AnalisiL'analisi si basa sulla cronaca e sfrutta l'esperienza e la competenza dell'autore per spiegare i fatti, a volte interpretando e traendo conclusioni. Scopri di piùI dati dell’Istat

Il mercato del lavoro si è fermato. Perché calano i contratti stabili

A settembre: -32mila occupati. Male la fascia 35-49enni e i giovani. Sull’anno gli occupati salgono di 111mila unità

di Claudio Tucci

Rallenta il mercato del lavoro: la disoccupazione sale al 9,9% a luglio

4' di lettura

Il mercato del lavoro si è fermato. A settembre, ha detto l’Istat, il numero di occupati è sceso di 32mila unità, e dopo il picco di giugno, quando l’occupazione ha toccato quota 23.415.000 unità, nei tre mesi successivi, vale a dire luglio, agosto, settembre, il numero di chi ha un impiego è calato di ben 61mila unità. A settembre, peraltro, si è assistito al primo vero calo dei lavoratori a tempo indeterminato: gli occupati stabili, infatti, sono scesi di 18mila unità. Il tasso di disoccupazione, al contrario, è risalito, tornando a sfiorare la soglia psicologica del 10%, siamo al 9,9% (a livello internazionale restiamo terz’ultimi davanti a noi ci sono solo Spagna, 14,2%, e Grecia, 16,9% - la media Ue è stabile al 7,5%).

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L’economia in frenata
A pesare su questi numeri è in primo luogo l’economia in frenata. Il mercato del lavoro da fine 2018 e nel primo semestre dell’anno ha viaggiato a una velocità sostenuta, nonostante un Pil in contrazione. Ebbene, questa reazione nel breve periodo si è adesso arrestata, e l’occupazione è tornata ad allinearsi a una crescita economica piatta. La frenata nei mesi di luglio, agosto e settembre ha inciso anche sulle performance annuali: su base tendenziale il numero di occupati è salito di 111mila unità (si viaggiava a quasi il doppio nei mesi precedenti); con una buona performance dei contratti stabili, anche qui però spinta dalle stabilizzazioni dei mesi passati, oggi in frenata.

A settembre il numero di occupati è sceso di 32mila unità, e dopo il picco di giugno, quando l’occupazione ha toccato quota 23.415.000 unità

Il primo effetto del reddito di cittadinanza
In un mese, poi, si sono registrati 73mila disoccupati in più, e qui potrebbe aver avuto un primo effetto il reddito di cittadinanza che proprio a settembre è partito con la fase due di riattivazione e collegamento con il lavoro. Molti inattivi si sono dovuti rimettere in moto percependo l’assegno. Infatti, sul mese, la stima degli inattivi è scesa di 77mila unità.

L’effetto negativo sul mercato del lavoro
Come hanno previsto centri studi ed economisti, l’aumento di occupati a tempo indeterminato e di trasformazioni non poteva durare nel medio lungo periodo. Questo per almeno due ragioni. Primo, perché se l’occupazione a termine cresce meno (rispetto al passato) allora si assottiglia la platea di persone “trasformabili”. Secondo, perché alla lunga non ci può essere crescita occupazionale senza crescita economica e quindi l’occupazione (di qualsiasi tipo) non potrà proseguire il segno più se il Pil non riparte.

Male under50 e giovani
Le due spie che fanno temere un peggioramento, nei prossimi mesi, del mercato del lavoro sono la fascia centrale della forza lavoro, vale a dire i 35-49enne, e i giovani, entrambi in profondo rosso. I primi, a settembre, hanno perso 30mila occupati. Si sale a meno 216mila sull’anno. Un tracollo che si spiega con il freno alle nuove assunzioni, legato alle incertezze dovute a una congiuntura negativa, e per le crisi aziendali ancora, drammaticamente, in corso.

Gli oltre 150 tavoli di crisi, che intercettano le grandi aziende, aperti al Mise - che sono un termonetro affidabile dello stato di salute del nostro tessuto produttivo - sono ancora tutti lì, e l’esecutivo sta solo procedendo a rifinanziare la cassa integrazione (derogando più o meno apertamente alle regole vigenti, introdotte dal Jobs act) che infatti da diversi mesi ha ripreso a esplodere specie nell’industria e nell’edilizia. Per quanto riguarda i giovani under25, il loro tasso di disoccupazione è tornato a sfiorare il 30%, siamo al 28,7%, anche qui in fondo alle classifiche internazionali. E distanti anni luce dalla Germania, stabile al 5,9%, prima della classe grazie al sistema di formazione duale che da noi invece si sta smontando.

Luci e ombre del decreto dignità
Il dato provvisorio fornito dall’Istat a settembre è l’occasione anche per un’analisi dei primi effetti del decreto dignità, entrato in vigore a metà luglio 2018, che come noto ha reintrodotto le causali dopo i primi 12 mesi di rapporto a termine “liberi”, reso i rinnovi dei contratti a tempo più costosi, e incentivato le trasformazioni per gli under 35. Nei primi mesi l’occupazione stabile è aumentata, e si è frenata quella temporanea. In altre parole, il mix di stretta normativa e sgravi fiscali ha fatto, probabilmente, “anticipare” una fetta di stabilizzazioni che sarebbero comunque avvenute all’avvicinarsi dei massimali di durata più elevati previsti dalla vecchia normativa (36 mesi). Oggi tuttavia anche questo effetto positivo si fermato.

Taglio al cuneo
Non c’è dubbio che questi dati devono adesso far riflettere il governo. Anche perché è in cantiere la legge di Bilancio. Serve in primo la crescita, e misure che la rilancino. Secondo: va aggredito il costo del lavoro con una serie operazione di taglio del cuneo. Terzo: bisogna pensare un piano di inclusione dei giovani talenti. Quarto: le rigidità normative, come quelle previste dal decreto dignità ad esempio, rischiano, in una fase di Pil fiacco, di peggiorare le cose. Sono tutte misure urgenti. Che non possono più essere ignorate.

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