Cinema

Il lievito del ’900 è nelle ragazze

di Eliana Di Caro

, Benedetta Barzini

3' di lettura

Vederle e ascoltarle una dopo l’altra, sullo sfondo di immagini antiche, di filmini consumati, così vere nei loro racconti e per la prima volta tutte assieme, è il grande valore di Lievito madre, il documentario di Concita De Gregorio ed Esmeralda Calabria che fa parlare alcune protagoniste del Novecento e che sarà presentato in una delle “Proiezioni speciali” alla Mostra del cinema di Venezia sabato prossimo. Alla fine l’istinto è quello di volerlo rivedere. Non solo per ciò che viene detto, che è importante ma che in parte, se si seguono queste figure – da Dacia Maraini ad Adele Cambria, da Lea Vergine a Piera Degli Esposti, da Emma Bonino a Giulia Maria Crespi – si conosce e si immagina. Ma soprattutto per come viene detto, per le espressioni, per un sorriso che riempie lo schermo come quello di Nada Malanima, la più giovane del gruppo. E dunque per godere ancora una volta della sincerità feroce di Benedetta Barzini, dell’acutezza di Cecilia Mangini, dell’irriverenza di Natalia Aspesi.

I temi spaziano dal lavoro alla famiglia, dalla libertà (della donna, prima di tutto) all’amore, dalla bellezza alla vecchiaia, lungo un filo storico che è quello delle vite delle protagoniste e, inevitabilmente, del secolo scorso. Esterina Respizzi rievoca all’inizio la sua fatica di mondina, catapultando lo spettatore in un’altra epoca: «A 14 anni sono andata a lavorare, venivo a casa stanca, non avevo il tempo di guardarmi in giro: mi addormentavo sulla sedia… Volevo fare la sarta e invece sono dovuta andare in campagna».

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Luciana Castellina si sofferma sulla voglia di diritti e libertà, che allora significava «il desiderio di essere come i maschi, e quindi avere prestigio, autorità, forza: tutto quello che ci veniva negato. Ce ne ho messo di tempo a capire che il problema non era somigliare agli uomini ma far valere invece la differenza». Spiazzante, da questo punto di vista, l’esperienza di Giovanna Marini: «Mi chiamarono a Bologna a cantare delle femministe e trovarono che le mie canzoni non erano scritte con una lingua femminile: m’è sembrata una cosa così stupida, che dissi “io in realtà sono un uomo”».

Il montaggio restituisce la ricchezza delle esperienze, la diversità di vedute che alimentano l’impasto della Storia di cui le donne sono il “lievito madre” del titolo. Per Barzini «la famiglia è composta da sconosciuti, nel senso che questa del sangue è un’assurdità. Non sai chi metti al mondo, fai del tuo meglio ma non corrisponde a quello di cui hanno bisogno gli altri. La famiglia è molto più bella quando scegli tu tra gli amici chi senti famiglia, e non è detto che siano parenti. La famiglia è una stronzata». Subito dopo Giovanna Tedde, una nonna sarda, casalinga, dice in dialetto «la famiglia è una cosa bella. Non grande. Due figli vanno bene. Mio marito, perché poveri, ne voleva solo due. Un maschio e una femmina. Poi chiudiamo. E così abbiamo fatto».

Una riflessione sugli anni della guerra, su come si sono vissuti, è nelle parole di Mangini che ripensa al modo in cui «eravamo stati ingannati, sviati dal fascismo. Mi ha salvato il neorealismo. Sono stati i film di De Sica e Rossellini a mostrare ciò che non ha funzionato nel regime». E se Inge Feltrinelli con un certo orgoglio sottolinea di essere stata povera, di aver sofferto la fame «e nella mia gioventù questo mi ha fortificato, la guerra è una grande scuola. Oggi siamo tutti troppo ricchi», Maraini non ha dubbi: i ricordi del campo di concentramento in Giappone l’hanno segnata per sempre. Aveva 7 anni e non può dimenticare «la fame, la paura, le malattie… la paura, soprattutto: ogni sera eravamo sopresi di essere ancora in vita».

Sulla vecchiaia (come per molto altro) è da par suo Natalia Aspesi, che sintetizza così: «Il passato non ce l’ho, il futuro non ce l’ho, il presente me lo godo; la vecchiaia ti toglie il sesso, la corsa, però, sempre che non sia rincoglionita, se non ti ammali, se hai la testa, puoi godere di tante cose. Se sto bene, a me non importa nulla d’esser vecchia». Chiaro?

P.S. Il sottotitolo Le ragazze del secolo scorso è un omaggio a un’altra grande protagonista del Novecento. Qui non compare, ma è come se la sua presenza aleggiasse.

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