Opinioni

Il grande crash della domanda di petrolio del 2020: una radiografia

di Marcello Minenna

(Corona Borealis - stock.adobe.com)

6' di lettura

Il 2020 è stato sicuramente un anno movimentato per il prezzo del petrolio. Dopo le minacce di greggio a 100$ al barile durante la breve crisi geo-politica tra Iran ed USA di inizio gennaio, il prezzo ha sperimentato il secondo crollo più intenso della storia (-80%) a marzo/aprile 2020, quando l'intersecarsi della crisi pandemica e della guerra commerciale russo-saudita ha fatto precipitare il prezzo a poco più di 10$. Poi, una lenta ed irregolare ripresa solo fino ai 40$ innescata dalla riapertura delle economie occidentali. Infine a novembre un timido rally fino a 50$ dopo le incoraggianti notizie sull'arrivo dei vaccini; forse prematuro visto lo stallo degli ultimi giorni a fronte dei timori sulla nuova variante inglese del virus (cfr. Figura 1).

PETROLIO - PREZZO E SURPLUS DI CAPACITÀ PRODUTTIVA
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Rispetto alle crisi petrolifere classiche che periodicamente affliggono il mercato, quella del 2020 ha una peculiarità forte. Si tratta di una crisi demand-driven, in cui i fattori della produzione e distribuzione non hanno avuto un ruolo centrale. Storicamente infatti gli shock peggiori al mercato petrolifero sono arrivati da restrizioni improvvise dell'offerta a seguito di eventi monetari o politici (come le crisi del 1973 e del 1979) oppure dalla crescita troppo sostenuta della produzione (come accadde nel 1986 e più recentemente nel 2014 con l'esplosione del fenomeno dello shale oil). Nel 2020, è stata la domanda a dettare l'andamento del prezzo, e con un certo ritardo, della produzione (cfr. Figura 2).

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CONSUMO MONDIALE DI PRODOTTI PETROLIFERI

Milioni di barili al giorno

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A gennaio 2020 la domanda mondiale era stabilmente assestata sui valori massimi di 100-102 milioni di barili al giorno (b/g). A febbraio si nota il primo improvviso calo di 5-6 punti percentuali dovuto all'esplosione della crisi pandemica in Cina, con blocco temporaneo di alcune settimane dell'attività manifatturiera. La situazione della domanda sembra stabilizzarsi intorno a fine mese con il miglioramento della condizioni sanitarie in Cina e la conseguente ripresa industriale, ma si tratta di un'illusione. A marzo il progressivo blocco delle economie occidentali impone una riduzione della domanda senza precedenti anche in periodo di guerra. Nell'arco di 30 giorni viene a mancare più del 20% dei consumi mondiali giornalieri, prevalentemente connessi al settore dei trasporti delle economie industrializzate.

Il nadir della domanda ad aprile dura poco e con le prime riaperture a maggio si concretizza un immediato rimbalzo dei consumi durante il periodo estivo, che però non raggiunge completamente i livelli precedenti per via dello spostamento della crisi pandemica in altre aree geografiche (Brasile, India) in cui prosegue l'adozione di misure restrittive su larga scala.

Il ritorno di fiamma stagionale dei contagi da coronavirus nelle economie occidentali e il nuovo ciclo di lockdown regionali frenano definitivamente il recupero della domanda di petrolio. L'EIA (Energy Information Administration negli USA) non prevede una crescita significativa dei consumi prima del terzo trimestre 2021; un recupero completo non avverrebbe prima della fine del 2021.

La Figura 3 consente di apprezzare il contributo al crollo della domanda nel 2020 per area geografica e le prospettive di recupero per l'anno entrante.

PETROLIO - DIFFERENZA ANNUALE NEI CONSUMI

Decomposizione per area geografica, in milioni di barili al giorno<br/>

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In maniera inequivocabile, si nota come degli 8,8 milioni di b/g di riduzione della domanda rispetto al 2019, oltre il 60% sono attribuibili alla contrazione dei consumi dei Paesi occidentali (USA, Unione Europea ed altre economie OCSE). Insieme le economie Cina ed India (3 miliardi di persone) hanno sperimentato una contrazione di soli 0,9 milioni di b/g, meno del 10% del totale. Il recupero dell'economia cinese dal punto di vista energetico si può considerare pressoché totale, se si considera il crollo sperimentato nei mesi di gennaio/febbraio.

La débâcle dei produttori mondiali di petrolio: opec e shale oil usa

L'offerta di petrolio stavolta ha seguito ob torto collo le fluttuazioni drastiche della domanda. A fronte del crollo verticale del prezzo registrato a marzo per via del fallimento dei colloqui OPEC e di una frattura grave tra Russia ed Arabia Saudita, ad aprile il cartello petrolifero ha dovuto trovare un accordo di massima. La produzione è calata di quasi 10 milioni di b/g tra aprile e giugno 2020, per poi essere incrementata gradualmente di 2 milioni di b/g nel corso dell'estate. A dicembre l'OPEC ha accettato un ulteriore incremento di produzione di 500.000 b/g, circa un milione di b/g in meno rispetto alla proiezione prevista nel deal originale per via dell'outlook economico globale in nuovo peggioramento.

Se Atene piange Sparta non ride. Anche la produzione di shale oil USA ha subìto un declino pesantissimo nel corso del 2020 dal picco di 9,2 milioni di b/g registrato a fine gennaio fino a 6,8 milioni in aprile. Successivamente c'è stato un modesto recupero fino a 7,9 milioni di b/g, che però ha perso spinta a settembre. In autunno è ripartito il declino e l'EIA stima che dicembre chiuderà con una produzione di 7,4 milioni di b/g, un crollo secco del 20% in 11 mesi.

Le prospettive per il 2021 sembrano compromesse dai forti tagli agli investimenti, depressi dai prezzi persistentemente sotto i 50$ e dalla necessità di consolidamento dei bilanci per le imprese che sono sopravvissute all'annus horribilis 2020.

Sia pozzi completati chee le operazioni preliminari di fracking/esplorazione sono in caduta libera. L'indice che monitora l'attività del fracking è fermo ad 89, un calo del 75% su base annua. Secondo gli analisti l'indice dovrebbe oscillare intorno al valore di 160 per poter mantenere costanti i livelli di produzione attuali.

Anche il numero di impianti di perforazione è precipitato di un enorme 64% da gennaio, nonostante abbia recuperato marginalmente da luglio. Il mantenimento della produzione attuale richiederebbe 280-300 pozzi costantemente in trivellazione ma nonostante un parziale recupero dai minimi dell'estate il livello non supera i 260. Piuttosto che completare i pozzi, le aziende hanno accumulato ”scorte” di pozzi perforati ma non completati (DUC, drilled but uncompleted wells) per trovarsi in posizione finanziaria migliore nel caso di un futuro aumento dei prezzi. Tuttavia anche questa strategia può essere efficace soltanto in una finestra temporale limitata. Le DUC nel bacino petrolifero del Permian, il più grande degli USA potrebbero essere sufficienti oramai per proseguire l'attività per 13 mesi senza ulteriore fracking. Questa percentuale raggiunge i 22 mesi in altri bacini del Paese.

Nonostante tutto ciò la produzione globale nei mesi critici della primavera è calata molto meno della domanda; come conseguenza è stato registrato uno spettacolare accumulo di scorte che ha rischiato di esaurire la capacità globale di stoccaggio del greggio, sia onshore che su petroliera (cfr. Figura 4).

PETROLIO - VARIAZIONE DELLE SCORTE MONDIALI
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Il decremento delle scorte ha preso poi abbrivio nel terzo trimestre dell'anno, ma la nuova sequela di lockdown autunnali dei Paesi occidentali ne ha ridotto la corsa. Ora l'EIA prevede un annullamento del trend nel corso del primo semestre del 2021, che si preannuncia comunque molto difficile dal punto di vista della crescita.

Nel complesso, l'EIA valuta la capacità di riserva globale (il massimo incremento di produzione teoricamente ottenibile da riserve note o facilmente raggiungibili, cfr. di nuovo barre rosa in Figura 1) a 6,15 milioni di b/g, di cui circa 4 milioni in Arabia Saudita. L'offerta saudita è aumentata ulteriormente da luglio 2020, quando i pozzi petroliferi di Wafra e Khafji nella zona de-militarizzata tra Arabia Saudita e Kuwait sono tornati operativi, aggiungendo ulteriori 500.000 b/g.

A questa capacità vanno sommati verosimilmente altri 3 milioni di barili al giorno di riserva “involontaria”, rappresentata dal potenziale di produzione di Paesi dove hanno luogo disordini, conflitti armati, o sono colpiti da sanzioni internazionali (Libia, Sudan del Sud, Yemen, Siria Venezuela, e lo stesso Iran). Se le condizioni politiche e di sicurezza dovessero migliorare, questi Paesi potrebbero aumentare la propria produzione piuttosto in fretta.

9 milioni di barili al giorno sono un'enorme quantità di capacità inutilizzata che, anche se non può essere sfruttata immediatamente, ha un impatto significativo sulla psicologia del mercato petrolifero.

Dunque non ci sono gli ingredienti per poter credere in un aumento del prezzo sopra i 50-60$ al barile per il 2021. In fin dei conti, per la ripresa economica di Paesi consumatori come l'Italia non sarebbe certo un male.

Ogni aumento di 5$ del prezzo di un barile di petrolio costa all'economia globale 183 miliardi di $ l'anno, ovvero lo 0,1% del PIL globale. Mentre tali costi per l'economia USA sono ampiamente compensati dagli aumenti dei profitti dei produttori domestici di petrolio, il resto dell'economia globale non gode della stessa protezione. In altri termini la produzione interna di shale oil offre de facto agli USA un importante beneficio economico in uno scenario di prezzi alti, ma le altre grandi nazioni consumatrici industrializzate (area Euro, Giappone, Sud Corea), che dipendono dalle importazioni di petrolio e sono alle prese con una recessione profondissima potrebbero farsi molto male se il prezzo recuperasse “troppo”.

Il sentiero della ripresa economica globale per il 2021 si profila stretto.

Marcello Minenna, Direttore Generale dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli@MarcelloMinennaLe opinioni espresse sono strettamente personali

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