Il «Genio futurista» di Giacomo Balla
di Ada Masoero
2' di lettura
Lo si vede sin da piazza Scala, nell'infilata prospettica dei saloni delle Gallerie d'Italia, con quelle sue forme cariche d'energia e quei colori squillanti, a contrasto con la solenne architettura progettata da Luca Beltrami per celebrare la solidità e il peso della giovane Banca Commerciale Italiana, prima banca “europea” d'Italia.
La sede milanese delle Gallerie d'Italia, il museo diffuso del Gruppo Intesa-Sanpaolo presenta fino 12 maggio, con Lavinia Biagiotti, il grandioso dipinto di Giacomo Balla Il Genio Futurista, parte della collezione formata dalla stilista Laura Biagiotti con il marito Gianni Cigna, affiancati da Fabio Benzi: l'opera più ambiziosa, a detta dello stesso Balla, della sua ventennale stagione futurista. E anche l'unica, commentò nelle sue memorie la figlia Elica Balla, che nell'intera vita gli avesse garantito «un giusto compenso per il suo lavoro».
Il dipinto (un olio su tela d'arazzo di quasi tre metri d'altezza per quasi quattro di base) gli fu commissionato dal fondatore del Futurismo, F.T. Marinetti, in vista della partecipazione dell'Italia all'Exposition des Arts Décoratifs di Parigi del 1925: quella che avrebbe dato il nome al nuovissimo stile Déco. Che poi i futuristi, per l'ostilità della critica italiana dominante non entrassero nel Padiglione nazionale ma fossero esposti nella sezione internazionale, non fece che guadagnar loro una maggiore visibilità. Tanto che, alla fine, due personalità di primo piano della critica italiana, non certo filo-futuriste, come Agnoldomenico Pica e Margherita Sarfatti (sostenitrice, anni prima, di Umberto Boccioni, ma ormai teorica del movimento neo-classico di Novecento) riconobbero che solo la pattuglia futurista, formata da Balla, Depero e Prampolini, aveva tenuto alto il nome dell'Italia in quella manifestazione internazionale.
Balla espose quattro “arazzi”, ponendo al posto d'onore questo, che inneggiava al Genio Futurista, e dunque alla modernità, mito fondativo del movimento, e riassumendo in esso tutti i temi portanti del suo lavoro. Il “Genio”, fortemente stilizzato, occupa il centro della composizione, con la testa formata da una stella irradiante energia, il tronco e le braccia riassunti in una “M” stilizzata, probabile omaggio a Marinetti (o a Mussolini? Oppure a Marconi, allora un mito italiano nel mondo?) e le gambe alluse da due cunei rossi. Che sono qui (e non solo qui) accostati al bianco e al verde della bandiera italiana. Tutt'intorno alla figura, s'intersecano le sue inconfondibili forme geometriche nette e taglienti (le «forme-rumore») e i suoi prediletti volumi astratti, incastonati in un vivido blu: il colore teosofico per eccellenza.
Perché Balla, che da tempo praticava quel pensiero, in cerca delle forze spirituali sottese all'universo, fa di quest'opera (bellissima) una sorta di antologia dei temi teorici e pittorici elaborati nella sua esperienza futurista. Quasi un testamento spirituale: di lì a poco, infatti, dopo alcune prove ancora avanguardiste, abbandonerà progressivamente il Futurismo per tornare alla pittura figurativa.
Giacomo Balla. Genio Futurista, Gallerie d'Italia-Piazza Scala, fino al 12 maggio
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