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Il made in Italy della cultura

Dopo anni di attesa la normativa di riforma delle imprese culturali e creative sta per essere approvata dal Parlamento. Anche gallerie d’arte e factory degli artisti rientreranno in questa categoria. Novità per la valorizzazione economica dei marchi museali

di Giuseppe Cosenza

5' di lettura

Dopo anni di attesa e di colpevole ritardo, la normativa di organizzazione complessiva del comparto delle imprese culturali e creative è in procinto di essere approvata, grazie a un clima favorevole tra le varie forze politiche di maggioranza e opposizione presenti in Parlamento. Difatti, il disegno di legge riguardante le “Disposizioni organiche per la valorizzazione, promozione e tutela del made in Italy”, presentato dal Governo agli inizi di agosto, è in discussione alla Camera, (poi al Senato), dovrebbe diventare legge dello Stato tra fine anno e i primi mesi del 2024. Il ddl nell’articolo 19 dà una definizione ampia delle imprese culturali e creative svincolata alla classificazione Ateco e prevede che il meccanismo di acquisizione della qualifica avvenga tramite il Registro delle Imprese tenuto presso il sistema camerale. Il ddl prevede, inoltre, l’istituzione di un albo delle imprese culturali e creative di interesse nazionale tenuto presso il Ministero della Cultura. Inoltre, nell’articolo 21 si istituisce un apposito fondo di 3 milioni di euro annui distribuiti dal 2024 al 2033 di contributi a fondo perduto in conto capitale e nell’articolo 22 è previsto un Piano nazionale strategico triennale per la promozione e lo sviluppo delle imprese.

I PUNTI IN COMUNE DELLE TRE DISEGNI DI LEGGE SULLE IMPRESE CULTURALI
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Le novità

Il ddl made in Italy sarà il punto di partenza della discussione parlamentare e dovrà recepire le modifiche degli emendamenti ispirati alle altre tre proposte di legge presenti alle Camere, rispettivamente le proposte degli onorevoli Mario Occhiuto di FI e Francesco Verducci del PD al Senato e la proposta di Matteo Orfini, PD, alla Camera. Le proposte di Orfini e Verducci, entrambi appartenenti al PD, presentano un impianto del tutto analogo, con delle differenze in alcuni tecnicismi.

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Quali sono i punti e in comune e le differenze tra il ddl made in Italy e le altre proposte di legge? Ne parliamo con Marco D’Isanto, esperto di imprese culturali e creative, che ha partecipato al dibattito pubblico precedente alla stesura dei tre disegni di legge ed è intervenuto all’audizione della Commissione Cultura della Camera dei deputati lo scorso 12 ottobre. “I testi dei disegni di legge hanno alcuni elementi principali in comune. Innanzitutto, l’acquisizione della qualifica di impresa culturale e creativa non avviene prendendo come riferimento i codici Ateco, in quanto non rappresentativi della complessità e frammentarietà del settore - spiega D’Isanto -. Il riconoscimento avviene sulla base di un profilo qualitativo ed è subordinato allo svolgimento di un’attività economica che deve rientrare in quelle indicate nell’art. 19, inoltre il meccanismo della qualifica è gestito dal sistema camerale attraverso l’istituzione di una sezione speciale. I dati sulle imprese sono trasmessi periodicamente al MiC”.
Rispetto a questo punto la definizione è ampia e comprende tutte quelle attività di ideazione, creazione, produzione, sviluppo, diffusione, promozione, conservazione, ricerca, valorizzazione o gestione di beni, attività e prodotti culturali, desumibili dall’oggetto sociale dello Statuto dell’impresa. Secondo la valutazione fatta da Arteconomy24 nella definizione rientrano anche le gallerie d’arte, spesso considerate mere attività commerciali e le attività degli artisti svolte in forma di impresa, in sostanza le factory. Vi rientrano spiega D’Isanto in quanto sono «imprese culturali e creative» tutti gli enti, inclusi quelli costituiti nelle forme di cui al Libro V del codice civile, indipendentemente dalla loro forma giuridica, che b) hanno per oggetto sociale, esclusivo o prevalente, una o più delle seguenti attività:
ideazione, creazione, produzione, sviluppo, diffusione, promozione, conservazione,
ricerca, valorizzazione o gestione di beni, attività e prodotti culturali. E ancora: ai fini della presente legge per beni, attività e prodotti culturali si intendono: beni, servizi, opere dell’ingegno, nonché i processi ad essi collegati, e altre espressioni creative, individuali e collettive, anche non destinate al mercato, inerenti a musica, audiovisivo e radio, moda, architettura e design, arti visive.

Logo Uffizi

Prosegue D’Isanto: “Altri punti in comune sono la visione strategica di lungo periodo del comparto, declinata nei ddl made in Italy e Occhiuto nel Piano nazionale strategico triennale, mentre nei ddl Orfini-Verducci è demandata all’Agenzia per l’Italia Creativa, mentre l’ultimo elemento riguarda l’istituzione di un apposito fondo di finanziamento pluriennale. C’è però una differenza: mentre per il ddl made in Italy basta solo quanto scritto nello Statuto, le altre proposte di legge introducono un controllo maggiore, ad esempio il ddl Occhiuto, prevede che il rappresentante legale, in sede di deposito del bilancio, dovrà predisporre un’autodichiarazione attestante l’esercizio delle attività culturali e creative e l’impatto sociale generato. Se tali requisiti non sono rispettati la qualifica è revocata. Si tratta di una misura molto importante: una disposizione che prevede il meccanismo di acquisizione di una qualifica senza prevedere i criteri di mantenimento della qualifica stessa rischia di vanificare lo sforzo di individuare in forme rigorose il perimetro delle imprese culturali e creative. Nei disegni di legge ad iniziativa parlamentare è prevista, inoltre, una esplicita previsione per l’acquisizione della qualifica di impresa culturale per gli enti di Terzo Settore e per gli enti non lucrativi che svolgono attività di impresa. Altra differenza concerne la previsione di una norma agevolativa per la concessione di immobili pubblici inutilizzati a favore delle imprese culturali e creative con un canone agevolato o attraverso il comodato di uso gratuito e l’individuazione dei concessionari secondo procedure semplificate, secondo l’art. 134, comma 2 del Codice dei Contratti Pubblici”.

Dossier parlamentare

I numeri delle imprese culturali

Nel 2022 si contano circa 275 mila imprese e quasi 38 mila organizzazioni non profit che si occupano di cultura e creatività, secondo quanto riportato dal 13° Rapporto Symbola “Io sono Cultura 2023” che basa le sue stime sui codici Ateco. Si ritiene, quindi, che il meccanismo di controllo sia fondamentale, in quanto eviterebbe l’allargamento a dismisura del perimetro delle imprese soprattutto la presenza di soggetti che di fatto non svolgono alcuna attività. Le imprese culturali e creative stanno vivendo una stagione politica vivace, come non era mai avvenuta in precedenza, tuttavia esiste il pericolo concreto che il Parlamento sia chiamato ad approvare il ddl made in Italy prima che le commissioni cultura di Camera e Senato abbiano compiuto l’iter di analisi e valutazione delle proposte di legge di iniziativa parlamentare. È evidente che il ddl presentato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy avrà una corsia preferenziale e sarà lo strumento legislativo attraverso cui sarà disciplinato il settore, tuttavia le altre proposte di legge, e le conseguenti discussioni che ne sono nate, possono concorrere ad approvare una riforma con la più ampia maggioranza possibile. I punti di miglioramento potrebbero essere il maggior controllo sul mantenimento della qualifica di imprese culturali e creative e la concessione agevolata di immobili pubblici, inoltre potrebbero rientrare le disposizioni specifiche in materia di fiscalità con il credito d’imposta, anche attraverso l’istituzione di Zone franche della cultura dove si potrebbero concentrare programmi di defiscalizzazione per la creazione di micro e piccole imprese.Interessante è l’innovazione avanzata dalla proposta Occhiuto di modifica dell’articolo 115 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, in cui si prevede di aggiungere alle tradizionali forme di gestione delle attività tipiche di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica (gestione diretta e indiretta) anche le forme speciali di partenariato con enti e organismi pubblici e con soggetti privati.

I marchi museali

Il ddl made in Italy contiene anche una norma importante che ha un impatto diretto per i musei e indiretto per le imprese culturali e creative, ossia l’articolo 17 prevede che gli istituti e i luoghi della cultura possono registrare il proprio marchio. Si aprono, quindi, nuove possibilità commerciali e operazioni in stile Louvre Abu Dhabi e Victoria Albert Museum a Shenzhen per i grandi musei italiani come il Colosseo o le Gallerie degli Uffizi. Anche questo articolo meriterebbe una modifica in quanto il comma 2 prevede che “Le somme allo scopo erogate, previo versamento all’entrata del bilancio dello Stato, sono riassegnate con appositi decreti del Ministro dell’Economia e delle Finanze, sui pertinenti capitoli dello stato di previsione della spesa del Ministero della Cultura”, e ciò è in contrasto con la normativa dei i musei dotati di autonomia speciale e le fondazioni museali che trattengono nel proprio bilancio le entrate derivanti dalle loro attività.

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