ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùIl lavoro che cambia

Il management come arte del chiedere

Il lavoro umano oggi è sempre meno “eseguire” e sempre più “gestire”. Vediamo come fare

di Lorenzo Cavalieri*

(vadymvdrobot - Fotolia)

4' di lettura

Nel mondo del lavoro con crescente velocità le innovazioni tecnologiche stanno eliminando quelle mansioni esecutive e ripetitive che oggi vengono svolte da un robot o da un algoritmo. Le persone oggi sono chiamate a ricoprire tutto ciò che non è automatizzabile, o replicabile. In altre parole il lavoro umano oggi è sempre meno “eseguire” e sempre più “gestire”.

Il verbo “gestire” è iperutilizzato nei nostri luoghi di lavoro. Tutti siamo manager o gestori di qualcosa. Etimologicamente la radice della parola risale al latino gerere, portare, nel senso di condurre. Quest'ultimo verbo ha una declinazione molto importante per capire dove sta andando il lavoro: condurre significa “fare in modo che qualcuno intorno a me si sposti dalla sua posizione/decisione iniziale”.

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Il lavoro come “gestione”

Secondo questa accezione quindi un lavoratore del terzo millennio lavora perché “gestisce qualcosa” nel senso che è chiamato non ad eseguire dei compiti (lo fa la tecnologia) ma a “spostare i comportamenti e le decisioni delle persone intorno a sé”. Non faccio il cameriere perché ti porto il dolce che mi hai chiesto, faccio il cameriere perché ti convinco (sposto la tua decisione) a prendere quel dolce che tu non mi avresti chiesto.

In questa chiave nel mondo del lavoro di oggi siamo tutti chiamati ad essere “gestori/conduttori”. Laddove gestire significa ottenere dagli altri qualcosa di non dovuto, negoziare, lavorare sulle eccezioni (“è vero che saresti tenuto a mandarmi il report dopodomani ma ne avrei bisogno per domani, riusciamo?”), sulle situazioni non ordinarie: non mi serve il consulente che trasmette informazioni sul prodotto (lo fa la tecnologia), mi serve il consulente che trova una soluzione non scritta per “gestire” il cliente arrabbiato (e quindi “spostarlo” per esempio dalla sua decisione di scrivere una recensione negativa).

Se dunque lavorare significa sempre di più ottenere dagli altri qualcosa di non dovuto dovremmo tutti diventare bravissimi a chiedere qualcosa di non dovuto a chi ci circonda.

La sfida del chiedere

Chiedere, chiedere, chiedere. Dal punto di vista emotivo spesso chiedere diventa una sfida insormontabile perché significa fare i conti con il rifiuto, con il giudizio, con lo scontro. E infatti molto spesso, più o meno inconsapevolmente, per minimizzare lo stress decidiamo di non chiedere. Non chiediamo al cliente di spostare un appuntamento che scompagina la nostra agenda, non chiediamo al collega di aggiungere una slide alla sua presentazione, non chiediamo al collaboratore di fermarsi mezz'ora oltre l'orario previsto.

Ci comportiamo così per gli stessi motivi per cui non chiediamo al vicino di abbassare la musica o al cameriere di sostituirci gratis un piatto che non è di nostro gradimento. Poi a cose fatte, di fronte ad un risultato deludente o ad un obiettivo non raggiunto, cerchiamo di giustificare razionalmente o eticamente la nostra mancata richiesta: “non volevo disturbare”, “non mi sembrava il momento giusto”, “non c'erano le condizioni”, “non sarebbe stato corretto”.

È una dimensione psicologica che dobbiamo imparare ad affrontare. Tra l'altro la paura del rifiuto o del giudizio altrui ci porta a formulare richieste timide e remissive (“eventualmente se tu potessi magari si potrebbe anche valutare la possibilità di organizzare una call…”) aumentando, in una sorta di meccanismo che si autoalimenta, la possibilità di ricevere un “no”.

Come procedere

Come superare allora questa paura del confronto con gli altri e sviluppare la nostra capacità di “spostare gli altri” ottenendo che facciano qualcosa di non dovuto? Come sempre la bacchetta magica non esiste. Dobbiamo lavorare sulla nostra consapevolezza, riconoscere quei momenti in cui la paura di essere respinti o giudicati ci impedisce di chiedere uno sforzo non dovuto agli altri e quantificare realisticamente il danno che ne consegue.

Un'ottima palestra può consistere nel provare ad imitare quei fortunati che spontaneamente riescono a chiedere senza remore perché non ne avvertono il costo emotivo. I grandi manager chiedono sempre qualcosa in più. Chi fa carriera ha imparato a chiedere e a sopportare la fatica di negoziare partendo dal no del proprio interlocutore.

Ecco tre suggerimenti concreti per rendere più efficaci le nostre richieste anche laddove la prima risposta fosse un no:

1) Prepariamo una richiesta di contropartita nel caso in cui arrivi quel no che tanto temiamo: “Ok, capisco che non puoi anticipare l'incontro. Ti chiedo però di anticiparmi quantomeno la documentazione relativa”.

2) Cerchiamo di ottenere quantomeno un approfondimento dei motivi che portano il nostro interlocutore a non accogliere positivamente la nostra richiesta: “Capisco che la vostra procedura non preveda il rimborso, ma come avete gestito in passato situazioni come la mia senza perdere i clienti e compromettere la vostra reputazione?” In questo modo facciamo pesare al nostro interlocutore il suo no, creando lo spazio per una possibile compensazione futura.

3) Proviamo a concordare sempre un follow up, come se stessimo accogliendo il no ma tenendo la porta aperta per un futuro eventuale sì: “Ok, capisco che al momento non ci sono le condizioni. Ne vogliamo riparlare il 15 settembre?”

* Managing director della società di formazione e consulenza Sparring

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