Il Giappone tra liberismo e tentazioni protezioniste
Tokyo ha aperto al commercio internazionale e siglato l’intesa con l’Unione europea, ma sta inasprendo i controlli sui capitali stranieri
di Stefano Carrer
4' di lettura
Con l’ultima delle grandi cerimonie di accesso al trono del Crisantemo - in cui il nuovo imperatore Naruhito, il 14 novembre, ha passato una simbolica notte con la sua antenata, la dea del Sole Amaterasu - entra nel vivo l’era “Reiwa” in un Giappone che vuole proporsi come un Paese sempre più aperto al mondo, ma dà anche segnali di apprensioni e retromarce di fronte a grandi sfide economiche, sociali e di sicurezza.
L’imperatore Naruhito fa da simbolo all’originale mix di tradizione e modernità che tanto contribuisce a diffondere il “fascino” del Sol Levante nel mondo: primo imperatore ad aver studiato all’estero (Oxford), ha sposato Masako per amore e ha cercato di “difenderla” persino criticando in passato le rigidità dell’Imperial Household Agency.
Aleggia sul Paese un senso di cambiamento epocale, dopo le prime dimissioni di un imperatore (Akihito) da 200 anni, anche perché il nuovo sovrano è il primo a essere nato nel dopoguerra.
L’impegno del nuovo imperatore
Naruhito ha sottolineato che adempirà ai propri doveri di sovrano costituzionale sempre auspicando la «felicità del popolo» e la «pace nel mondo». Mentre i suoi studi sulla gestione delle acque ne fanno un monarca attento alle tematiche ambientali, in alcuni discorsi ha rilevato che il Giappone si sta diversificando, il che richiede la diffusione di un atteggiamento di tolleranza.
Sul piano sociale, i mutamenti in atto sono evidenti, con un maggiore accesso delle donne al mondo del lavoro e un allentamento più ampio delle vecchie strutture sociali. La rapidità dell’invecchiamento e decrescita della popolazione crea una sfida epocale, mentre le Olimpiadi del 2020 dovrebbero essere l’occasione per sancire una identità nazionale sempre più aperta verso l’esterno.
Sarà proprio così? Per certi aspetti il Sol Levante sta già cambiando il proprio approccio al mondo esterno: c’è chi parla di “quarta apertura al mondo” (dopo quelle del tardo Cinquecento, di metà ’800 e del dopoguerra), che trova i propri simboli nel passaggio dalla linea mercantilista degli scorsi decenni alla promozione del libero commercio. È stata Tokyo a salvare il Tpp dopo il ritiro degli Usa e a siglare un’ambiziosa Economic Partnership con la Ue, affiancata da una “Strategic Partnership” che sottolinea la comunanza di valori con l’Europa.
L’Italy-Japan Business Group
Sabato 16 novembre, all’assemblea dell’Italy-Japan Business Group, c’era un grande ottimismo sugli effetti delle reciproche aperture economiche. Dopotutto il 24 ottobre 1989, quando ci fu la prima assemblea dell’Ijbg, a un Giappone arrogante e pieno di barriere per gli stranieri corrispondeva un’Europa reduce dalla “quote” all’import dell’auto nipponica.
Da poco Tokyo ha persino approvato una normativa che – pur fra strette limitazioni – apre per la prima volta un percorso verso la cittadinanza alla manodopera straniera. Per altri aspetti, tuttavia, sembra che ai passi avanti corrispondano retromarce. Il governo ha varato il 18 ottobre un disegno di legge, ora alla Dieta, che irrigidisce le regole sugli investimenti stranieri, abbassando dal 10% all’1% del capitale la soglia sulla quale gli investitori esteri dovranno pre-segnalare il loro investimento in società considerate “sensitive” per la sicurezza nazionale.
Il ruolo di Tokyo nei mercati globali
Lo stesso capo della Borsa, Akira Kiyota, ha paventato una minaccia al ruolo di Tokyo nei mercati globali, mentre molti analisti hanno lanciato avvertimenti riguardo agli effetti negativi su tutti gli investimenti dall’estero, anche quelli diretti.
Chi fa trading non di rado supera la soglia dell’1% in transazioni giornaliere, senza contare poi le difficoltà a determinare in tempo reale la natura degli investimenti. Le precisazioni sulle esenzioni per i gestori finanziari non hanno convinto.
Secondo Masatoshi Kikuchi, strategist alla Mizuho, il fatto che la legge non si applicherà solo a settori tecnologici ma financo all’agricoltura «dà l’impressione che l’amministrazione Abe, per quanto inalberi il vessillo del free trade, stia inclinando verso il protezionismo».
Altri osservatori paventano conseguenze sui progressi nella governance aziendale, attraverso limitazioni alla possibilità per azionisti esteri di proporre cambiamenti di management e strategie: il vero obiettivo, per i più sospettosi, sarebbe proprio quello di ostacolare i fondi attivisti. È probabile che il giro di vite si spieghi con l’ossessione per i trasferimenti tecnologici alla Cina.
«Sono aumentati gli onerosi controlli sul nostro business – afferma un dirigente italiano di una società tecnologica giapponese a capitale estero, che preferisce l’anonimato –. La mia impressione è che, una volta che gli Usa hanno dato il “la” a un atteggiamento duro verso la Cina sul fronte delle tecnologie, Tokyo si è messa sulla stessa strada, con un sovrappiù di riflessi condizionati di implacabilità burocratica».
La “guerra commerciale” con la Corea del Sud
Non sono gli unici segnali sorprendenti. Il Giappone ha avviato di fatto una “guerra commerciale” con la Corea del Sud: sono state invocate ragioni di sicurezza, anche se molti considerano la mossa una ritorsione per il sequestro di beni di imprese giapponesi in Corea in procedure di risarcimento per lavoro forzato in periodo bellico (questione che Tokyo considera risolta fin dal 1965). Inoltre ha impressionato la ferocia della magistratura contro l’ex numero uno di Renault e Nissan, Carlos Ghosn.
Gli avvocati del top manager hanno ribadito la tesi secondo cui è stato vittima di un complotto interno appoggiato all’esterno da ambienti governativi, per evitare il rischio di far finire sotto controllo straniero due icone della Corporate Japan come Nissan e Mitsubishi Motors.
Anche su questioni piuttosto marginali – ma venate da connotazioni stranamente nazionaliste - si manifestano irrigidimenti: Tokyo ha ripreso quest’anno la controversa caccia commerciale alle balene.
Energia e ambiente
Le contraddizioni si estendono alla politica energetica e ambientale: l’esigenza di salvaguardare la base manifatturiera nazionale ha portato – dopo la riduzione dell’energia nucleare seguita all’incidente di Fukushima – ad annacquare i target sul contenimento delle emissioni e a continuare a promuovere fonti inquinanti come il carbone.
Forse è proprio la stabilità sostanziale dell’amministrazione Abe (in carica da fine 2012), coniugata alle crescenti ossessioni per il vicino gigante Cina, a tradursi in cedimenti alla tentazione di tutelare con più forza presunti interessi nazionali, a scapito di un laissez faire dalle conseguenze non sempre gradite.
Per approfondire:
● Giappone, Naruhito sul trono. Abe: «Banzai!»
● In Giappone la sostenibilità fa i conti con le contraddizioni
loading...