Il calo della natalità minaccia la stabilità economica dell’Italia, Leo: aiuteremo famiglie con 3 figli
Secondo il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti «non c'è nessuna riforma previdenziale che tiene nel medio-lungo periodo con i numeri della natalità che abbiamo oggi in questo paese»
di Andrea Carli
I punti chiave
- La natalità al minimo storico
- Bankitalia, «niente figli se i nonni non vanno in pensione»
- Tridico: nel 2050 rapporto/pensionati attivi 1 a 1
- Conti in bilico, in 39 province ci sono più pensioni che occupati
- Il rapporto di giugno della Ragioneria sul rapporto tra spesa per pensioni e Pil
- Nel biennio 2023-2024 spesa per pensioni al 16,2% del Pil
- Il rapporto si stabilizza fino al 2029
- Picco del 17% nel 2042
- La rapida discesa
7' di lettura
Non ci sono riforme delle pensioni che tengano se il tasso di natalità dovesse rimanere quello che è, ovvero al minimo storico. L'Italia è agli ultimi posti in Europa nel rapporto tra occupati e pensionati. «Il tema della natalità è un tema fondamentale: non c'è nessuna riforma previdenziale che tiene nel medio-lungo periodo con i numeri della natalità che abbiamo oggi in questo paese», ha ricordato martedì il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, intervenendo al meeting di Rimini.
Leo: natalità fondamentale, aiuteremo famiglie con 3 figli
Un concetto ripreso il giorno dopo dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo che intervenendo al Meeting di Rimini ha detto: «Il tema della natalità è per noi assolutamente fondamentale, e per questo dovremo cercare di individuare delle risorse per sostenere le famiglie, soprattutto quelle che mettono la mondo figli e quelle che hanno più figli. Dovremo fare in modo di aiutare le famiglie che hanno 3 figli, che non sono numerosissime. Quindi da questo punto di vista si può ritenere che l’impegno non sia eccessivamente oneroso».
Leo: valutare quoziente familiare, benefici a chi assume mamme
Non solo. Leo ha aggiunto che alcune delle possibili misure a favore della famiglia allo studio del governo sono il quoziente familiare e benefici per le imprese che assumono donne con figli. Sul tema della tassazione delle famiglie, si può «valutare l’ipotesi del quoziente familiare, tuttavia per farlo dovremo tenere conto delle risorse che si possono mettere a terra per favorire questo tipo di intervento». «Un’altra cosa è legata alle misure che possono essere date alle imprese attraverso le forme di detassazione, sul modello dello slogan ’chi assume meno paga’: quindi ridurre il carico fiscale sulle società per dare dei benefici aggiuntivi soprattutto alle mamme, mamme che hanno figli. Quindi dare ulteriori benefici alle imprese che assumono delle donne che hanno nuclei familiari abbastanza consistenti» ha spiegato Leo.
Nel suo intervento Leo ha parlato anche di fisco: «Alcuni interventi previsti dalla riforma fiscale non necessitano di coperture: penso a quelli che riguardano i procedimenti e anche tutto ciò che riguarda gli adempimenti e i versamenti dei contribuenti. Questi non necessitano di risorse, pertanto potranno entrare in vigore già nel 2024». E ancora: «Altri come i tributi in particolare, penso all’Irpef, all’Ires, all’Iva e all’Irap, invece richiedono delle coperture: per questo dobbiamo verificare se ci saranno delle coperture con la Nadef», ha aggiunto.
Tornando al pericolo connesso alla denatalità è che si faccia sempre più forte lo squilibrio, nell’ambito del mercato del lavoro, tra componente attiva e percettori di trattamenti pensionistici. Secondo un’analisi di Eurostat, l’Italia è tra i Paesi europei che fanno meno figli. Nel nostro Paese il tasso di natalità è ai minimi, con 1,25 nascite per donna, un dato superiore solo alla Spagna (1,19) e a Malta (1,13). In cima alla graduatoria la Francia, con 1,84 bambini nati per donna, seguita da Repubblica Ceca (1,83), Romania (1,81) e Irlanda (1,78).
La natalità al minimo storico
Secondo l’Istat, la natalità in Italia con riferimento all’anno 2022 è risultata al minimo storico: per la prima volta dall’Unità infatti i nati sono scesi sotto la soglia delle 400.000 unità. «Dal 1 gennaio 2014 al 31 maggio 2023 la popolazione italiana ha perso 1 milione e 561 mila residenti, cioè la somma della popolazione di Milano più Brescia - ha ricordato l’ex presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo intervenendo al Meeting di Rimini -. La differenza nati-morti è sempre stata decisamente negativa, anche prima del Covid, e il saldo migratorio non è più riuscito a compensare questa differenza. Il vero colpevole di queste dinamiche è proprio la caduta della natalità». Illustrando alcune statistiche sull’andamento delle nascite in Italia dall’unità nazionale ad oggi, Blangiardo ha evidenziato come si assista ad un «crollo drastico dal 2008 fino a 393mila nati nel 2022: sono 9 anni che ogni anno facciamo il record della più bassa natalità di sempre nella storia del nostro paese. I primi 5 mesi del 2023 sono ancora più bassi, la variazione è circa 1,5%, rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente: quindi il record del 2022, 393mila nuovi nati, siamo destinati a migliorarlo al ribasso. Nel 1943, primo trimestre, 243mila nati, in guerra. Nel 2023, primo trimestre, 91mila nati, in pace. Certo - ha aggiunto - le difficoltà ci sono, ma immaginate le difficoltà che c’erano nel 1943».
La riduzione delle giovani generazioni in rapporto alla popolazione minaccia la stabilità economica dell’Italia. Finanze pubbliche e welfare rischiano di non essere più sostenibili con il calo delle nascite.
Tutto questo mentre il Governo sta mettendo mano al capitolo “ legge di Bilancio 2024 ”. L’esecutivo sembra orientato a ricorrere a misure ponte della durata di un anno. A cominciare dal prolungamento, magari in forma leggermente rivisitata, di Quota 103, con cui la soglia minima di accesso alla pensione rimarrebbe ferma ancora per 12 mesi a 62 anni d'età, seppure nel mix con 41 anni di versamenti.
Bankitalia, «niente figli se i nonni non vanno in pensione»
A porre l’accento sulla questione è stata Bankitalia. In un recente paper ha sottolineato che il progressivo innalzamento dell’età pensionabile ha un “effetto collaterale”: incide sui tassi di fecondità contribuendo al calo delle nascite. Soprattutto nei Paesi del Sud dell’Europa con più lacune sul fronte delle politiche e dei servizi all’infanzia, e dove una giovane coppia per mettere su famiglia fa grande affidamento sulla figura dei nonni. Secondo l’istituto di Via Nazionale, le riforme previdenziali varate negli ultimi decenni in Europa per contenere la spesa pubblica possono avere un impatto anche sulla crescita demografica. Un fenomeno che riguarda quasi esclusivamente i Paesi dell’area Mediterranea, mentre è quasi nullo nell’Europa Continentale e nei Paesi del Nord, dove le politiche di welfare si dimostrano più efficaci e i servizi come gli asili nido sono più diffusi e meno gravosi per le tasche delle giovani coppie.
Tridico: nel 2050 rapporto/pensionati attivi 1 a 1
Tra gli ultimi a porre l’accento sulla questione, l’ex presidente dell'Inps, Pasquale Tridico. Il quadro al 2029, ha spiegato, «non è positivo» con il rapporto tra lavoratori e pensionati che passerà dall'attuale 1,4 a 1,3 per poi arrivare nel 2050 a uno a uno. Qualsiasi scelta di anticipo rispetto all'età di vecchiaia dovrà tenere conto dell'andamento dell'aspettativa di vita (diminuita con il Covid ma probabilmente in ripresa) ed essere legata ai contributi versati. Ma si potrebbe anche scegliere la via dell'anticipo per le categorie più in difficoltà sulla scia delle norme sull'Ape sociale.
Conti in bilico, in 39 province ci sono più pensioni che occupati
Le politiche per la natalità, ammesso che si riesca a costruirle e soprattutto a renderle efficaci, impiegano decenni per determinare effetti economici di un qualche significato. Ma, a scorrere le cifre, il tempo a disposizione per invertire la rotta non sembra molto. In Italia ogni 100 pensioni Inps ci sono 111 lavoratori attivi, e il conto scende a 103 se si escludono i professionisti che versano i contributi alle Casse private. E in 39 province su 107, quasi tutte al Centro-Sud, gli occupati sono meno degli assegni previdenziali. In Calabria il record: 67 lavoratori per 100 pensionati.
Il rapporto della Ragioneria sul rapporto tra spesa per pensioni e Pil
Nel rapporto sulle tendenze di medio lungo periodo del sistema pensionistico e socio sanitario nel 2023, pubblicato dal ministero dell’Economia e delle finanze, dipartimento della Ragioneria generale dello Stato a giugno di quest’anno, sono state analizzate le previsioni di medio-lungo periodo della spesa pensionistica. Queste previsioni, hanno sottolineato i tecnici della Ragioneria in quella occasione, «richiedono la formulazione di scenari macroeconomici e demografici ad hoc i quali, necessariamente, si basano su ipotesi strutturali soggette a un ampio margine di incertezza». Nel rapporto viene delineato uno “scenario nazionale base”, sulla base dell’evoluzione del rapporto fra spesa pensionistica e Pil.
Nel biennio 2023-2024 spesa per pensioni al 16,2% del Pil
«Nel biennio 2023-2024 - si legge nel report -, la spesa per pensioni cresce significativamente portandosi al 16,2 per cento del PIL. Le previsioni scontano, inter alia, gli effetti della elevata indicizzazione delle prestazioni imputabili al notevole incremento, del tasso di inflazione registrato nel 2022 e previsto per l'anno 2023».
Il rapporto si stabilizza fino al 2029
«Negli anni successivi - spiega ancora la RgS -, il rapporto tende a stabilizzarsi fino al 2029, pur in presenza di ipotesi di crescita del PIL meno favorevoli in relazione all'esaurirsi degli effetti del nuovo canale di accesso al pensionamento anticipato introdotto in via generalizzata e temporanea per i soggetti che maturano i relativi requisiti nel quadriennio 2019-2023 (Quota 100, Quota 102 e Quota 103) e in relazione all’ipotizzato parziale recupero dei livelli occupazionali precedenti sia all’adozione del provvedimento che ha introdotto Quota 100 sia al manifestarsi della crisi sanitaria. Inoltre, si assiste alla prosecuzione graduale del processo di innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento e alla contestuale applicazione, pro rata, del sistema di calcolo contributivo».
Picco del 17% nel 2042
«Dopo il 2029, il rapporto spesa/PIL aumenta velocemente fino a raggiungere il picco relativo del 17 per cento nel 2042. Nella parte centrale del periodo di previsione, si assiste all'incremento del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati indotto dalla transizione demografica, il quale è solo in parte compensato dall'innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento. Tale incremento - si legge ancora nel rapporto - sopravanza l'effetto di contenimento degli importi pensionistici esercitato dalla graduale applicazione del sistema di calcolo contributivo sull’intera vita lavorativa».
La rapida discesa
«Nella seconda parte dell’orizzonte di previsione, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL inizia una rapida discesa. La spesa si attesta al livello del 16,1 per cento del PIL nel 2050 e al 14,1 per cento nel 2070. La rapida riduzione del rapporto fra spesa pensionistica e PIL - chiarisce ancora il documento - è determinata dall'applicazione generalizzata del calcolo contributivo che si accompagna alla stabilizzazione, e successiva inversione di tendenza, del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati. Tale andamento si spiega, da un lato, con la progressiva uscita delle generazioni del baby boom e, dall’altro, con l’entrata a pieno regime del sistema contributivo e con l’operare dei meccanismi di stabilizzazione previsti dal sistema pensionistico italiano, espressamente disegnati per garantire la sostenibilità finanziaria del sistema insieme all’adeguatezza delle prestazioni, i quali prevedono l’adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento e dei coefficienti di trasformazione in funzione della speranza di vita».
Secondo Blangiardo, rispetto al 2022 il Pil nel 2042 – quindi tra venti anni – può calare del 18%, passando da 1.909 miliardi di euro a 1.558. E questo, a parità di altre condizioni, unicamente rimodulando consistenza e struttura della popolazione, che passerebbe dai 58,9 milioni di oggi a 55,9, con un calo della quota di popolazione attiva (la potenziale forza lavoro nella fascia 15-64) dal 65,3% al 54,6 per cento. La partita per rilanciare la natalità si gioca, e si deve giocare, oggi.
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