Il manager, il venditore, la stagista: «Così il coronavirus mi ha fatto lavorare in smart working»
L’epidemia Covid19 ha trasformato in necessità il lavoro a distanza. Cogliendo molti impreparati. Ecco le storie dei lettori del Sole 24 Ore condivise sugli account Facebook e LinkedIn
di Marco lo Conte
4' di lettura
C’è chi dice “Finalmente!” e chi ricorda che non è possibile in alcuni settori. Chi pensa alle problematiche tecniche e familiari e chi invece pensa al risparmio di Co2. E, inevitabile, c’è chi lo invoca per gli altri, in particolare per la pubblica amministrazione. Lo smartworking è entrato di prepotenza nella quotidianità di milioni di lavoratori italiani a fine febbraio, a ridosso dell’emergenza coronavirus, che in alcuni casi ha costretto e in altri ha consigliato ad adattarsi a lavorare da casa.
Scoprendo un mondo: le difficoltà di connessione della rete casalinga, la mancanza di indicazioni da parte della propria azienda e tutte le difficoltà organizzative di assegnare pc a ciascun dipendente da tenere lontano dal posto di lavoro, per frenare il contagio di Covid19.
Effetto coronavirus
Un punto di svolta, nell’organizzazione del lavoro in molte imprese, soprattutto in quelle che finora hanno mostrato poca propensione a far lavorare i propri dipendenti fuori ufficio, timorosi di una scarsa produttività. E per raccontare questa svolta il Sole 24 Ore ha chiesto ai propri lettori di raccontare le proprie storie di lavoro smart e di partecipare a un sondaggio su Facebook in cui abbiamo chiesto «riuscite a lavorare da casa?». Le oltre 4mila risposte giunte in redazione in 24 ore hanno dato un esito inequivocabile: lo smartworking “riesce” nel 79% dei casi, contro un 21%, uno su cinque, che mostra problemi, resistenze, difficoltà varie.
La “call to action” sui social
Sui nostri canali social e in particolare su LinkedIn il Sole 24 Ore ha lanciato una “call to action” tra il pubblico , chiedendo ai propri follower di raccontare la propria testimonianza di smartworker. Immancabili, ovviamente, i commenti di chi segnala l’impossibilità di applicare il lavoro a distanza: “Noi facciamo gli elettricisti... vedete un po’ voi” (Alessandro Cerioni), “Mi servirebbero dei camerieri disposti a camminare parecchio” (Valentino Montei). “Voglio vedere come fai a raccogliere l’insalatina fresca di giornata con lo smartworking, ho appena incontrato un amico che lavora al forno in ferriera anche lui vuole lavorare a distanza...” (James Volpe).
Conversioni e riconversioni
Interessanti le testimonianze di chi si è dovuto adattare, complice il coronavirus: «Negli uffici dove lavoro sicuramente non eravamo pronti ad affrontare lo smartworking in quanto viviamo in un paese in cui la carta prevale ancora sul digitale. Abbiamo dovuto cambiare la nostra routine per salvaguardare la nostra salute. I nostri esperti hanno dovuto lavorare tutta la notte per far sì che tutto questo fosse possibile, hanno aggiornato programmi e hanno fatto in modo che ciò che sembrasse impossibile fosse possibile. Anche se quando rientreremo ci troveremo ad affrontare il doppio lavoro perchè ciò che stiamo facendo in questi giorni dovrà essere rielaborato». (Federica D’Ambrosio).
Numerose le testimonianze di chi si è convertito da poco o da tanto: «Io lavoro a casa due giorni alla settimana da più di un anno ormai - racconta Ilaria Manfrin -, i miei colleghi anche.. è solo una questione di organizzazione, ma la mia vita personale ne ha tratto un grande beneficio!». «Lavoro esclusivamente in remoto dal 2013 - dice Christian Amorelli -. Il team con cui sto collaborando in questo momento è diviso tra Roma, Rieti, Napoli, Padova e Milano. Con una buona connessione, Ip statico / VPN nel 2020 è decisamente la soluzione ideale per alcune tipologie di lavoro». «Nessun problema, siamo operativi da due anni ormai, fino a due giorni a settimana - spiega Marta Brisca -; in questo momento abbiamo solo aumentato i giorni settimanali».
Il cambio di mentalità
«Problema/opportunità... Però non si doveva aspettare un virus per agevolarlo. Occorre solo stare attenti al fatto che legalmente la propria casa diventa così un’estensione dell’ufficio, con i relativi adempimenti sulla sicurezza correlati» (Riccardo Bertelè). Giacomo Petruccelli punta sull’ottimismo «“Ricevere guai è ricevere fortuna” recita il proverbio. Voglio credere che questa situazione, per molti tratti assurda, sia il carburante per innescare un nuovo modo di pensare. Più razionale, più obiettivo e più positivo. Un caro saluto a tutti!».
«Siamo nel 2020 ...fare smartworking è una esigenza - dice Loredana Tibò -. Per ora lo si fa per una causa particolare ma spero che l’azienda valuti seriamente l’opportunità di portare questo benefit in azienda. Ovviamente mi rivolgo alle persone intelligenti che sappiano sfruttare a pieno questa opportunità e non ai soliti furboni dove sarà l’ennesima occasione per non fare nulla. Forza possiamo riuscirci e aiutarci».
«Bisognerebbe fare una differenza sostanziale tra il telelavoro e lo smartworking - dice Gabriele Gerini -. Perché il primo è lavorare come in ufficio, ma da casa, mentre il secondo è applicare una nuova filosofia del lavoro, basata su obiettivi e produzione calcolata sul risultato, con flessibilità oraria nel rispetto del tempo massimo di lavoro settimanale. Ridurre lo smartworking al semplice “lavoro da casa” denota che, come sistema-Paese, siamo culturalmente arretrati».
Dal particolare al generale
Non è semplice ricostruire un quadro dettagliato dello smartworking in Italia. Secondo Eurostat sarebbero 8,4 milioni i lavoratori dipendenti italiani potenzialmente occupabili a distanza, ma le stime del 2018 sui numeri reali parlano di circa 350mila lavoratori, il 2% del totale, saliti l’anno dopo a 570mila, considerando tutte le forme di “lavoro agile”, secondo uno studio condotto dall’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano.
Il quadro europeo riferisce dell’11,6% dei lavoratori sono coinvolti in varie forme di lavoro a distanza. In testa alla classifica europea paesi del Nord come la Svezia (31%) e l’Olanda, Islanda e Lussemburgo (27%), Danimarca e Finlandia con il 25%.
PER APPROFONDIRE:
● Perché lo smart working diventa ancora più utile
● Le tre cose che ci insegna lo «smart working da coronavirus»
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