Il lato oscuro di Wall Street tra utili reali (ai minimi da 20 anni) e buyback
In attesa di Apple, Amazon e Nvidia il calo medio dell'utile è del 7,3% sul 2022. Depurando i profitti dalla corsa dei prezzi otterremmo il peggiore dato in 20 anni
di Vito Lops
I punti chiave
4' di lettura
All’appello mancano, tra le big, Apple e Amazon (domani) e Nvidia (il 23 luglio). Il mercato attende di completare il puzzle delle trimestrali ma il quadro di fondo, salvo clamorosi colpi di scena, è ormai stato dipinto. Questa stagione dei conti (relativi agli utili generati nel secondo trimestre del 2023) si avvia ad essere la peggiore dai tempi della pandemia. Delle società dell’indice S&P 500 che finora hanno presentato l’aggiornamento di bilancio, l’80% ha battuto le stime degli analisti in termini di utile e il 64% lo ha fatto sui ricavi.
Ma al netto del “gioco delle stime” (che vengono ciclicamente battute al rialzo con una media negli ultimi 10 anni del 73%) il dato che non può passare inosservato è quello del calo degli utili rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: -7,3%. Se confermato sarebbe il risultato peggiore dal secondo trimestre del 2020 quando, causa scoppio della pandemia, gli utili crollarono del 31,3%. E si tratterebbe peraltro del terzo trimestre consecutivo di flessione degli utili confermando quella che gli analisti definiscono “earnings recession”, ovvero recessione da profitti (di cui si parla a partire da due trimestri di fila in flessione).
L’effetto dell’inflazione
L’altra “cattiva” notizia - scandagliando in profondità i conti - è che il livello degli utili attuali risulta “dopato” dall’elevata inflazione. Gli utili infatti sono nominali, contengono cioè l’aumento dei prezzi innescato dall’inflazione. Se andassimo a calcolare gli utili in termini reali e a depurarli per l’inflazione otterremmo il peggiore dato da 20 anni a questa parte. Gli analisti compiono questo calcolo sottraendo all’earnings yield (il rendimento delle azioni dell’S&P 500 ottenuto dividendo gli utili per azione (earnings per share) per il valore dell’indice azionario) il rendimento dei Tips a 10 anni, le obbligazioni Usa che proteggono dall’inflazione e che esprimono il livello dei rendimenti reali. Compiendo questa operazione (4,5%-1,2%) si ottiene un 3,3% che appunto non si vedeva da 20 anni.
Ma allora come mai l’indice S&P 500 è lontano appena un 5% dai massimi storici (quei 4.810 punti toccati il 4 gennaio del 2022) e con il rialzo di quest’anno ha quasi del tutto cancellato il ribasso del 2022?
Previsioni: il mercato si aspetta un soft landing
La risposta arriva osservando le previsioni sugli utili, elaborate dagli analisti di Factset. Per il terzo trimestre dell’anno è atteso un rimbalzo (+0,2%) e ancor di più per l’ultimo quarto del 2023 (+7,5%). Certo, in queste stime conta anche l’effetto base (il confronto con lo stesso periodo dello scorso anno) che inizia a giocare a favore di un rimbalzo (nel quarto trimestre del 2022 gli utili erano scesi del 4,6%, quindi “rimbalzare” da questi livelli è più “facile”). Ma conta anche l’ottimismo degli analisti che stanno assegnando maggiori probabilità tra i vari scenari sul piatto (soft landing, hard landing, stagflazione, ecc.) a quello da “bicchiere pieno”, ovvero il soft landing.
Wall Street è posizionata su un soft landing e, considerando utili attesi per il 2024 pari 221 dollari per azione, quota su un multiplo pari a 20,4 volte gli utili, superiore sia alla media degli ultimi 5 anni (18,6) che a quella a 10 (16,9). Quindi, conti della serva alla mano, possiamo dire che le azioni statunitensi non sono certo a sconto in questo momento e, per di più, stanno scontando il migliore degli scenari possibili a disposizione, quello in cui l’economia scampi la recessione nonostante la stretta monetaria più violenta della storia (550 punti base in su in 16 mesi).
Nel ragionamento però vanno inseriti altri due elementi. Parlare di S&p 500 ormai può essere fuorviante. Perché è ormai noto a tutti che la performance di questo indice - calcolata in base alle capitalizzazione e quindi al diverso peso delle singole azioni - è falsata dal comportamento di poche big (Apple, Amazon, Meta, Google Alphabet, Tesla, Nvidia, ecc.). Ciò è talmente evidente se si considera il divario di performance dell’indice generale (+19% da inizio anno) con quello equipesato (dove ogni azienda ha lo stesso peso nel calcolare la performance del paniere e che da inizio anno è cresciuto “solo” del 9%). Ciò vuol dire che vi sono aziende in prima fila, che viaggiano su multipli più elevati e aziende di seconda classe. Le prime 10 società dell’indice hanno un rapporto prezzo/utili vicino a 30 volte mentre le altre 490 viaggiano con un multiplo inferiore a 18, sotto la media degli ultimi 5 anni. Quindi non è vero che tutto l’indice è caro, ma solo le prime delle classe. Tra le altre, bravi gestori possono ancora pescare del valore ricercando società con valutazioni meno sbilanciate.
L’illusione ottica dei buyback
Altro punto rilevante: i buyback, il vezzo al riacquisto di azioni proprie da parte delle società americane. Si tratta di un’operazione attraverso la quale una società riduce tecnicamente il numero delle azioni in circolazione e quindi riduce il denominatore della formula “utili per azione”. Di conseguenza, a parità di utili, ma con azioni in diminuzione (per l’effetto dei buyback) il rapporto tende a salire dando l’illusione ottica che gli utili generati dalle aziende a Wall Street tendano a crescere più del previsto. Stando agli ultimi calcoli di Yardeni research, nell’ultimo anno ci sono stati buyback a Wall Street per 850 miliardi di dollari, meno rispetto al picco (1.150 miliardi) registrato durante il periodo pandemico ma ben oltre la media degli ultimi 10 anni. Quindi, se Wall Street è lì vicina ai massimi non è solo per merito degli utili che stanno generando le azioni che la popolano (peraltro ai minimi da 20 anni in termini reali) ma anche per tecnicismi e rosee stime.
- Argomenti
- utile
- Borsa di New York
- Apple
- Amazon
loading...