’Agostino è sempre stato particolarmente attento alle tematiche legate al Fintech.
Nei paesi in cui sono stati eliminati gli inducements si è creato un grande spazio per i robo advisors. Come è la situazione in Italia?
La consulenza finanziaria in remoto, effettuata esclusivamente attraverso sistemi digitali automatizzati, è ancora trascurabile in Italia. Eppure l'analisi del fabbisogno potenziale dovrebbe rivelare l'importanza strategica di un utilizzo esteso di questi sistemi nell'ambito di modelli flessibili e modulari. Solo il 15% della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane (attribuibile a circa il 10% della popolazione degli investitori) è soggetto ad un servizio di consulenza evoluta o di tipo continuativo.
Questo significa che il patrimonio finanziario di quasi il 90% degli investitori italiani fruisce di altro tipo di assistenza, prestata su basi occasionali.
Per quale motivo?
L'attuale modalità di offerta, incentrata sulla relazione personale tra intermediario e cliente, cozza con limiti oggettivi di scalabilità e rigidità di costo. Elementi che diventano barriere di accesso per gli investitori con patrimoni finanziari piccoli. E' chiaro che l'affermarsi di servizi digitali di facile accesso e l'utilizzo massivo di strumenti di comunicazione a distanza (tablet, smartphone, ecc.) innescano dinamiche di cambiamento radicale dello scenario di riferimento.
Credo che sia oggi possibile immaginare l'introduzione di servizi di consulenza automatizzata - via piattaforme digitali - a costi accettabili, differenziati nei contenuti per segmenti di clientela. La sfida è senz'altro sul disegno di un modello semplice, assimilabile all'assistenza di base, da destinare ai piccoli investitori.
Ma sarebbe facile fruire di questi sistemi?
Naturalmente, questo dipende dalle concrete condizioni di accesso e di uso dei singoli sistemi. Altra questione è data dalla preparazione dei possibili utenti. Un primo ostacolo in Italia è costituito dall'alto livello del digital divide, soprattutto se si guarda alla fascia più anziana della popolazione (circostanza da porre in relazione all'aumento tendenziale della quota di ricchezza posseduta dagli over 64 anni). I rapporti ISTAT rivelano per esempio che in Italia l'uso della rete per acquisti online è molto più limitato che in altri paesi europei. Anche se i dati indicano un progressivo restringimento della forbice. Un secondo ostacolo è rappresentato dalla bassa cultura finanziaria che “impedisce” di acquisire consapevolezza del bisogno di assistenza finanziaria, soprattutto in chiave di pianificazione.
Dunque, perché si possano affermare servizi di consulenza finanziaria on line di tipo automatico occorre ripensare al complessivo modello di supporto al cliente, prevedendo forme di assistenza da parte di personale specializzato al ricorrere di determinate condizioni. Si dovrebbero cioé affermare modelli ibridi di consulenza, integrando la capacità di analisi delle “macchine” con la capacità di lettura dei profili psicologici ed emotivi tipica del professionista. Da evitare assolutamente di ricondurre la questione al confronto uomo-macchina. Sarebbe del tutto sbagliato come approccio.
Cosa occorre per fidarsene?
Ovviamente le piattaforme di robo-advice devono essere disegnate per aumentare la qualità dell'assistenza ai clienti. Esiste un problema di acquisizione delle informazioni dagli utenti, facendo attenzione alla costruzione del questionario, fondamentale passaggio per una corretta profilatura del cliente. Bisogna capire poi la logica degli algoritmi impiegati sia nella definizione dell'investitore sia in quella di matching con il set relativo ai prodotti finanziari. La trasparenza informativa sugli algoritmi e sui loro limiti di funzionamento è un tema aperto reale.
Torniamo un po’ alla situazione in Italia
In Italia è affermato da tempo il modello del robo-for-advisors, ossia di piattaforme digitali organizzate per dare supporto diretto ai consulenti finanziari nella prestazione del servizio ai propri clienti. Si tratta di know-how proprietario degli intermediari in grado di innalzare la qualità previsionale alla base della consulenza e di omogeneizzare le risposte.
Rientra in un modello organizzativo che è compatibile con la diffusione di modelli di robo-advice, il cui presupposto è la presenza di una domanda capace di utilizzare strumenti digitali e di capire la portata del servizio e il disegno di un'offerta funzionale corrispondente. Occorre tuttavia fare un'avvertenza sui concreti vantaggi del robo-advice. L'uso estensivo di sistemi di robo-advisor può portare benefici agli utenti in una situazione di normalità, accrescendo notevolmente la portata del servizio di consulenza. Tuttavia, in condizioni di alta volatilità dei mercati finanziari, i sistemi di investimento/disinvestimento automatizzati possono rafforzare (e talora autogenerare) fenomeni di herding behaviour.
Peraltro, in un periodo di incertezza massima come quello attuale, la capacità di un robo-advice non supererebbe le difficoltà di decisione esistenti per via di scenari dipendenti dalla gestione di uno shock esogeno all'economia (la pandemia covid-19). Ora, più che mai, le problematiche di rischio ambientale o sanitario devono essere incorporate nell'analisi economica e finanziaria.
E quindi cosa cosa significa questo per gli advisors?
La realtà mostra in tutta la sua crudezza come i temi della green economy e della sostenibilità non siano un vezzo da salotto. Essa insegna che l'economia dipende sempre più da variabili fino ad oggi considerate esterne. I modelli di gestione del rischio finanziario, presenti nei sistemi di robo-advice, dovranno fare un salto di qualità integrando queste variabili. Fino a quel momento, i vantaggi di utilizzo, propri di un periodo di normalità, potrebbero essere alquanto ridotti.
Coloro che hanno sempre avversato l'introduzione dei robo-advice hanno oggi un facile appiglio per metterne in dubbio la validità. E forse in questo specifico periodo potrebbero avere ragione. Ma bisogna anche ragionare con una logica di medio-lungo periodo.
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