Il G8 di Genova raccontato dopo 20 anni: dal no di Amartya Sen a De Gennaro all’Onu
Dagli iniziali errori di valutazione del governo al ruolo di Ruggiero, allora ministro degli Esteri ma soprattutto ex direttore del Wto che sapeva cosa voleva dire provare a dialogare con le Ong e con i “no global”
di Gerardo Pelosi
I punti chiave
4' di lettura
Si cominciò male. Con la paura, che non è affatto una buona consigliera. Tutt'altro. La totale incapacità del Governo Berlusconi di comprendere le ragioni e l'effettiva “pericolosità” dei movimenti “no global” può oggi, a venti anni di distanza, considerarsi la vera causa di molti errori compiuti al G8 di Genova. Confondere tutto, Black block e molti ragazzi animati dalle migliori intenzioni, derubricare l'ondata di protesta della fine degli anni 90 a un mero episodio di ordine pubblico fu uno degli errori principali di Genova. Unica eccezione (di cui sono stato testimone diretto) l'atteggiamento del ministro degli Esteri dell'epoca, Renato Ruggiero che avrebbe avuto il compito di “ripulire” l'immagine internazionale del secondo Governo Berlusconi (quella della copertina dell'Economist “unfit to lead Italy”).
Il ruolo di Ruggiero
Ruggiero aveva già sperimentato sulla propria pelle da primo direttore del Wto cosa voleva dire provare a dialogare con le Ong e con i “no global” anche quando frange violente di alcuni di loro mettevano a ferro e fuoco una città come accadde nel 2000 a Seattle per il vertice mondiale sul commercio. Ruggiero convocò alla Farnesina alla vigilia del G8 quello che, in quel momento, appariva un loro leader, Vittorio Agnoletto. Ruggiero cercò di ottenere da Agnoletto un “via libera” sui temi dello sviluppo che il G8 avrebbe affrontato a cominciare da una road map precisa per rispettare i cosiddetti Millenium Goals delle Nazioni Unite su sanità, ambiente e lotta alla poverta. Ma non ci fu nulla da fare. L'obiettivo era abbattere la zona rossa. Un nulla di fatto che però spiazzò almeno parte del movimento che si era presentato alla Farnesina con un atteggiamento quantomeno pregiudiziale nei confronti di Berlusconi e del suo Governo. Ruggiero lavorò anche per convocare a Roma come “osservatori” del vertice un gruppo di personalità di alto profilo. A guidare i lavori avrebbe voluto il premio Nobel per l'Economia, Amartya Sen studioso della globalizzazione e dei suoi effetti il quale però declinò l'invito. Non altrettanto fece Mary Robinson, ex presidente dell'Irlanda ed ex Alto commissario per i rifugiati dell'Onu. Era un mondo totalmente nuovo per Berlusconi che si prestò comunque di buon grado a ricevere le personalità.
L’atteggiamento di Berlusconi
Si diceva la paura. Il più impaurito era proprio il capo del Governo. Un mese prima di Genova, il 15 e 16 giugno del 2001 Berlusconi, forte di un eccezionale successo elettorale ma senza ancora aver presentato il suo programma alle Camere prese parte al Consiglio europeo della presidenza svedese a Goteborg. Berlusconi rimase sconcertato dalla portata delle proteste e soprattutto dalla risposta molto dura della polizia svedese che ridusse quasi in fin di vita un manifestante.
L’interlocuzione Berlusconi-De Gennaro
Qualche settimana più tardi a Palazzo Chigi Berlusconi riunì tutti gli alti funzionari impegnati alla preparazione di Genova. C'era anche il capo della Polizia, Gianni De Gennaro. Berlusconi lo fissò negli occhi e gli chiese: “lei mi può assicurare che a Genova non succederà nulla di quanto abbiamo visto a Goteborg?”. La risposta di De Gennaro, riletta oggi, a venti anni di distanza, fa quasi paura. “Presidente, il modus operandi del nostro personale è totalmente diverso da quello della polizia svedese”. Berlusconi fece una delle sue smorfie ma non sembrava convinto fino in fondo. Il resto lo conosciamo tutti con particolari che si sono arricchiti nel corso degli anni. Come quelle che vorrebbero un ministro dell'Interno (Claudio Scajola) gestire direttamente le operazioni di ordine pubblico con i vertici di Polizia e Digos.
Le richieste di informazioni dagli stati esteri
Dopo cinque giorni (e di questo sono stato testimone diretto) la batteria del Viminale e il centralino della Farnesina alle ore più improbabili cercavano di contattare il ministro degli Esteri Ruggiero. A cercarlo in continuazione il collega tedesco Ioshka Fisher, dell'Austria, Benita Ferrero Waldner e della Francia Hubert Vedrine. Tuti volevano sapere la stessa cosa: che fine avevano fatto i loro ragazzi e le loro ragazze che erano andate a Genova. Le famiglie non ne sapevano nulla da giorni. Una situazione tipo Argentina o Cile che gettava un'ombra ancora più sinistra su un vertice già macchiato del sangue di Giuliani e che cancellava ogni possibile successo di quel vertice che per primo aveva lanciato un fondo contro l'Aids e aveva affrontato questioni che poi sarebbero state il pane quotidiano di tutti i successivi vertici G8 e G20 fino a quello che si terrà a Roma alla fine dell'ottobre prossimo. La morte di Giuliani fui un duro colpo di immagine per Berlusconi. In quel momento la cosa più semplice fu individuare tutte le responsabilità in capo a De Gennaro. Berlusconi convocò Ruggiero e chiese di sondare il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan per sapere se il nome di De Gennaro sarebbe stato gradito al Palazzo di vetro come successore di Pietro Arlacchi all'antidroga Onu di Vienna ce stava lasciando. Annan, da navigato diplomatico capì al volo il problema (promoveatur ut amoveatur) e si inventò una rosa di candidati fra i quali inserire De Gennaro. Ma la cosa finì lì. Nel frattempo nessuno aveva comunicato neppure informalmente a De Gennaro che qualcuno stava preparandogli le valige per Vienna. A distanza di anni l'ex capo della polizia confessò a Gianni Letta (che sapeva tutto): ”se mi aveste detto quanto si guadagnava a Vienna avrei accettato subito”.
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