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Il G7, Trump e l’agenda cambiata dal terrorismo

di Domenico Lombardi

Ansa

3' di lettura

Il summit del G7 che si svolgerà oggi e domani a Taormina si carica di un significato ulteriore nell’attuale contesto di crescente fragilità della governance mondiale. Lo sa bene la presidenza italiana che ha lavorato in condizioni particolarmente difficili per creare le basi minimali per un accordo. Ma cominciamo con ordine.

Quello di Taormina è il primo summit G7 per la maggior parte dei leader che vi partecipano. Lo è per il neoeletto presidente francese, Emmanuel Macron, ma anche per il primo ministro britannico Theresa May e il padrone di casa, il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Lo è soprattutto per il presidente americano Donald Trump, arrivato alla Casa Bianca lo scorso gennaio con una piattaforma antiglobalista.

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È naturale, quindi, che molte delle attese sono su come Trump articolerà la sua agenda internazionale di fronte agli altri leader e il margine di manovra che questi riusciranno a ritagliarsi per mantenere, auspicabilmente, lo status quo nella governance mondiale e bloccarne un ulteriore arretramento.

In principio, il G7 rappresenta il foro internazionale ideale per ingaggiare Trump e la sua amministrazione, al fine di costruire un’intesa su un programma minimale per una gestione relativamente ordinata della globalizzazione. Rispetto al G20, che il suo predecessore, Barack Obama, aveva salutato come il «foro principale per la cooperazione economica internazionale», il numero dei partecipanti è assai ridotto e il peso del protocollo molto più lieve. I leader hanno tempo per conversazioni ristrette che consentono di stabilire, nel tempo, anche relazioni personali.

L’agenda più fluida permette loro di modulare la conversazione sulla base delle proprie preferenze e di alternare momenti di discussione relativamente formali a pause dove la conversazione può proseguire in modo ancora più rilassato.

Rispetto al G20, dove la formalità del protocollo è sancita dalla lettura di discorsi già scritti nelle capitali dalle rispettive tecnocrazie, il G7 conserva, ancora, rari momenti di spontaneità per i suoi partecipanti.

Per la presidenza Trump, con uno stile insolitamente personalistico ed estemporaneo, il G7, oggi, rappresenta il foro strategico mondiale per costruire un’intesa relativamente condivisa con il paese più importante del mondo.

In questa chiave, il lavoro preparatorio si è concentrato nel valorizzare gli elementi di interesse comune che, a Taormina, si concentreranno sugli aspetti di sicurezza, vedi Corea del Nord, Iran e Siria, e lotta al terrorismo dopo i tragici fatti, tra gli altri, di Nizza, Berlino e, proprio l’altro giorno, Manchester.

Sul fronte economico, la presidenza italiana ha identificato un’agenda comune fatta di impegni verso la crescita e maggiori investimenti, lotta all’evasione e elusione fiscale delle multinazionali, nonché al finanziamento del terrorismo e, per finire, l’ormai consueto impegno a non deprezzare il tasso di cambio per conseguire indebiti vantaggi per le proprie esportazioni. Quest’ultimo è un monito che gli Stati Uniti vogliono reiterare, nel G7, al Giappone, ma anche alla Germania, il cui avanzo corrente record viene seguito con estrema attenzione a Washington.

Tra i punti su cui la presidenza ha dovuto capitolare vi è l’impegno a fronteggiare i cambiamenti climatici. È riuscita, tuttavia, a ottenere dall’azionista di riferimento una sorta di desistenza, evitando che Trump utilizzasse la piattaforma del Summit per rinnegare gli importanti impegni sottoscritti dal suo predecessore alla conferenza di Parigi lo scorso anno.

In ogni caso, di là del comunicato finale, il Summit di Taormina verrà ricordato non tanto per i nuovi impegni che gli Stati Uniti assumeranno ma, soprattutto, per la capacità degli altri leader del G7 a contenerne il suo disingaggio dalla governance mondiale.

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