3' di lettura
A breve il Governo dovrà presentare a Bruxelles il nuovo Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC). L'ultimo, del 2019, è largamente superato. L'Unione europea ha rivisto al rialzo le proprie ambizioni di decarbonizzazione, servono ora politiche di intervento coerenti e investimenti adeguati.
Il PNIEC è uno strumento chiave per il futuro del Paese. La sua incisività verrà definita da tre processi: (1) la revisione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR); (2) la riforma del Patto di stabilità e (3) il Fondo Sovrano europeo per il clima e sicurezza energetica. Dall'esito di questi processi dipenderà la possibilità per l'Italia di cogliere le potenzialità di rilancio economico offerte dalla transizione, e di raggiungere gli impegni dell'Accordo di Parigi: “rendere i flussi finanziari coerenti con il percorso verso la riduzione delle emissioni di gas serra e verso uno sviluppo resiliente al clima”.
1) La rifocalizzazione del PNRR sugli obiettivi del Green Deal non sembra essere nel mirino del Governo. Il 40% dei fondi PNRR è formalmente dedicato alla “transizione verde”, ma solo meno di metà degli investimenti ha impatti climatico-ambientali positivi. La revisione del PNRR - oggi riaperta dalle possibilità introdotte dal RepowerEU - dovrebbe essere svolta contestualmente all'aggiornamento del PNIEC. Quest'ultimo rappresenta il miglior contesto per raccordare i piani di investimento agli obiettivi di decarbonizzazione e di politica industriale europei. L'implementazione di questi piani e l'utilizzo delle risorse del PNRR per la transizione non può essere delegata alle sole partecipate di stato ma deve assicurare che tutti i progetti scelti siano davvero coerenti rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione e che vadano a beneficio di cittadini e piccole e medie imprese. L'ammontare di investimenti complessivamente necessari alla transizione “green” è ingente. Per l'Italia, l'ordine di grandezza stimato da ECCO è di 120-134 mld medi annui (senza considerare i danni climatici e gli investimenti in adattamento). Di questi circa 1/5 sono a carico delle finanze pubbliche. A fronte di questo enorme sforzo finanziario si aprirebbero tuttavia straordinarie opportunità di crescita e occupazione.
2) Riguardo alla riforma del Patto di Stabilità, le attuali bozze prevedono la negoziazione tra governi e Commissione di percorsi di aggiustamento pluriennali (4-7 anni), escludendo la possibilità di scorporare gli investimenti “green” dal computo del saldo di bilancio (golden rule). Un'impostazione che scarica sui governi nazionali la responsabilità di conciliare lo sforzo d'investimento per la transizione con le traiettorie di stabilizzazione delle finanze pubbliche. Accompagnandosi al contemporaneo rilassamento dei vincoli europei agli aiuti di Stato, questo comporta inevitabili asimmetrie nella capienza fiscale dei diversi paesi in ragione del loro livello di indebitamento pubblico. La diversa capienza fiscale, coniugandosi con vincoli più restrittivi per i paesi più indebitati, compromette la capacità di autonoma implementazione della transizione. In questo contesto, per l'Italia appare decisivo collegare il più possibile gli investimenti pubblici agli obiettivi del Green Deal, allineandoli espressamente a PNRR e PNIEC. La grandezza operativa oggetto di pianificazione e monitoraggio è, nel nuovo Patto, la “spesa netta” (nationally financed net primary expenditure), dal computo della quale sono escluse, oltre alle spese per interessi e ai sussidi di disoccupazione ciclici, tutte le spese finanziate da fondi europei.
Se il nuovo Patto di stabilità manterrà questa impostazione, il tema del finanziamento degli investimenti per la transizione si trasferisce interamente sulla costituzione di un Fondo sovrano europeo per il clima e la sicurezza energetica. Se la spesa pubblica nazionale viene vincolata alla riduzione progressiva del debito, ottenere in sede europea l'istituzione di un Fondo Sovrano finalizzato alla decarbonizzazione rimarrebbe l'unica opzione praticabile per finanziare la transizione e tutelare la competitività del Paese. La necessità del Fondo troverebbe argomenti negoziali robusti da parte del Governo se le spese di investimento necessarie all'Italia fossero, attraverso il PNIEC, collegate al raggiungimento degli obiettivi climatici dettati e condivisi dalla stessa Unione e fossero rigorosamente coerenti con le finalità progettuali che l'Unione stessa già finanzia attraverso il PNRR.
* Senior Policy Advisor Programma Finanza - ECCO, Il think tank italiano per il clima
loading...