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Mancano ancora sei mesi alla scadenza di Draghi al vertice della Bce, ma è già cominciato il ping-pong sul suo futuro. Ci sono i “fans” del presidente di Francoforte - che, magari, lo vedrebbero volentieri a Palazzo Chigi in autunno alla guida di un eventuale governo di transizione in grado di portare l'Italia a nuove elezioni politiche anticipate – e coloro, soprattutto nelle file dei pentastellati, che cercano di mettere a nudo possibili coni d'ombra dell'attuale “numero uno” della Banca centrale europea per screditare, così, una sua candidatura a Roma.
Il “toto-Supermario” si è intensificato negli ultimi giorni dopo l'indiscrezione giornalistica secondo cui il presidente Mattarella sarebbe pronto a nominare Draghi senatore a vita. Un po' come successe ad un altro “Supermario”, Monti, che venne insignito nel 2011 da Napolitano poco prima che il Quirinale gli chiedesse di rimpiazzare Berlusconi con un esecutivo tecnico.
Per tentare di minare in qualche modo una candidatura così importante, i detrattori dell'attuale inquilino dell'Eurotower lo mettono proprio sullo stesso piano di Monti sottolineando i modesti risultati (o presunti tali) ottenuti da quel governo guidato dall'economista in loden. Gli “anti-Draghi” hanno anche tirato in ballo il fatto che sarebbe stato indagato da Emily O'Really, ombudsman della Ue, perché, partecipando a Washington ai lavori del G30, sarebbe incorso in un conflitto d'interessi. Senza contare, fanno ancora notare i suoi avversari, che il “Quantitative easing”, la rete messa in piedi da Francoforte per salvare banche ed imprese europee colpite dalla recessione, sarebbe costata una cifra considerata enorme: qualcosa come 7.600 euro per ogni cittadino del Vecchio Continente.
Ma, in una situazione così aggrovigliata, sono molti i “fans” di Draghi che negli Stati Uniti viene ancora chiamato “The unitalian” perché ritenuto un italiano un po' “sui generis”. I suoi “fans” lo considerano, infatti, l'unica persona di spicco in grado di risollevare il Belpaese dall'attuale palude. Del resto, tutto il suo curriculum è un po' speciale, un “mix” tra grandi esperienze in Italia e all'estero. Si va dal Mit di Boston, allievo di Franco Modigliani, alla Banca Mondiale, come direttore esecutivo, da direttore generale del nostro ministero del Tesoro (e stratega delle privatizzazioni ai tempi del governo Amato) a vicepresidente della Goldman Sachs, da governatore di Bankitalia al vertice della Bce. E proprio per il principio dell'alternanza, dicono i suoi sostenitori, ora gli toccherebbe un altro incarico a Roma: Palazzo Chigi.
Un compito che, comunque, non sarebbe affatto facile: anni fa, quando lavorava in Italia, Draghi mi confessò che, dopo una giornata infernale, si rilassava guardando alla tv “Striscia la notizia”. Se dovesse davvero tornare da queste parti, avrebbe forse bisogno di un'edizione speciale di “Striscia”, una striscia H24.
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