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Il futuro dell’industria dovrà essere a livello europeo

Sin dal 2015, quando era ministro dell’Economia, il presidente francese Emmanuel Macron parla di «industrie du futur».

di Marco Taisch

(ANSA)

3' di lettura

Sin dal 2015, quando era ministro dell’Economia, il presidente francese Emmanuel Macron parla di «industrie du futur». Con questa definizione indicava – e indica tutt’oggi – «la nuova Francia industriale». Per sua natura l’industria è in continua trasformazione più che rivoluzione. Trasformazione nella più ampia accezione del termine. Negli ultimi anni, il dibattito è stato particolarmente concentrato intorno al fondamentale e necessario adeguamento dell’industria italiana sul piano dell’innovazione, non solo digitale, ma anche di sostenibilità. Questo passaggio è conosciuto come “Industria 4.0” e sappiamo che non è ancora compiuto. Molti passi avanti sono stati compiuti, ma altrettanti restano da farsi. In una continua ricerca di cambiamenti e annunci che possono essere ottimi a livello comunicativo, meno nella vita reale, diversi autorevoli interlocutori hanno cominciato a parlare di “Industria 5.0”. Credo che sia invece giunto il momento di parlare, come correttamente fa Macron da sette anni, di “Industria del futuro”. Al contrario, rischiamo di perderci in un ginepraio di slogan. Contrapporre il 5.0 con il 4.0 contiene una trappola da evitare. Non è che con il 5.0 si rimette al centro l’uomo che prima avevamo perso. Tutt’altro. L’uomo è sempre stato e sempre sarà al centro dei vari “.0”. Senza l’uomo nessuna innovazione è possibile. Stiamo vivendo una nuova e innovativa fase di “industria del futuro” che mette ancora più al centro la trasformazione digitale con quella ambientale. La trasformazione digitale corre velocissima e molte delle tecnologie che la compongono sono arrivate in questi anni a una completa maturazione.

Occorre che queste siano sfruttate insieme perché soggette a un effetto combinatorio capace di tradursi molto positivamente sulla produttività delle imprese. Le tecnologie digitali, quando usate insieme, si rinforzano e producono degli effetti che equivalgono a molto di più della loro somma. A fianco di questo vi è la trasformazione ecologica, richiesta a gran voce da un mercato sempre più composto da consumatori “nativi sostenibili” e a cui nessuna impresa può, pertanto, sottrarsi e che viene necessariamente abilitata dalla trasformazione digitale.

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Questa doppia transizione caratterizzerà in modo significativo la manifattura del futuro e chi non ne terrà conto nei propri piani di sviluppo e innovazione verrà penalizzato dal mercato. Questo è un paradigma fondamentale ed è la nostra “trappola” di sviluppo. Una trappola positiva in un momento congiunturale fondamentale che impone scelte strategiche e decisioni rapide e decisive per il futuro competitivo del nostro Continente e Paese. Più recentemente, sempre Macron ha lanciato uno sviluppo dei suoi progetti denominandolo “made in Europe”. È questo lo scatto che dobbiamo compiere. La pandemia prima, e l’invasione russa dell’Ucraina poi, hanno messo in luce la necessità di accorciare le filiere globali. È la fine della globalizzazione? No. Dei suoi eccessi, sì. Dobbiamo riportare in Europa – o nei suoi confini più prossimi – produzioni necessarie per venire incontro alle esigenze di un consumatore sempre più a “brevissima domanda” e che richiede un’estrema personalizzazione dei prodotti che devono essere da una parte sempre più sofisticati nel soddisfare ogni necessità di chi li richiede e, dall’altra facilmente reperibili. Per farlo non è solo questione di riaprire o creare le fabbriche. È necessario fare il passo più lungo e non avere paura di avviare un potente piano europeo di “industria del futuro” che supporti le piccole e medie imprese nel cogliere nuove opportunità dal riequilibrio della globalizzazione.

Per affrontare questa sfida è necessario andare oltre le sigle che possono gettare nella confusione specie i piccoli e medi imprenditori. Non bisogna buttare via il “bambino” 4.0 per un altro 5.0. Fermiamoci a un “Industria del Futuro” dando contenuto e forza al Paese. Basta questo per identificare la continua evoluzione e ammodernamento che un sistema industriale moderno deve compiere. E l’Italia non può non essere protagonista di questa sfida.

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