Il mercato cerca al Salone un nuovo slancio
Secondo le stime di FederlegnoArredo quest'anno il settore crescerà del 5% grazie alla spinta dell'export mentre il mercato interno risente del depotenziamento dei bonus edilizi. Mancano 18mila addetti: la formazione diventa cruciale
di Giovanna Mancini
3' di lettura
Un anno «riflessivo». Di assestamento e transizione verso quella «nuova normalità» tanto spesso evocata dopo la pandemia. Il 2023 è iniziato senza la brusca frenata che molte aziende dell’arredamento temevano, considerate le premesse dell’economia globale, con un’inflazione fuori controllo, prezzi dell’energia e delle materie prime non ancora tornati ai livelli “normali” e l’attuazione di politiche monetarie restrittive da parte delle banche centrali, senza contare il perdurare della guerra in Ucraina e le conseguenti tensioni geopolitiche.
Il rallentamento degli ordini c’è e del resto era prevedibile, dopo due anni di mercato alle stelle, con una domanda tanto esuberante da rendere difficile, per molte aziende, stare dietro agli ordini. Ma, almeno per la prima parte dell’anno, il settore beneficerà della coda lunga dei contratti siglati lo scorso anno e dunque le prospettive delle aziende restano positive. Il Monitor di FederlegnoArredo (basato su un campione di circa 450 grandi aziende) stima per l’industria dell’arredamento una chiusura d’anno ancora in crescita del 5%, grazie soprattutto ai mercati esteri, mentre il mercato interno potrebbe risentire negativamente del depotenziamento dei bonus edilizi e in particolare del bonus mobili, anche se, come accennato, la frenata dovrebbe essere compensata dalla chiusura di progetti già avviati.
«È un dato positivo, soprattutto se si pensa che arriviamo da due anni davvero eccezionali – osserva il presidente di FederlegnoArredo (Fla), Claudio Feltrin –. Dopo la crescita record del 2021, il 2022 ha chiuso con un aumento del 12,6% per l’intera filiera, che ha raggiunto i 56,5 miliardi di euro di fatturato alla produzione, e dell’11% per il macrosistema arredamento, che ha sfiorato i 29 miliardi». Va detto, precisa Feltrin, che gli incrementi del 2022 devono essere depurati dall’effetto inflazione: il centro studi Fla ha stimato che, mettendo a confronto l’indice della produzione industriale con quello del fatturato dell’industria, emerge un gap di oltre 11 punti per le aziende del mobile, con ricavi aumentati del 12,1% e una produzione cresciuta appena dello 0,8%. Una precisazione necessaria, che nulla toglie tuttavia all’ottima performance che l’industria italiana dell’arredamento (21.750 imprese e 140.300 addetti) è riuscita a mettere a segno dopo la pandemia, in linea con la crescita dell’intera filiera, passata dai 43 miliardi di euro di fatturato nel 2019 agli attuali 56,5 miliardi.
«La mia sensazione è che in questi primi mesi dell’anno stiamo ancora subendo gli effetti positivi del 2022 e non riusciamo a percepire completamente quella normalizzazione del mercato che, prima o poi, inevitabilmente arriverà – dice ancora Feltrin –. Credo che torneremo, verso la fine del 2023, a una domanda e a consumi più bilanciati e su questo nuovo scenario potremo pianificare le nostre politiche di investimento. Non penso che gli investimenti rallenteranno, ma è probabile che saranno riorientati, con una maggiore attenzione ai temi della transizione ecologica e digitale. Mi aspetto più investimenti sugli impianti e sui processi non per aumentare la capacità produttiva, come avvenuto negli ultimi due anni di domanda elevata, ma per sostenere la qualità e la sostenibilità».
Anche gli investimenti sui mercati esteri stanno registrando una rimodulazione: la pandemia, prima, e la guerra in Ucraina, poi, hanno ridisegnato la mappa dell’export di mobili italiani: «Ci vorranno 2-3 anni per capire quali mercati abbiano sostituito la Russia, che nel 2013 era il quarto Paese di destinazione e nel 2022 è uscita dalla top ten – spiega Feltrin –. Tuttavia, alcuni indizi sono già evidenti». La crescita inarrestabile degli Stati Uniti, per esempio, che lo scorso anno hanno raggiunto un valore di 1,9 miliardi di euro, in aumento del 25,5% rispetto al 2021, sottraendo alla Germania il secondo posto nella classifica dell’export. O l’ingresso nella top ten degli Emirati Arabi Uniti.
Infine, un cenno almeno va fatto al tema, cruciale, della formazione delle figure professionali necessarie ad accompagnare il profondo mutamento in atto nell’industria dell’arredamento: «Abbiamo stimato che nei prossimi 3-4 anni, se l’incremento del mercato confermerà le nostre attese, avremo bisogno di inserire 15-18mila nuovi lavoratori per fare fronte allo sviluppo delle aziende – spiega il presidente Fla, riferendosi all’intera filiera –. È una sfida importantissima. Perché possiamo fare i nostri mobili nel modo migliore, possiamo adeguarci alla transizione ecologica e digitale, possiamo venderli in tutto il mondo, ma abbiamo bisogno delle persone per produrli. Non solo designer e tecnici, ma anche operai specializzati, che sono difficilissimi da reperire sul mercato».
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